Tutti a bordo! La motonave Generale Lavrinenkov realizzata nel 1990 in un cantiere della Germania dell'est ci accoglie al molo con il primo ed ultimo cosacco del percorso ( baffi Stalin style, costume tradizionale, petto tronfio) che suona la fisarmonica ed una bionda fanciulla trecce da Heidi ( una treccia significa che sei signorina, due trecce con riga in mezzo posteriore che sei sposata) che offre pane con sale in segno di benvenuto.
315 la nostra cabina, piccola e spartana ma c'è tutto, armadio, frigo, doccia funzionante, filodiffusione e persino la tele, mai aperta. Nel tradizionale cocktail di benvenuto col comandante ci viene presentato lo staff di bordo: il secondo in coperta, il medico, il traduttore Dimitrij (nostalgico stalinista nonchè antisemita come apparirà nelle sue "lezioni di storia russa"), l'équipe degli animatori (Olga e Tanja, ucraine, per i corsi di lingua russa, canto popolare, cucina russa, balli folcloristici durante la navigazione) e per finire Alexey, il capo cuoco. Alla parola magica "chef", nel silenzio generale esplode un fragoroso applauso ed il signore romano alle mie spalle urla:- bravo Alexey, facce magnà bene-. L'italica fantasia non finirà mai di sorprendermi. Avremo poi modo una mattina di visitare la cabina di comando e la sala macchine, cilindri, tubi e turbine, come il ventre ingarbugliato, caldo e misterioso di un corpo umano. La nave a 3 piani è lunga 115 metri, ci lavorano in 120, può ospitare 215 persone, ma ora siamo solo 110, nulla a che vedere con le megalopoli galleggianti della Costa che solcano mari ed oceani, questa è una nave piccola, a misura d'uomo, ma la navigazione fluviale è proprio un'altra cosa.
E la barca......va.... e come al solito sull'acqua è il rinnovarsi di una gioia immensa, un appuntamento con i ritmi dilatati, lo scorrere lento di ore, foreste, isbe, mucche, bambini, chiese dalle cupole a cipolla. Ogni giorno di navigazione offre una tappa a terra, meta apparente del viaggio vedere-visitare-conoscere, in realtà con Gastone condividiamo l'amore per l'incontro con l'acqua, l'andare per l'andare, la vegetazione rigogliosa che si specchia lungo i bordi, isolette ed insenature dai mille verdi silenziosi, un rassicurante senso di pace, tutto scorre lentamente e noi ci sentiamo fluire in fruttuosa monotonia con la natura intorno.
Il trio Kalinka, (e come altrimenti si sarebbe potuto chiamare?) tra un burraco e l'altro allieta le nostre serate, il cosacco con fisarmonica, una balalaika ed una balalaika contrabbasso, strumenti formalmente bellissimi e dalla musicalità composita, allegra e nostalgica, appassionata e velata di tristezza, bravissimi, un vero piacere ascoltarli.
La prima sosta è Mandroga, idea business di un milionario moscovita, versione disneyana di un "tradizionale" villaggio russo dell' 800 interamente ricostruito. E' un vero, finto acchiappa turisti tra ponticelli, laghetti, isbe rifatte, negozietti e ristorantini. La mercanzia è sempre terribilmente la stessa, matrioske (c'è la variante Obama), icone, cianfrusaglie in legno intarsiato o dipinto, ambra finta o vera incastonata in montature improponibili, vodka e pizzi obsoleti, con tutta la più buona volontà consumistica del mondo non riusciamo a comprare uno spillo, spiace per tutti quegli artigiani che si trasferiscono qui con le famiglie nei mesi estivi per rimpolpare i magri bilanci. Mandroga è però una bella occasione per una camminata in mezzo alla natura ora verde e generosa, resistente ai meno trenta o cinquanta gradi dei lunghi inverni. Nel 2001 qui c'è venuto Putin che si è fatto riprendere alla televisione mentre torniva un vaso di terracotta. ah beh....allora.....
