“passa ad altro”, "gira pagina": sono frasi che sento pronunciare spesso e che hanno il potere di mandarmi in bestia. Il fatto è che tutti hanno fretta ed in tutti i sensi. Fretta di fare, fretta di andare, fretta di incominciare, fretta di finire, fretta di capire, fretta di giudicare. Persino la lingua ha fretta: SDF, sans domicile fixe, in Francia li chiamano così i senza fissa dimora, la tragedia della vita di un uomo concentrata in 3 consonanti, emigrato o handicappato sono parole più fortunate, hanno anche le vocali, ma dietro c’è tutto un mondo di difficoltà, di disagio, di storie complesse e variamente sfumate. Certo queste sono le grandi prodezze della comunicazione che nella difficoltà di chiamare cose e persone semplicemente col loro nome, sa trasformare uno spazzino in operatore ecologico, dizione molto più chic, ed un cieco in un "non vedente", peccato che il buio per lui sia sempre lo stesso. Forse meglio non dire e mettersi in ascolto, poche lettere dell’alfabeto e fantasie linguistiche politically correct mi sembrano davvero insufficienti. Una corsa costante “contro” il tempo, ma perché non camminare “con” il tempo? "Passa ad altro" mi sembra implicitamente dire che quello che facevi prima non contava niente, non valeva niente, nemmeno il tempo del dolore, nemmeno quello del sapore della gioia, presto presto tutto finito, digerito, consumato, quasi come una nocciolina americana o una patatina fritta, che rinviano subito a quelle successive. Penso che ci siano tempi e modi da rispettare per girar pagina, per passare ad altro, sono i tempi del cuore, del corpo e della mente, sono i tempi indefinibili interiori di cui ciascuno differentemente abbisogna, poi con la valigia piena della propria storia si potrà finalmente passare ad altro. Senza fretta, evviva la lentezza!
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