giovedì 23 giugno 2011

Cambogia: 3 anni, 8 mesi, 20 giorni

Credo sia stato un errore programmare di visitare la Cambogia per due settimane dopo il Myanmar secondo il criterio che i due paesi erano "vicini". Geograficamente senz'altro, ma non è una ragione sufficiente. Le esperienze intense richiedono una pausa di riflessione e di digestione, le immagini possono sovrapporsi e si rischia di fare paragoni o paralleli  inutili e sbagliati, all'impatto di certe storie bisogna poi prepararsi e io certamente non lo ero a sufficienza. Anche in Cambogia sono umanamente gentilissimi e disponibili, dal carattere dolce e mite, gente splendida, la matrice buddhista è la stessa, ma è il sorriso che mi è subito mancato e anche quando c'è, non ha la stessa limpidezza, la stessa qualità senza ombre. E come sarebbe possibile un sorriso aperto e sereno in un popolo che ha "appena" vissuto un genocidio? Circa  2 milioni di morti su una popolazione all'epoca di 7 milioni e mezzo, numeri da capogiro.  Uso consapevolmente l'avverbio "appena", 32 anni da quel 7 gennaio 1979 non sono nulla per la Storia con la s maiuscola, ma rappresentano una ferita (meglio forse dire voragine) indelebile e vivissima per la cronaca, con genitori allora bambini ancora in vita, generazioni di figli e nipoti che sono figli e nipoti di chi ha visto, subito e attraversato il male assoluto. Al di là della gentilezza della gente, al di là di una frenesia di vivere che abita i giovani, al di là di comprensibili silenzi che tentano di rimuovere il non rimovibile, al di là di luci e caffè gremiti specie nelle città, ogni famiglia cambogiana conta i suoi morti e deve fare i conti con il suo dolore, il trauma recente risulta percepibile anche al viaggiatore di passaggio. In Cambogia si coltivano i fiori di loto, al mercato se ne vendono mazzi, pare che i suoi semi  diano l'oblio, se solo fosse possibile.

Non posso immaginare di iniziare i miei post cambogiani scrivendo di musei, mercati, palazzi, sculture e manicaretti locali e mostrando foto di Angkor, di un glorioso passato e di fameliche, incredibili radici di alberi che si inghiottono tutto. Certo lo farò, sono una turista e sono venuta per questo, ma in seguito. Dopo una storia tormentata ed una fratricida guerra civile, c'è stato un buco nero, iniziato il 17 aprile 1975 e conclusosi il 7 gennaio 1979, 3 anni, 20 mesi e 8 giorni di vero inferno, per mano del famigerato fratello N. 1 Pol Pot e dei suoi accoliti Khmer rossi. Sento che anche nell'inevitabile superficialità di un viaggio di due settimane devo partire da quel buco nero per rispetto dei morti, dei vivi e della loro storia.

Quel 17 aprile 1975 gli abitanti di Phnom Penh sono usciti dalle case per accogliere ed applaudire l'armata vittoriosa dei khmer rossi che entravano in città per liberare il paese dal giogo di colonialismi vecchi e nuovi. Quel giorno doveva significare la fine di una guerra tra fratelli, il ritorno alla pace, ad una vita serena, l'ora tanto attesa per partecipare finalmente tutti insieme alla ricostruzione nazionale. Ma nel giro di poche ore alla gioia hanno fatto seguito gli spari, l'esplosione di bombe, selvaggi atti d'intimidazione e di saccheggio, massacri barbari di coloro che si rifiutavano di abbandonare improvvisamente la loro casa e la capitale per ignota destinazione. L'ordine era di evacuare immediatamente la capitale, solo per tre giorni veniva detto, perché gli americani l'avrebbero bombardata da un momento all'altro. Nel giro di poche ore le arterie della città che andavano nelle 4 direzioni, erano piene di gente da scoppiare, tutti espulsi sic e simpliciter dalla loro vita, un formicaio impazzito, malati in barella costretti a lasciare gli ospedali, vecchi che si trascinavano a stento, famiglie che si sono frammentate senza mai più ritrovarsi, bambini sfuggiti di mano ai genitori persi per sempre. Funzionari, militari del vecchio regime, studenti, intellettuali, medici, cambiavano i loro vestiti, si affrettavano a distruggere i loro documenti, diplomi compresi; di fronte ai khmer rossi  dal grilletto facile bisogna sbarazzarsi più in fretta possibile di ogni traccia di "cultura capitalista", di ogni "segno" del passato. Nel giro di pochi giorni Phnom Penh diventa una città fantasma: " J'avais l'impression de traverser un cimetière, les batiments semblaient des tombes bordées de fleurs". (2) Non c'è bisogno di aspettare l'evolversi degli avvenimenti, nemmeno un minimo lasso di tempo per coltivare la speranza, l'Angkar, l'organizzazione rivoluzionaria, questa misteriosa entità smaterializzata dei khmer rossi, insondabile e arbitraria come un dio irraggiungibile, emana da subito i suoi ordini dall'alto e mostra il suo volto infernale.

