sabato 26 dicembre 2009

L'isola che non c'è

L'isola che non c'è: uno spazio del cuore gratuito, possibile per tutti, territorio vago e magmatico del sogno, del desiderio inespresso, rampa di lancio per l'immaginario più segreto coltivato negli anfratti profondi. L'isola che non c'è è un eden degli albori, anche lì ciondola il serpente dall'albero, un capitan uncino sempre in agguato, fregatura della realtà, ma è innocuo, i suoi piani nefasti destinati a fallire. .......e poi la strada la trovi da te.......canta Bennato

Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
poi la strada la trovi da te,
porta all'isola che non c'è.

Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
non ti puoi sbagliare perché
quella è l'isola che non c'è!
E ti prendono in giro
se continui a cercarla,
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te


Poi penso ad Atlantide. Un punto in mezzo all'oceano. E' veramente esistita? E' poi così importante saperlo? Forse è la voglia di pensarla e cercarla il motore che conta



Altra isola che non c'è è l'Abbazia di Theleme uscita dalle debordanti penna e fantasia di Rabelais svariati secoli fa. Me la ricordo dagli anni liceali e l'idea dell'autore mi era molto piaciuta perchè il motto del luogo era uno solo, "fais ce que tu voudras":

La loro vita non era governata da leggi, statuti o regole, ma secondo il loro volere e franco arbitrio. Si levavano da letto quando loro piacesse; bevevano, mangiavano, lavoravano, dormivano quando ne aveano voglia; nessuno li svegliava, nessuno li forzava né a bere, né a mangiare, né a qualsiasi altra cosa. Così aveva stabilito Gargantua. La loro regola era tutta in un articolo: Fa ciò che vorrai.


E' un isola che non c'è anche l'asteroide B 612 dove abita il Piccolo Principe. Lì ci stanno un fiore vulnerabile e capriccioso da proteggere dalle correnti d'aria e dei semi di baobab che vanno estirpati fin sul nascere, ne va dell'esistenza dell'asteroide, e cosa ben più grave..... della vita stessa del sogno.



Onirici i paradisi tropicali dipinti dal Doganiere Rousseau. Anche i suoi quadri appartengono al territorio dell' isola che non c'è perchè puro frutto delle sue fantasie autodidatte, l'artista non si è mai messo in viaggio e non ha mai lasciato la sua Parigi.



Forse è proprio il pensiero di questi spazi siderali sospesi fra gli abissi del cuore e le acque reali della terra che mi ha fatto sempre amare le isole, se piccole ancora meglio, le possiedi di più. Dall'immensa Sicilia alla Sardegna ed alla Corsica, da Bali ai Caraibi, le Tremiti, le Eolie, le Egadi, le Ebridi, l'isola d'Elba, Capri ed Ischia, le Incoronate, le Maldive, le isole di Hyères, le minuscole Bandor, Sante Honorah e Sainte Marguerite, Belle Ile e l'isola dei Pescatori, nell'arco di una vita ne ho viste tante e tante, tutte belle, tutte uniche!!!!!. Isola che non c'è, impossibile e magica, come al solito sono fra le nuvole, ma è il mio modo di prepararmi all'incontro fra breve di un isola che invece c'è, per me nuova e tutta da scoprire, con la collaudata compagna di viaggio Gastone, of course.


lunedì 21 dicembre 2009

Nonostante e inaspettatamente


è passato un altro anno, veloce, troppo veloce. Ho cercato nei negozi vuoti di persone, ma supercarichi di mercanzia quel kit di sopravvivenza che mi sembra indispensabile per il 2010 e gli anni a venire da offrire a tutti coloro cui voglio testimoniare il mio pensiero ed il mio affetto, e non l'ho trovato, il made in Italy non lo fabbrica e la Cina nemmeno, cerco di fare da sola. Nel mio pacchetto regalo ci metto due parole su cui ho riflettuto molto: nonostante e inaspettatamente.

nonostante la fatica, adelante Pedro, sempre adelante
nonostante il buio, i fili ci sono, si tratta di cercarli con pazienza
"nonostante", abbiamo risorse insospettate
nonostante le domande senza risposta

nonostante il nero e il grigio, rimane ancora tutta la tavolozza dei colori
nonostante l'incapacità di una preghiera il pensiero a volte tenta di volare alto

Inaspettatamente cadono delle tegole in testa e si rimane tramortiti
inaspettatamente mentre andavi a mille all'ora, la tua corsa si ferma
inaspettatamente qualcuno ti dice che ti vuol bene
inaspettatamente c'è una scintilla di sole e non sai nemmeno perchè
inaspettatamente può sempre succedere qualcosa di buono
inaspettatamente se ti guardi intorno vedi tanti altri "soli" che rispondono presente
inaspettatamente a forza di cercare il proprio posto, può anche capitare di trovarlo