In direzione di Kizhi, si attraversa il lago Ladoga, il più grande d'Europa. Ne ignoravo l'esistenza (sono una bestia in geografia), ma è praticamente un mare, per ore ed ore la barca lo attraversa, nulla di solido è avvistabile all'orizzonte e come al mare ci sono le onde, nelle tempeste possono superare i 3 metri e mezzo, ci dice il comandante, nella crociera precedente si è dovuto effettivamente sostare un giorno ai bordi per aspettare migliori condizioni (Gastone è sul chi vive). Siamo poi sul fiume Svir, corso d'acqua navigabile di 230 km ed in parte canalizzato: due gigantesche chiuse, ne attraverseremo 16 nel nostro percorso, formano il tratto finale del canale che collega il mar Baltico al mar Bianco. (Le chiuse meriterebbero una descrizione a parte perchè sono costruzioni imponentissime, 400 metri di lunghezza, nulla a che vedere con quelle minuscole che conoscevo dei canali francesi). L'idea di collegare i due mari risale all'epoca di Pietro il Grande, ma è Stalin a partire dal 1930 che la concretizza. Per evitare l'importazione di macchinari costosi, per la bassa manovalanza Stalin opta per i lavoratori forzati dei gulag, il personale specializzato invece viene semplicemente fatto arrestare dalla polizia segreta, tanto in dittatura non serve mai una motivazione, l'arbitrio gratuito è sovrano.All'epoca si utilizzano 180.000 prigionieri per volta, ma nessuno sa ancora oggi la verità perchè i sopravissuti saranno poi utilizzati per la realizzazione di altri canali (quello che collega Mosca al Volga per esempio attraverso il fiume Moscova) o la metropolitana moscovita. Una vera carneficina, un milione di persone le vittime stimate. Ufficialmente il regime sosteneva che queste opere pubbliche rappresentavano un'occasione di riabilitazione civile per i criminali. L'impiego di prigionieri forzati per l'edificazione di grandi costruzioni edilizie pare sia stata la norma nella repubblica sovietica staliniana seguendo un metodo già adottato da Pietro il Grande, proprio come gli schiavi in Egitto per le piramidi 4000 anni fa, alla faccia del progresso. Documentarsi sui capitoli bui di questa storia sconcerta e fa rabbrividire, le bucoliche rive, i paesaggi selvaggi ed incontaminati, quest'acqua che scorre maestosa e tranquilla, tutto si colora di rosso, e non è il rosso spento della barbabietola del piatto nazionale borsch, è agghiacciante rosso vivo, rosso sangue.
Qualche ora dopo segue il lago Onega, secondo in Europa per estensione. la metà settentrionale del lago è ricca di penisole ed isole, 1600 nell'arcipelago, dominio di Ves e Saami, le antiche popolazioni ungro-finniche di questa regione, la Carelia. Qui c'è l'isola di Kizhi, dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità. E' praticamente un museo di storia, architettura ed etnografia a cielo aperto. I più begli esempi di costruzioni in legno della regione sono stati smontati dai vari villaggi dei dintorni, restaurati e concentrati qui. 2 chiese, una d'inverno ed una per l'estate come si usa da queste parti, 2 grandi fattorie di contadini benestanti (stanze abitative, stalla e fienile nella dimora (si arriva a meno 50 in inverno e dunque non si esce), un mulino, l'organizzazione di un villaggio insomma, con le abitazioni disseminate lungo la riva del lago, i campi e gli orti sul retro. Il fascino indiscusso del luogo risulta dalla somma di più fattori, la sapientissima dovizia artigiana ed artistica delle costruzioni, la bellezza del lago e della natura tutt'intorno, il senso di mistico silenzio e solitudine che lo circonda.
L'indomani è la volta del piccolo paese di Goritsy in Vologda, la regione russa più estesa. Visitiamo il monastero maschile fondato da San Cirillo sul lago Bianco nel 1397 e divenuto nel tempo il più grande ed artisticamente ricco della Russia grazie alla sua posizione cruciale sulle rotte che da Mosca portavano al mar Bianco. Come molti altri monasteri di questo periodo anche quello di San Cirillo è circondato da possenti mura che servivano a fortificarlo e proteggerlo dalle incursioni nemiche. Funzionavano all'epoca un ospedale, una prigione per gli indesiderabili dello zar, un grande refettorio e poi da metà XVIII secolo un lungo declino, la confisca di Caterina II di tutti i beni in cambio di una magra pensione per i monaci (la zarina doveva evidentemente rimpinguire le sue favolose collezioni e la confisca pare vada molto di moda da queste parti). Nel 1924 poi i bolscevichi chiudono del tutto il monastero, hanno scoperto che la religione è l'oppio dei popoli e cara grazia che il monastero non è mai diventato un magazzino-deposito, sorte toccata a molti altri luoghi di culto importanti. Ora è spazio museale, ma una parte è stata restituita alla chiesa e ben 9 monaci sono tornati a viverci.
Nessun commento:
Posta un commento