i flussi migratori coatti dalle città alle campagne
  " Les gens qui demeuraient au nord de la ville étaient contraints de partir vers le nord, ceux du sud prenaient obligatoirement la direction du sud, et ceux qui demeuraient à l'ouest marchaient vers l'ouest; un seul objectif: quitter la ville pour la campagne par le plus court chemin.....   Cette
évacuation généralisée, massive, relevait d'une conception nouvelle de la société: l'idée meme de la ville devait disparaitre.....Il fallait faire table rase et construire une société égalitaire de type rural". (1). Un commissario politico spiega: " La ville est mauvaise, car en ville il y a l'argent. Les gens, eux, sont réformables, mais pas la ville. En suant pour défricher, semer, récolter, l'homme connaitra la vraie valeur des choses! Il faut que l'homme sache qu'il nait du grain de riz!"(1)


Nella presa della capitale niente è stato lasciato al caso, l'occupazione militare dei luoghi, l'evacuazione della popolazione, le fossi comuni per coloro che hanno un qualunque legame di responsabilità col passato, si interrompono  l'acqua e l'elettricità della città per scoraggiare ogni possibilità di resistenza. I rivoluzionari hanno puntato sull'ingenuità e la docilità  dei loro compatrioti, non immaginabile una tale utopia mortifera.
"L'Angkor doit déraciner trois montagnes: l'impérialisme, la féodalité. le capitalisme réactionnaire. Par "féodalité" il faut entendre: les fonctionnaires, la religion et les traditions populaires."(1)


Sradicare le persone dal loro habitat, disgregare  famiglie e comunità, spostarle continuamente da un'unità agricola ad un altra, sopprimendo il loro contesto sociale, religioso, tradizionale, significa spezzare ogni legame col territorio, con la propria storia, togliere da sotto i piedi qualunque valore di riferimento. Portare abiti colorati mostra l'attaccamento alla città ed alle sue nefaste influenze (va bene solo l'abito nero tradizionale dei contadini), obbligatori i capelli corti, quelle lunghi sono segno di perversione e pigrizia, il baratto è l'unico scambio possibile, soppresso il denaro, scandalo del mondo occidentale, disdicevole mangiare le uova, fecondate diverranno tante galline, futura carne per la popolazione, persino ridere sarà bandito." Pour la première fois depuis des semaines, j'éclatai de rire et, tout aussi vite, je plaquai la main sur ma bouche. Il ne fallait surtout pas qu'un Khmer rouge entendit des rires venir du foyer d'un Nouveau". (2) Ogni giorno è scandito da immane lavoro, deprivazione di tutto, tanta tanta fame (da 500 a 700 grammi di riso al giorno per una trentina di persone), terrore, malattie da fatica e denutrizione, l'esercizio arbitrario del potere, morte.