I miei auguri per il 2010 sono diventati collettivi, siamo tutti un pò poeti, gli amici ci sono e ........partecipano. Senza domandare l'autorizzazione, mi permetto di scrivere alcune loro riflessioni:

Nonostante esista per tutti la morte, inaspettatamente tutti vivono come se avessero davanti l'eternità. Questo è il miracolo quotidiano che, nonostante tutto, inaspettatamente mi affascina e mi sorprende......
Malgré la grisaille,
malgré le temps qui s'enfuit
Malgré le silence,
Inopinément une amie écrit,
inopinément son cri te saisit
nonostante la neve, le cinciallegre del mio giardino
danzano la giga intorno alla ciotola del becchime. Forse,
inaspettatamente, sentono arrivare da lontano
la primavera?


di parole, ne aggiungerei una terza: GRAZIE
i buddisti ringraziano la madre terra prostrandosi a toccarla
noi dovremmo ringraziare chi, senza volerlo - anzi qualche volta credendo di ostacolarci- ci apre nuove strade e prospettive costringendoci a cambiare

grazie a chi ci vuole bene gratuitamente
grazie a chi si scosta dalla nostra strada lasciandoci il passo libero
grazie a tutto quello che riceviamo senza averlo mai chiesto né sperato
grazie a questa grande avventura e che rimanga tale fino all'ultimo minuto


Con l'amicizia, nonostante il freddo, dicembre e la neve, inaspettatamente nel cuore può essere primavera. Grazie! sara

mercoledì 25 novembre 2009

Petra



Penso a quel proverbio " meglio un giorno da leone che 100 da pecora" e rispetto la vecchia saggezza popolare; il nostro solo ed unico giorno in Giordania per visitare Petra è stato proprio da re della foresta, faticoso, ma "vaut le voyage" come recitano le guide. Straordinario fin dall'inizio, alle 7 del mattino: arriva a prenderci in albergo un certo Jonathan che ci porta alla frontiera israeliana con la Giordania che ad Eilat si chiama Rabin (quella di Gerusalemme: Allenby). Qui, ci affida ad un certo Zacharia che ci aiuta a sbrigare le formalità israeliane. Attraversiamo a piedi da sole quei cento metri di noman's land e voilà, eccoci dall'altra parte, re Hussein col figlio Abdullah ci sorridono in fotografia e spunta Joussuf per i timbri giordani; poi ci consegna ad Amer (identico a Ciccio Ingrassia) che sarà nostro chauffeur personale fino a Petra, dove avremo Bechir come guida, fra le vecchie rovine.
Francamente non ce lo aspettavamo: prima di tutto di avere Jonathan, Zacharia, Joussuf, Amer, Bechir, ben 5 uomini a nostra disposizione, più seguite di un prezioso pacco DHL e poi avevamo pagato per un viaggio collettivo e non individuale (pare che la comitiva in partenza da Eilat fosse di 47 russi e gli organizzatori hanno pensato bene di non mescolare due italiane raffinate (sic) con i rustri del Volga. Questa spazzolata al nostro ego è certamente merito del solito culo di Gastone.

Due ore in macchina, prima attraverso la Desert road e poi la Kings road, sissignore, la strada dei re, tutt'intorno qualche accampamento beduino, qualche villaggio e soprattutto deserto e montagne a perdita d'occhio. I colori sono il giallo dello zolfo, il blu ed il nero del manganese, il rosso del ferro, il bianco del silicio, le stesse stupefacenti formazioni già ammirate nel parco naturale di Timna, alle miniere di re Salomone vicino ad Eilat due anni fa, ma in proporzioni centuplicate. Dopo le città nabatee di Shivta, Mamshit, Nizzana, Haluza, Avdat visitate nel Neghev, finalmente Petra, la capitale. La strada sale e sale, si inerpica fra sassi, sabbia e tornanti, la bellezza non è mai facilmente accessibile. Questi Nabatei, nomadi originari della penisola araba, nelle loro preregrinazioni saranno pur stati pirati e briganti, ma diventano ricchi perchè abilissimi commercianti di incenso, mirra e delle spezie più preziose. Iniziano una loro sedentarietà rifugiandosi nel deserto che per loro funge da fortezza. L'assenza di acqua lo rende in effetti inaccessibile agli estranei e solo i Nabatei riescono a viverci grazie alle loro straordinarie capacità di controllo delle risorse acquifere. Scavano canali, costruiscono acquedotti e serbatoi, posano tubature di ceramica, riescono a convogliare verso la loro città l'acqua di tutte le sorgenti anche distanti parecchi kilometri ed a conservare ogni singola goccia di acqua piovana: un vero capolavoro di ingegneria idraulica.
Lo storico Strabone nella sua opera Geografia, scritta nel primo secolo d.C. relata in modo ammirato del sistema civico dei Nabatei:
" Poichè hanno pochi schiavi, vengono per lo più serviti dai loro congiunti o si servono a vicenda da sè stessi, cosicchè l'abitudine si estende anche ai loro sovrani. Il re è così democratico che, oltre a servirsi da solo, qualche volta e quando è il suo turno, serve anche gli altri. Sovente egli rende conto della condotta dei suoi familiari nelle assemblee popolari e ogni tanto il suo modo di vivere stesso viene esaminato".

