Ci ho pensato un po' e poi mi sono detta che io non faccio la guida turistica né i miei racconti di viaggio hanno la pretesa di essere informativi per un giro della città, sono semplice condivisione di pensieri ed impressioni. Non racconterò perciò di tutto quello che ho visitato nella metropoli moscovita in due giorni e mezzo, scarpinando come una matta dall'alba al tramonto, con un caldo ed un'afa assolutamente milanesi e invidiando Gastone che non è mai stanca. Parlerò solo della metropolitana e del cremlino, le due cose che mi hanno più colpito. Già, la metropolitana, se non ci fosse quella terribile macchia nera, il sapere cioè quanto dolore e morti è costata, direi a cuor leggero ed entusiasta che è una cosa assolutamente strepitosa, uno, dieci, cento musei nel ventre profondo della terra. Majakovskaja, Teatralnaja, Kropothinskaja, Kievskaja, Arbatskaja….ogni fermata una sorpresa, un nuovo mondo, una vera meraviglia. La ricchezza dei materiali, vari marmi e pietre dure (granito, porfido, rodonite, onice) degli Urali, dell'Asia centrale, del Caucaso e dell'Ucraina, gli assemblaggi maestosi dei decori, la fantasia ed il sapere di artisti, artigiani ed architetti che vi ci si sono cimentati, fanno di ogni fermata una straordinaria opera d'arte. I complessi sotterranei sono ornati con mosaici, statue, vetrate, dipinti, bassorilievi, lampadari, un vero tripudio estetico che ti assale all'improvviso quando banalmente scendi dalla carrozza. Durante la seconda guerra mondiale la metropolitana moscovita ha rappresentato un solido rifugio antiaereo, dove la gente passava ore, giorni, mesi, sicuramente ci sono nati un sacco di bambini. La metropolitana di Mosca ha ora 270 stazioni e trasporta 9 milioni di persone al giorno. Con la scusa della costruzione della metropolitana, Stalin faceva demolire le chiese, soprattutto nelle belle vie aristocratiche, delle 2000 esistenti ne sono rimaste 1000, attualmente operative e non solo musei 500, restituite alla Chiesa, ma tuttora proprietà dello stato. La prima linea è stata inaugurata nel 1935, fra gli anni 30 e 50 le stazioni più belle, nel 1937 la Majakovskaja viene presentata all'Esposizione mondiale di Parigi e riceve il Gran Prix. Per forza, se lo meritava, e chi l'aveva mai vista una galleria del genere scavata a non so quanti metri sotto terra con tutti piloni metallici rivestiti di granito ed acciaio inossidabile? Spesso il tema della decorazione delle stazioni è legato al luogo in cui si trovano ed a ciò che vi è successo, si passa così da quelle classiche a quelle barocche a quelle moderniste con i mosaici che fissano per l'eternità falce e martello, i volti di Lenin e Stalin, le masse in cammino, o i fasti da palazzo imperiale. Ogni stazione il suo stile e la sua personalità, proprio come i palazzi di Mosca, esemplificativi dello scorrere della storia: le chiese greco-bizantine del 400, i palazzi civili del 1600, le case neo-classiche di fine XVIII, il modernismo liberty di fine XIX, lo strutturalismo degli anni 20 del 900 ( Bauhaus docet), l'architettura di regime iniziata negli anni 30 (classico massiccio con decori per celebrare i nuovi valori ), i casermoni popolari in periferia a partire dagli anni 50 e per finire 7 grattacieli che a parte pinnacoli e fronzoli in alto, richiesti espressamente da Stalin, assomigliano maledettamente all'Empire State Building. Secondo me Stalin ha visto delle foto di New York e moriva d'invidia. 2 grattacieli sono dei ministeri, 2 degli alberghi, 1 l'università e 2 case civili. In uno di quelli abitativi Stalin aveva avuto l'idea (per fortuna mai realizzata) di farci anche la prigione ed il crematorio, una razionalizzazione del tempo incredibile, così uno viveva, veniva arrestato e crepava senza mai spostarsi, il cosiddetto vita-morte in casa-bottega.
Cremlino: è per antonomasia il quartiere centrale di Mosca, proprio a ridosso della piazza Rossa, antica residenza degli zar prima, sede del potere del Soviet Supremo poi, palazzo dei congressi ora. Il Cremlino di Mosca era anche la sede del Patriarca-Metropolita, la guida spirituale e racchiude molti edifici storici, quali la cattedrale dell'Assunzione (dove si incoronavano i monarchi), la chiesa dell'Arcangelo S. Michele, l'Armeria, vari palazzi governativi, lo studio del presidente, la casa museo di Lenin e Stalin ( dopo di loro i potenti hanno iniziato ad abitare nella "dacia" fuori città). Stiamo parlando di una cittadella fortificata di 28 ettari, inizialmente sede del potere religioso, politico ed amministrativo, come potrebbe essere la Città Proibita di Pechino o lo stato del Vaticano. Subito fuori, della stessa pietra rossa, il Mausoleo di Lenin, il suo corpo conservato e curato come per gli antichi faraoni, una volta pare che davanti ci fossero code chilometriche, adesso quasi nessuno. Con grande ignoranza credevo che il Cremlino fosse una specificità di Mosca, ho scoperto invece che molte città antiche russe ce l'hanno, a Uglich l'abbiamo anche visitato. E qui cominciano le mie perplessità: Cremlino in slavo significa fortezza, dunque il cremlino di un paese rappresentava la sua cittadella fortificata, d'accordo, ma fortificata per chi? Risposta: solo per i rappresentanti del potere, non per gli uomini comuni. Il borgo medievale cintato di mura delle nostre città costituiva un riparo, una difesa per l'intero tessuto urbano, si chiudevano le porte e ci si riparava dentro di fronte al pericolo incombente, le campane della chiesa allertavano e suonavano a raccolta, la cittadella comprendeva tutto e tutti. Nei vari cremlini russi la gente non poteva accedere, tutt'al più venivano aperte talvolta le chiese. Una volta ancora mi colpisce e mi mette a disagio il divario fra questa storia russa a due velocità, da una parte il potere, zar, establishment, dittatori, chiesa, ori e stucchi, dall'altra la povera gente, milioni e milioni di povera gente che sembra non contare nulla e per tanti, troppi secoli. Poveri russi, ci credo che bevono vodka a tutto spiano, hanno dei mercati silenziosi come degli obitori, fanno fatica a sorridere, a fare con amore ed entusiasmo il loro lavoro, a partecipare costruttivamente a questa loro corsa disordinata verso la modernità. Devono digerire e rielaborare una non-abitudine al rispetto ed alla libertà, una miseria endemica, una natura ostica, territori sconfinati ed inospitali che favoriscono la solitudine e non certo l'aggregazione, servi della gleba prima, vittime del collettivismo forzato poi, una religiosità austera dal carattere più punitivo che consolatorio. Forse effettivamente è meglio cantare, così non ci pensi.
Paka Rassii, spassiba, dasvidania! Ciao Russia, grazie ed arrivederci!