Sul monte Sinai Mosé abbandona momentaneamente il gregge per andare a cercare una pecorella che si era smarrita, questione di sottolineare la preziosità di ogni singolo soggetto, Pericle sosteneva che una vera democrazia deve conoscere il nome di ogni cittadino. Nelle dittature, e non finirò mai di stupirmi e di indignarmi, il percorso è alla rovescia, si procede sistematicamente alla disumanizzazione dell'individuo, alla negazione dell'uomo;  ad Auschwitz basta un numero marchiato a vivo sul braccio per riassumerlo come un capo di bestiame, in Cambogia per rivoluzionario ideale si profila il modello del  "compagno bue". -"Voyez le boeuf, camarades. Admirez-le! Il mange où on lui ordonne de manger. Si on le laisse paitre dans un champ, il mange....Il ne peut pas aller et venir, il est surveillé. Quand on lui demande de tirer la charrue, il s'exécute. Il ne pense jamais à sa femme et à ses enfants".-  Souvent, lors des réunions, les Khmers rouges parlaient du "camarade boeuf" comme du révolutionnaire idéal....Camarade boeuf ne refusait jamais de travailler. Camarade boeuf était obéissant. Camarade boeuf ne se plaignait pas. Camarade boeuf ne protestait pas quand sa famille se faisait tuer". (2) Non a caso una seduta di autocritica nei campi di rieducazione doveva terminare con le seguenti parole: "Je m'abaisse pour que l'Angkar puisse me purifier, me critiquer et m'éduquer à devenir encore plus soumis". (2)

Le foto di questo post sono di Tuol Sleng, uno dei licei della capitale. Dopo il 17 aprile 1975 la cricca di Pol Pot l'ha trasformata in prigione, il più grande "Centro di sicurezza" della Cambogia, chiamato S-21. Qui sono stati imprigionate, torturate e massacrate migliaia e migliaia di vittime, il corpo vivo di una nazione, con mogli e figli. Numerose prove,(minuscole celle di mattoni o legno, strumenti di tortura, documenti, le liste dei nomi dei detenuti, foto, indumenti) testimoniano dell'atrocità e delle torture più barbare che vi sono state perpetrate, il risultato dell'applicazione di un'ideologia spinta all'estremo della sua logica che ha adoperato un intero popolo come cavia da esperimento. L'utopia, realizzazione oltre ogni limite del maoismo cinese, auspicava il ritorno alla terra, la rivendicazione di ogni autonomia, l'uso della medicina tradizionale, una società rigorosamente ugualitaria. Ha prodotto solo ingiustizia, sofferenza, silenzio e morte.

La Cambogia detiene un altro drammatico primato, è stato il paese più bombardato al mondo, più bombe, razzi, missili, mine che sull'intera  Europa durante la seconda guerra mondiale. Per quattro anni, fino alla proibizione nell'agosto 1973 del Congresso americano di continuare i bombardamenti, una pioggia di fuoco ha devastato popolazione civile e paese che viet-cong e soldati  nord-vietnamiti adoperavano come base logistica per attaccare il sud-Vietnam. Una sporca guerra che ha causato la progressiva penetrazione dei comunisti vietnamiti e dei loro alleati Khmer rossi. Vicino a Siem Reap visitiamo un museo fondato dal cambogiano Aki Ra, un ex-bambino soldato che negli anni ha raccolto e catalogato  questi orrori e che dedica la sua vita a testimoniare la tragedia del suo popolo in giro per il mondo ed a sminare questi strumenti di morte ancora presenti a migliaia nel suo paese, proibito avventurarsi dovunque fuori dai sentieri battuti e già sminati, anche ora, in tempo ormai di pace ci sono regolarmente delle vittime civili. I guadagni del museo servono a finanziare campagne di sensibilizzazione e a sostenere un orfanotrofio- centro di riabilitazione e di formazione operativo sul posto.
Colpisce la ricchezza e la varietà dell'inventiva umana canalizzata sul male e constatare quanti paesi abbiano "generosamente" contribuito alla devastazione.
Tutti i numerosi gruppi musicali che suonano per i turisti davanti all'uscita dei templi sono costituiti da uomini mutilati, memento e testimonianza della follia umana e del vissuto di un popolo. Scelgo però di terminare il post con questa foto chiaramente simbolica: sculture senza testa o deturpate, la Cambogia ne è piena, distrutte dagli eventi, rubate o tagliate e vendute per denaro, muti testimoni di depredazione e disprezzo della grande cultura khmer.

(1) François Ponchaud: "Cambodge année zéro".  Editions Kailash seconda edizione luglio 2001
(2) Pin Yathay:"Tu vivras mon fils. L'extraordinaire récit d'un rescapé de l'enfer cambodgien". l'Archipel 2000
3) interessante il blog della mia amica Alex che ha vissuto come cooperante alcuni mesi in Cambogia http://alex-au-cambodge.blogspot.com/2009/04/rencontre-avec-un-des-trois-derniers.html

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