Nel 106 dell'era volgare il legato romano in Siria, annette il regno nabateo per conto dell'imperatore Traiano e lo incorpora nella nuova Provincia Arabia. Dai pochi documenti a disposizione non si sa se la transizione da regno indipendente a provincia romana sia avvenuta pacificamente, ma certamente Petra rimane città di primaria importanza, il centro amministrativo, l'unica della provincia che Traiano chiama Metropolis. Paganesimo e cristianesimo coesistono a Petra durante tutto il periodo bizantino, ma con la caduta di Bisanzio nel 630 Petra diventa zona depressa e dimenticata dal mondo arabo e islamico. Se ne interessano secoli dopo i Crociati che costruiscono a Wadi Musa, la valle di Mosè, appena fuori Petra, una fortezza, per completare la linea di torri di segnalazione da cui far passare dispacci luminosi fino a Gerusalemme. Wadi Musa dovrà poi arrendersi a Saladino ed i Crociati abbandoneranno la regione. Per lunghi secoli i beduini di Petra devono aver continuato a far pascolare le bestie ed a coltivare la terra, abitando, durante i mesi freddi, nelle grotte e nelle tombe dei Nabatei, ma per l'occidente, Petra scompare dal ricordo e dalle mappe, conosciuta solo dagli studiosi, fino a che lo svizzero tedesco Johann Ludwig Burckhards non la riscopre nel 1812. Con la guida Bechir entriamo finalmente nel Siq, l'antica entrata principale di accesso alla città.

Uno stupefacente canyon lungo più di un chilometro con rocce di quasi cento metri di altezza. Bellezza non descrivibile, formazioni geologiche dalle forme più strane, scorci di luci ed ombre, riflessi di raggi di sole che illuminano i vari colori della pietra, canali d'acqua e nicchie votive scolpite nella roccia.



In qualche modo un cammino iniziatico verso l'improvviso splendore del cortile naturale col Tesoro, un monumento funerario per un re nabateo del primo secolo ante C.interamente scolpito nella pietra con una piccola camera totalmente vuota sul retro che probabilmente serviva per accogliere il feretro.





I beduini credevano che non solo questo monumento, ma tutta la città di Petra servisse da magazzino per le ricchezze del faraone depositate qui per magia; consideravano però che questo monumento, il più sontuoso, fosse quello che contenesse il nucleo più prezioso del tesoro.L'urna scolpita in alto era considerata il vero scrigno e ogni beduino col fucile sparava mirando all'urna ad ogni passaggio (tipo pentolone della cuccagna), sperando ardentemente che le ricchezze del faraone gli piovessero addosso. In realtà neanche l'ombra del tesoro e l'urna malamente butterata.




Vista questa credenza del tesoro, è facile capire perchè sospettassero di ogni viaggiatore straniero e quanto sia stato complicato per gli archeologici organizzare delle visite (venivano vestiti all'araba per non destar sospetti). Il Tesoro non sono monili d'oro e gemme preziose, ma lo straordinario lavoro dell'uomo e la bellezza della natura, secoli e secoli per comprenderlo.

Dopo il Siq ed il Tesoro, la strada si allarga, si accede ad un immenso anfiteatro naturale, molte altre tombe scolpite più o meno riccamente, il teatro romano, un lungo viale pieno di colonne circondato da templi ed edifici pubblici, una parte di pavimento di marmo ricostituito.




