Corriere della Sera: domenica 17 aprile 2011
La lettera di Etgar Keret, scrittore israeliano
"La madre ci ripensi. La nostra Terra merita speranza"
La notizia dell'omicidio di Vittorio Arrigoni mi è giunta improvvisamente mentre mi trovo impegnato nel festival letterario a Venezia, che verte sul tema a dir poco ambizioso degli " incontri di civiltà". Riguardo agli esecutori materiali del delitto, è impossibile penetrare nella mente di un gruppo di persone capaci di uccidere a sangue freddo un pacifista che era venuto ad aiutare il loro stesso popolo. Ancor più difficile farlo, quando ci si trova nella splendida cornice di Venezia. La madre di Vittorio Arrigoni ha chiesto che il corpo del figlio venga riportato in Italia senza passare da Israele, perché l'attivista aveva combattuto tutta la vita contro lo Stato ebraico. Il suo gesto, è stato detto, è simbolico. E difatti incarna un simbolo potente. E' il simbolo della deprimente radicalizzazione della regione in cui vivo e si traduce nell'intransigenza di Israele, che occupa da più di quarant'anni i territori palestinesi; nell'intransigenza degli assassini fondamentalisti islamici che le hanno ucciso il figlio e nell'intransigenza del gesto della madre. Un gesto che, nel voler distinguere il bene dal male, nega completamente la possibilità di qualsiasi ambiguità e di ogni sfumatura di grigio. La terra di Israele è forse tanto empia da non poter essere attraversata da un morto? E i suoi abitanti sono forse tanto abbietti che il loro semplice contatto rischia di profanare quel corpo? Sarà forse la negazione dell'esistenza di Israele e dei sette milioni di ebrei e musulmani che vi abitano ad accelerare quel processo di pace e quella liberazione per la quale il figlio aveva varcato i mari e combattuto per tutta una vita? Mi auguro che Vittorio Arrigoni sia stato più pro palestinese che anti israeliano. Eppure, anziché incarnare un gesto di compassione e di umanità verso il popolo che aveva voluto aiutare, il suo ultimo viaggio diventa simbolo dell'odio e del rifiuto verso coloro che considerava nemici. E se questo è quanto la mia regione sa offrire in memoria di un pacifista assassinato, quali possono essere le speranze per una pace futura?
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