Malgrado la reputazione di Petra fosse quella di essere un vasto e sontuoso cimitero, era però, e prima di tutto un luogo per i vivi e il quartiere principale della città sorgeva nella vasta area del suo bacino. Accanto al teatro dovrebbe iniziare la Petra, città dei vivi, con negozi ed edifici abitativi. Purtroppo non è rimasto quasi nulla, tre imponentissimi terremoti nel 363, nel 551 e nel 749 ne hanno fatto scempio. Le costruzioni e persino altri imponenti templi sono stati inevitabilmente più soggetti agli sconvolgimenti sismici che i monumenti scolpiti nella roccia. A noi oggi sembra strano trovare delle tombe appena si entra in una città, ma non così nel passato, quando vita e morte coesistevano fianco a fianco.
Nell'ottocento studiosi della legge divina e semplici turisti arrivavano qui Bibbia alla mano come se fosse una guida da viaggio: la profezia della distruzione di Edom (il luogo di Petra), qui Mosè fuggendo con la sua gente lontano dall'Egitto e dalle ire del faraone avrebbe usato dei magici poteri conferitogli da Dio per percuotere con la sua verga la roccia e far scaturire l'acqua, fra le montagne che circondano il bacino di Petra il gebel Harun (forse il monte Hor dell'Antico Testamento) con i suoi 1.350 metri di altezza, dove si pensa che sia morto e sia seppellito Aronne, fratello di Mosè. Quest'ultimo è luogo di grande santità per gli abitanti della zona ed anche per gli israeliani che dal 1994, anno del trattato di pace con la Giordania, accorrono numerosi.
A Petra naturalmente la macchina turistica si è messa in moto, un gran fermento di gente, di cammelli, di cavalli, di asini, di calessini che trasportano chi non se la sente di fare chilometri a piedi, ma anche questo ha il suo fascino. Intanto ci ricorda quanto potesse essere animata l'antica Metropolis, poi giovani e meno giovani locali sono bellissimi con i vestiti tradizionali ed occhi neri contornati di kajal come carboni ardenti, gioia degli occhi osservare la loro maestria nel dirigere gli animali e farli a volte improvvisamente correre non si sa verso che cosa.




Il tramonto si avvicina rapido, lo spettacolo straordinario di qualche ora sta per finire, ripercorriamo a malincuore il Sik in senso inverso e ci chiediamo se tutto quello che abbiamo visto, emozionante, bello, troppo bello, era vero oppure un sogno.











Il dono della giornata a Petra è stata l'ultima perla del mio soggiorno in Israele. Un abbraccio tutto rosso agli amici che mi hanno letta viaggiando con me. Grazie!!!! sara

venerdì 20 novembre 2009

Tel Aviv sweet home


Con Gastone siamo arrivate ad Eilat venerdì primo pomeriggio, passeremo la frontiera Itzak Rabin l'indomani all'alba per la nostra giornata a Petra. Di Eilat riconfermo la stessa impressione avuta nel mio viaggio del 2007, gli albergoni e l'architettura selvaggia fanno schifo, ma il sito è meraviglioso. Si attraversa il deserto del Neghev e si arriva sul mare, tutto intorno montagne rosse. A pochi kilometri sulla destra il Sinai e Taba in Egitto, vicinissima a vista d'occhio Akaba in Giordania sulla sinistra. Eilat ha il fascino che non so descrivere del luogo estremo, lì finisce Israele e comincia il Mar Rosso. Ho conosciuto altri due luoghi estremi, Kanyakumari, la punta sud dell'India e Key West, appendice finale della Florida nell'oceano. Che cosa hanno di magico questi luoghi, al confine ultimo fra terra ed acqua? Non lo so, ma qualcosa è diverso, ti senti in culo al mondo.


Credo che dalle mie note traspaia, Tel Aviv mi è piaciuta tantissimo, mi ci sono trovata come a casa, come se ci vivessi da sempre, sarà il richiamo delle radici, in fondo ci sono nata. E' molto vivace, cosmopolita, verdissima, puoi circolare senza pericolo anche da sola a tutte le ore del giorno e della notte, caffè, ristoranti, negozi sempre aperti, le strade, la spiaggia affollate e tanti, tanti giovani. Manco di senso di orientamento e di solito mi perdo, non a Tel Aviv perchè è squadrata come la vecchia Nizza, tutte le strade parallele o perpendicolari al mare, non si può sbagliare. Come dire, l'impressione di una città semplice da vivere, molto informale. Israele è un fazzolettino, dalla stazione degli autobus in via Arlorosoff, con due euro (l'età avrà pur qualche vantaggio) in un'ora sei a Gerusalemme o a Haifa o sul lago di Tiberiade, in mezz'ora a Cesarea. Come in tutte le città del sud e d'oriente si vive all'esterno, c'è colore, casino, disordine, rumore, l'impressione del provvisorio, del mai finito, dietro a un bell'angolo calcinacci e sterpaglie; nel contempo nelle pasticcerie sfilano sacher e torte di formaggio bianco come a Vienna, la filarmonica è di grandissimo prestigio, ricche proposte culturali, perchè l'80% degli abitanti delle vecchie generazioni proviene dall'Europa ed ha portato con se un pò del suo mondo. Trovo questo mix di oriente ed occidente pieno di fascino.


Tel Aviv, The White City, città giovanissima, festeggia quest'anno il suo centenario; è stata iscritta nel 2004 dall'Unesco sulla lista del patrimonio mondiale per i suoi edifici, pura architettura Bauhaus. Delle 4 mila case in questo stile, solo 360 sono state rinnovate a spese dei proprietari, mancano i fondi pubblici. Se le vedessi una per una isolate o in un altro contesto urbano, probabilmente le troverei povere e malconce, ma tutte insieme nei lunghi viali ora alberati attribuiscono alla città un suo carattere omogeneo ed accattivante. Quando ad inizi 900 Tel Aviv è cominciata a spuntare dal nulla, sulla sabbia, necessitava di un'architettura economica, semplice, veloce e che sapesse tradurre architettonicamente quegli ideali socialisti e egualitaristici dei nuovi pionieri arrivati dall'Europa in Palestina. La scuola del Bauhaus, fondata negli anni 20 in Germania da Walter Gropius, col suo stile geometrico, sobrio e funzionale rispondeva proprio a queste esigenze. Nella nuova Germania nazista degli anni 30 non c'è posto per queste idee innovatrici, la scuola deve chiudere, molti architetti emigrano in Palestina, Tel Aviv diventa l'occasione di sperimentare sul campo.

Un pò mi dispiace, ma è ora di tornare. Se tento un bilancio mi dico che queste 5 settimane sono state bellissime e varie.

sono stata sola:


con i ragazzi:

con le amiche Thea e Gastone:


con Miriam, compagna di scuola delle medie ritrovata 40 anni dopo:


ho potuto abbracciare il cugino paterno a Gerusalemme:


festeggiare con i cugini materni a Ramat Gan:


stupire davanti al deserto:


nuotare nel vecchio Mediterraneo:


godere dei tramonti:


ho visto cagnotti locali pisolare profondo:



Niente niente male, mi sa che....... prima o poi ci ritorno.

venerdì 13 novembre 2009

Neshikot



Prima lezione di ebraico: bacio si dice neshikà, uno solo e striminzito, neshikot, tanti a profusione. Non mi metto a fare disquisizioni da cioccolato mandorlato perugina, non parlo delle virgole dell'amore, ma insomma questo sostantivo è proprio imprescindibile, darne e riceverne una spezia fondamentale del vivere, ecco perchè bisogna conoscere le lingue. Gustosissimi i saluti finali-mail dell' amica Gabriella che mi scrive: neshikot non so cos'è, ma neshikot anch'io.


Partiti i gioielli, sono sbarcate immantinente le amiche, forse ci vorrebbe un ghisa milanese a regolare il traffico di va e vieni nei miei 25 metri quadri. La convivenza stretta, oltre alla regressione adolescenziale, rivela subito le debolezze di ciascuna, scelta di dolci vari sulla tavola, chissà ti prende un buchetto nello stomaco per Gastone, bottiglia di vino rosso e birretta fresca per Thea che notoriamente ama i liquidi e non i solidi e sigarette per la sottoscritta sempre appollaiata alla finestra per non affumicare; menomale, nessuno è perfetto!!!!


Tel Aviv è generosa, ricompare il sole e scenette varie testimoniano subito, anche per le nuove arrivate, della fantasia locale: da un negozio di parrucchiere sbuca fuori la proprietaria che mi fa entrare e parlandomi in spagnolo mi mette tonnellate di crema in testa massaggiandomi i capelli che trova troppo crespi ed asciutti- in una piazzetta una gattara doc, tira fuori 20 vaschette del supermercato che riempie con riso e carnina con un mestolo chiamando per nome i 22 gatti (li ho contati) "lady, bohi lehechol" (lady, vieni a mangiare)- due viados stratosferici, 46 di piede, braccialetto di strass, unghie finte e parrucca bionda fino a metà spalla ingurgitano da leoni al tavolo accanto- all'ordine del giorno le chiacchere ai caffè con illustri sconosciuti con l'idioma che capita



La città comincia a non aver segreti e diventiamo sempre più esigenti nel nostro vagabondare: rehov Basel, strada della Tel Aviv da bere con bellissimi bar e negozi trandy, case nuove ma sempre rispettose dell'impronta Bauhaus, la minuscola via Almonit col suo caffè-biblioteca Il Piccolo Principe, l'appartamento di Ben Gurion nell'omonima via, semplice, ricco di vita vissuta e di tre stanze-libreria con 20.000 volumi, Hummus Ashkara, un bugigattolo sulla strada dove si mangia un hummus coi fiocchi, l'ultimo tratto di lungomare, parte sud, dove i surfisti come tante foche in mare si scatenano sulle onde e li puoi osservare facendo l'israeli breakfest dalla terrazza del ristorante Manta Ray prima di proseguire per il mercato delle pulci della vecchia Yaffo, il quartiere e l'omonima via Florentine, vecchio malfamato e sgarrupato che sta sorgendo a nuova vita con l'arrivo di giovani creativi e ristorantini improvvisati, lo stupendo square Albert all'angolo della vie Montefiore con Betsal'el Yafe con un palazzo bauhaus circolare che abbraccia mezza piazza e presenta sulla facciata una scultura-impronta dell'albero antistante, i divini bligni di zucca in salsa di yogurth e mentuccia da Orna and Ella.


Mi riposo un pò e mi sbarazzo per due giorni delle amiche andate in gita organizzata sul Mar Morto e Masada e poi a Nazareth ed in Galilea, lago di Tiberiade e Capharneum, abbiamo però fatto Gerusalemme insieme, in modo ruspante, con i mezzi pubblici e lavorando di talloni. La città, vecchia di 4000 anni e labirintica, nasconde infiniti misteri che è una vera gioia scoprire, se ne hai la fortuna e la curiosità. Nella foto qui sopra, con un giovane falascià, ebreo etiopico che vi sta pregando, Hakotel Hakatan, il piccolo Muro del Pianto situato nel quartiere mussulmano, vicino all'Iron Gate. Dal 1948 al '67, Israele non poteva accedere alla zona del Muro del Pianto che in quel periodo era sotto controllo giordano, per pregare si ripiegava dunque su questa altra parte di Muro, ciò che è rimasto anche qui del Secondo Tempio, eretto nel 516 a. C. e distrutto dai romani nel 70 della nostra era. Poi al monte Sion, subito fuori dall'omonima porta il Cenacolo (luogo della prima chiesa cristiana e dove Gesù e gli Apostoli avrebbero consumato l'Ultima Cena), la chiesa e l'Abbazia della Dormizione (dove la Vergine Maria sarebbe trapassata) e la tomba del re David ( altro luogo di pellegrinaggio sacro per gli ebrei). Subito fuori, fortunatissime ad assistere ad una cerimonia ebraica in uso fra i religiosi, il festoso primo taglio di capelli di un bambino di tre anni che segna il suo ingresso nel mondo della Torah e dei primi insegnamenti. Altra chicca, la scoperta dell' Ospizio austriaco situato nientepopodimenoche in via Dolorosa al 37, il Santo Sepolcro a 50 metri, buone relazioni col cielo veramente assicurate. Indirizzo prezioso per un soggiorno a Gerusalemme, costa veramente poco ed è bellissimo. Terrazzo con vista da sballo sulla città, costruito da pellegrini nel 1857, il palazzo conosce tante vicissitudini: presenza austriaca in Terrasanta fino alla prima guerra mondiale e residenza del console, poi luogo di studi e di accoglienza per i religiosi cristiani; requisito dai tedeschi nella seconda guerra mondiale (che internarono rettore e sorelle), alla fine del protettorato inglese viene affidato alla Giordania che lo ha trasformato in ospedale. E' solo nel 1985 che questo luogo magico, tutto rimesso a nuovo, ritrova la sua vocazione primaria, quella dell'accoglienza e questa volta per tutti.
Le amiche sono entusiaste, Gerusalemme piace da morire, bisogna tornarci e restarci di più.


Sto lanciando una nuova moda verbale: la Tel Aviv water. L'acqua corrente è buona, sicura e nei ristoranti te la servono senza problema, anzi, talvolta ci mettono pure fettina di limone, foglia di menta, ghiaccio e cannuccia. Non so come dire in ebraico e nemmeno in inglese "acqua del rubinetto" e così ho trovato la nuova dizione. Il fatto è che ai camerieri (mai professionisti, sono sempre gentilissimi studenti che si pagano in questo modo l'università), la dizione piace molto, ridono e la vogliono adottare. Lancio il marchio?

E' un'osservazione banale, ma la faccio lo stesso; bipede o quadrupede, ci vuole sempre e comunque fortuna. Oggi ho seguito da vicino il destino di un corpulento gatto soriano. Adagiato su un morbido cuscino dentro un cestino di vimini, è arrivato sul lungomare in bici col suo padrone. Entrambi sono scesi, il privilegiato si è cercato con nonchalance un angolo di spiaggia per le legittime funzioni fisiologiche, ha coperto il tutto di bianca sabbia e poi ha raggiunto in panchina il padrone che leggeva. Il gatto, con la notoria saggezza dei felini, pensava,. Non so a cosa.......

Mondaneggiamo: invitate da sconosciuti amici di amici, sabato ci mettiamo in ghingheri e finiamo a pranzo in superappartamento con terrazza e vista mare alla vecchia Jaffo.E' sempre molto interessante entrare nelle abitazioni dei locali. Il padrone di casa è un "anta" avanzato che ama la gioventù, femminile in particolare, sembra di essere al casting di un provino di veline, gli mollo in mano la pianta di orchidee comprata per una moglie che evidentemente non c'è. Specialità jemenite squisite, mangia pure Thea adepta del digiuno, c'è chi suona il piano, si conversa cosmopoliticamente more solitu, ambiente informale alla israeliana. Mi colpisce particolarmente il supertecnologico water. E' dotato di un minicomputer sulla parete, con vari pulsanti: wash woman, wash man, wash behind, clean, dry. Immagino effluvi e getti particolari, mi piacerebbe provare, ma non oso, coi bottoni faccio sempre casino, mi servo della vecchia carta igienica; pare che anche il Giappone in questo campo sia molto avanzato.

Oggi parte Thea, con un pò di rimpianto credo, lascia sole e caldo, l'aspetta la pianura padana. La immortalo mentre tenta di afferrare con la macchina fotografica l'ultimo tramonto locale. Con Gastone invece torneremo nelle nebbie lunedì 16 novembre, ma prima, l'ultima chicca, Petra in Giordania via Eilat, gita di venerdì e sabato prossimi, ma questa sarà......la prossima storia.


domenica 1 novembre 2009

Israele: In the middle of nowhere


Me lo aspettavo, con l'arrivo dei "gioielli" i ritmi sono totalmente cambiati; finite le mie giornate oziose e pigre al rallentatore; le chiacchere, le domande, la curiosità di scoprire insieme e la gioia di condividere ciò che si è già visto e fare da cicerone, mettono le ali ai piedi ed il motorino alla lingua, la sera ci si addormenta stravolti. Francesco avanza sempre soft, non ha esigenze particolari, non a caso ambisce a diventare "un saggio", Marco fa ottomila cose al minuto, smanetta col telefonino in continuazione, si è preso anche due appuntamenti con clienti israeliani ed ha piazzato un sacco di cataloghi Slide, è proprio business oriented e bulimico di tutto, ma va bene così, in quell'insalata russa che è una famiglia, ci sono tanti ingredienti e la maionese dell'amore li lega tutti.

Lunedì con la Egged (la compagnia locale) in autobus a Gerusalemme, 80 kilometri da Tel Aviv, 50 minuti di strada. Davanti alla stazione prendiamo poi il locale numero 1, quello che passando da Mea Shearim, il quartiere ortodosso per eccellenza, va diretto al Kotel ( il Muro del Pianto). La nostra meta è la città vecchia naturalmente, i luoghi sacri canonici, passare dal quartiere mussulmano a quello cristiano, dall'armeno all'ebraico, girare a caso per stradine millenarie, respirare quell'aria mistico-turistico-spirituale veramente unica. Bellissima una passeggiata sui tetti: non so bene come, ma siamo riusciti a prendere il vicolo giusto, la scaletta giusta ed a un certo punto planavamo in alto; ci siamo ritrovati davanti la cupola del Santo Sepolcro a sinistra, quella d'oro che ospita la pietra nera da cui Maometto si sarebbe librato in cielo per sedersi accanto Allah alla spianata del tempio, al centro, e il Muro del Pianto a pochi passi a sinistra; in linea d'aria, a tiro di schioppo, la più alta concentrazione di luoghi sacri del mondo, quelli delle tre fedi monoteiste di due miliardi e mezzo di persone, non scherziamo. A Gerusalemme molte città e civiltà si sovrappongono. Per esempio proprio il monte del Tempio è stato sede del primo e del secondo tempio degli ebrei, Erode vi eresse in seguito un santuario dedicato a Giove, poi divenne una chiesa cristiana e da ultimo Haram-ash-Sharif, il sacro luogo dell'ascensione di Maometto. Non è per essere polemica, ma cristianesimo e islam non hanno mai rispettato nelle loro conquiste i luoghi di culto altrui, pensiamo anche in tempi recenti al tentativo di convento ad Auschwitz o alla distruzione degli immensi Buddha di Bamiyan in Afghanistan. Terminiamo la giornata gerosolomitana con baci, abbracci, torte e thè a Pizgat Zehev, uno dei tanti quartieri nuovi sulle colline intorno, dai cugini paterni, i genitori di Eldad.

Conosco le sindromi di Stoccolma, di Peter Pan, di Muenchhausen e pure di Stendhal, mi mancava quella di Gerusalemme. Ma in fondo lo si poteva immaginare che con tutta questa sacralità, a qualcuno gli va il cervello in tilt. Negli anni 30, uno psichiatra locale ha studiato questa psicosi, che colpisce annualmente da 50 a 200 persone: dalla signora inglese piazzata sul monte Scopus con tazza di thè in mano, of course, nell'attesa imminente di Gesù al canadese che credendosi Sansone si scaglia violentemente contro il muro della sua stanza per sfuggire "elementare Watson" ai filistei, da chi si sente una reincarnazione della Vergine Maria all'australiano che mette a fuoco la moschea Al-Aqsa per distruggere i monumenti non cristiani della spianata del Tempio. La follia è sempre molto fantasiosa, ma stiamo tranquilli, è una forma benigna, pare che dopo qualche giorno sotto osservazione ospedaliera si recuperi il senso della realtà e ti rispediscano a casa.

Martedì, macchina a noleggio per tre giorni e via verso il sud, il deserto del Neghev che i ragazzi non conoscono e Mar Morto, per rilassarsi un pò.


Esempi di riflessioni "on the road" del "gioiello" Marco:
Cazzo, in spiaggia a Los Angeles non c'era neanche un albero, eppure mi sono beccato una cacca di goenland in un occhio. La merda di gabbiano è acidissima, per fortuna avevo gli occhiali da sole, mi poteva accecare.
Vorrei assaggiare il gooducken, è una specialità inglese natalizia, me ne ha parlato il nostro rappresentante. Si prende un groose ( piccioncino), lo si mette in un duck (anatra), che si infila poi in un turkey (tacchino), praticamente tre uccelli in uno da arrostire in forno, dev'essere buonissimo.
In fabbrica c'è una ragazza che si chiama Santina A ddolorata, quale sarà il suo diminutivo?
Però, son sfigati questi israeliani, a 500 kilometri in linea d'aria c'è una marea di petrolio e qui un c......

Francesco nota invece che in un prato ci piazzano le caprette a brucare per risparmiare la tosa-erba, che tutti sfrecciano nel deserto troppo in fretta, che abbiamo pernottato a Ein Bokek, la spiaggia chic, orribilmente turistica del Mar Morto, mentre a nord c'è quella di Kalya, autentica ruspante (ha ragione, poi ci andremo e sarà bellissimo, infangati a mollo nell'acqua ).
La sottoscritta viene presa in giro perchè smaccatamente di parte, sempre critica e non obbiettiva nei confronti dei fratelli arabi. E' un gran vecchio gioco fra noi, ci divertiamo con le dinamiche di un tempo, Marco fa il pirla, Francesco il professore polemico ed io la rompicoglioni.

Prima tappa Beer Sheva, dove anche se ora c'è tutto, pure un'ottima università, non si ha voglia di andarci a vivere perchè è una cattedrale in mezzo al deserto con clima di fuoco. Rispetto alla parte moderna che mi era sembrata senza anima, la città vecchia, visitata questa volta, ha almeno una sua personalità. Seconda sosta a Sde Boker, il kibbutz degli ultimi anni di Ben Gurion (ne ho già parlato nelle note del viaggio precedente). Ci ha molto colpiti la lungimiranza di questo statista che già nel lontano 1955 affermava:
Scientists must develop new technologies: low-cost processes for water desalination, applied solar energy, wind power for producing electricity, artificial lakes throught the Neghev and the study of desert flora and the special properties of local soils in order to introduce new crops.... Science has the power to contribute to the greatest global problem - the greening of the deserts - which has become the major concern of the nations of Asia, Africa and Australia

Infine la meravigliosa Shivta, in the middle of nowhere per cena e sonno ristoratore. Ci tenevo tanto che i ragazzi conoscessero questo posto in mezzo al nulla, la qualità del silenzio che solo il deserto sa trasmettere, la passeggiata al tramonto fra le rovine della vecchia città nabatea tutta per noi, l'attesa della squisita semplicissima cena di Ayala dondolandosi sull'amaca. Non mi sono sbagliata, erano entusiasti, non capita tutti i giorni un posto così.

Shivta, Mamshit, Nizzana, Haluza e Avdat (che visitiamo l'indomani) sono le città nabatee sulla "strada delle spezie" che dalla lontana India arrivavano via Petra fino a Gaza, il porto commerciale più importante sul Mediterraneo per le carovane. Sorte negli ultimi secoli prima della nostra era, queste antiche città conoscono il maggior sviluppo dal IV al VII secolo d.C. in concomitanza con l'apogeo bizantino. Le rovine archeologiche di Avdat sorgono su una distesa montagnosa a più di 600 metri d'altezza, tutt'intorno deserto, waadi, montagne e silenzio a perdita d'occhio. Passiamo naturalmente per Mitzpe Ramon col suo cratere circondato di montagne prima di raggiungere il Mar Morto, che non commento, le foto parlano da sole.







Il 30 ottobre, di ritorno a Tel Aviv, è stato un giorno veramente straordinario, ma non per i miei 60 anni, ci mancherebbe altro (anzi, 6+0, psicologicamente fa un altro effetto), ma perchè ha diluviato per più ore e non solo qui, ma dovunque in Israele, anche al sud. Ero mortificata per i ragazzi, sembrava un novembre milanese, e invece quasi festa nazionale, un miracolo, vera manna donata dal cielo, erano mesi e mesi che non si vedeva una goccia. Una giornata così da queste parti è una benedizione, invecchio sotto i migliori auspici. Ho festeggiato nel pomeriggio con una lunga, splendida passeggiata in riva al mare con Francesco mentre Marco dormiva e la sera con pantagruelica cena e spettacolo magico dai cugini materni Tami e Mino ed i loro figli. Sono proprio fortunata e commossa, grazie, grazie di cuore per tutti gli auguri affettuosissimi arrivati per sms ed internet.
La settimana è volata, Marco è partito stamani, Francesco me lo godo ancora due giorni. Faccio la mamma e dico che i miei gioielli sono proprio dei "gioielli". Per il prossimo compleanno se ne riparla fra dieci anni, c'è tempo.