chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l'avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende,
regala.
Gianni Rodari
venerdì 29 luglio 2011
i bambini di Cambogia
giovedì 28 luglio 2011
la testa di bambola sul Tonle Sap
Dalla capitale verso il nord-ovest del paese, a Battambang, il classico itinerario "mordi e fuggi"; ne provo un certo disagio, mi sembra quasi un mancare di rispetto ai luoghi ed alla sua gente. La strada è agevole e ben asfaltata, con il beneficio di inventario del semplice sguardo fuori dal finestrino mentre la macchina macina i chilometri, si vedono sfilare belle case in legno o in muratura, le campagne sono verdissime, i campi perfettamente allineati.
Una prima sosta a Phnom (=collina) Banan, una trentina di chilometri a sud di Battambang. All'ingresso dei monaci in legno in meditazione intorno al Buddha e degli imponenti Naga che fungono da ringhiera ad una scala in pietra di ben 358 gradini (terribili da farsi perchè altissimi). I Naga sono creature con busto umano e coda di serpente, ricorrenti nella mitologia induista e vedica (in sanscrito nag significa serpente).
Con diverse simbologie e sfumature interpretative nei vari paesi del sud-est asiatico, ai naga vengono attribuiti grandi poteri . Un naga, serpente a sette teste, avrebbe protetto il Buddha. Ci sono poi culture che si sentono eredi dei naga, come i cambogiani per esempio, leggendario frutto dell'incontro fra una principessa naga ed il primo re dell'antica Cambogia.
Salendo lemme lemme per il caldo e la fatica su alcuni alberi vedo la segnalazione anti mine, un invito a non avventurarsi assolutamente fuori dai sentieri tracciati. La Cambogia conta una lunghissima coda di 25.000 persone mutilate per lo scoppio di una mina. Ancora oggi, malgrado le intensive campagne di sensibilizzazione al rischio, una media di 20 persone al mese resta uccisa o ferita, relativo grande progresso rispetto agli anni 90 quando il numero si aggirava sui 300 mensili.
La ripidissima scala lassù in alto prometteva meraviglie, ma arrivate in cima, il tempio è semidistrutto, solo la vista a 360 gradi su tutta la natura circostante non deluderà. I fedeli vengono a fare offerte al Buddha posto sulla sommità. Il luogo è stato usato come postazione di osservazione e controllo del territorio dai khmer rossi. Nei dintorni visitiamo anche Phnom Banon nella speranza delusa di visitare la vigna e le istallazioni agricole dove l'unico produttore di vino cambogiano produce un cabernet sauvignon dal sapore pare squisito e molto particolare. Lo confesso, Gastone e la sottoscritta siamo totalmente astemie, nessuno è perfetto, la degustazione proposta non ci interessa e tanto meno l'acquisto di bottiglie.
Di Battambang la Lonely planet racconta grandi cose: che dopo Siem Reap, PhnomPenh e Sihanoukville è la quarta destinazione turistica del paese, che è una città piena di charme dall'architettura coloniale molto ben preservata, fusione di modernità e della tranquillità della città di provincia. Sarà, forse non ho saputo guardare, ho visto qualche stabile d'epoca interessante, abbiamo anche cenato al Villa, hotel-ristorante in una residenza coloniale anni 30 magnificamente restaurata, ritrovato i numi tutelari nell'altarino davanti a casa come in Birmania, ma non ho respirato nell'aria tutto questo fascino. Il lungo fiume per esempio non animato e sporchissimo, non lasciando trasparire niente di buono per la nostra attraversata in barca dell'indomani. Stupende invece queste due signorine e, non vorrei sembrare cinica, le casse da morto colorate e istoriate per chi preferisce essere sepolto piuttosto che cremato.
Per andare in macchina da Battambang a Siem Reap porta d'accesso per visitare i templi di Angkor, ci vogliono grosso modo due ore, naturalmente con il nostro grande amore per l'acqua abbiamo scelto la via fluviale, 5 ore previste durante la stagione delle piogge, 9 negli altri periodi
e noi di ore ne abbiamo messe 13, giunte a destinazione trainate da una corda, dopo due ore di attesa su una casa galleggiante perché il motore, poverino, a un certo punto è andato in tilt. L'avventura c'è stata ed il sedere quadrato pure.
Decisamente fine febbraio, primi di marzo, era un momento sbagliato, il livello dell'acqua era molto basso. Abbiamo navigato su un tronco di fiume, che introduce al lago Tonlé Sap, il cuore cambogiano, la più grande distesa di acqua dolce del sud-est asiatico, che fornisce pesci e irrigazione a metà della popolazione del paese.
La scarsezza d'acqua evidenzia ancora di più il degrado ambientale, gli argini dissestati, baracche in lamiera e capanne che talvolta non sono neanche capanne, nemmeno palafitte dai sostegni ritagliati, ma direttamente tronchi d'albero infilati nel terreno.
Il colore dell'acqua è marrone intenso, sembra di navigare su un cappuccino, bottiglie di plastica galleggiano un pò ovunque, ma forse servono per segnare dei limiti per le barche.
Il Tonle Sap, dichiarato riserva della Biosfera dall'Unesco nel 1997 è la risultante di uno straordinario fenomeno naturale, un sistema combinato tra lago e fiume. Da giugno a ottobre durante i monsoni, il livello del Mékong aumenta a tal punto da sfociare nel lago invertendone il percorso. Con la ricchezza delle sue acque ne aumenta la portata e la profondità che da due metri arriva fino a 10.
Nella stagione secca, dedicata alle attività peschive, invece, è il Tonle Sap che riversa nel Mékong l'eccedenza delle sue acque. (bellissimo il sistema di reti cinesi come a Cochin). Le foreste limitrofe inondate con depositi annuali di ricchi sedimenti favoriscono la fertilità del suolo e l'agricoltura.
Leggo che il Tonle Sap è un habitat faunistico d'eccezione per uccelli, pesci e tartarughe, purtroppo non li ho visti. Ho trovato invece una testa di bambola sospesa a un tronco sull'acqua, uno scalpo di plastica biondo che sorride ai naviganti: Troppo bella, non potevo non fotografarla.
martedì 26 luglio 2011
Phnom Penh
Via Bangkog arrivo a Phnom Penh da Yangon di sera. E' fine febbraio, la stagione delle piogge sta per iniziare, il caldo umido gonfia l'aria, una coltre densa e soffocante che spezza le gambe e rallenta l'adrenalina per la nuova città da scoprire, in realtà vorrei accamparmi sotto la doccia e non muovermi più.
Dopo un mese di Myanmar, grandi spazi e poca gente, la quiete delle campagne, la serena operosità dei villaggi, il silenzio dei monasteri, l'austera parsimonia di luci, rumori e comportamenti persino nella capitale Yangon, Phnom Penh, alla prima passeggiata esplorativa notturna sembra una città tentacolare di quasi 2 milioni di abitanti, una babele modernissima, figlia d'oriente e d'occidente, tutta neon, motorini, tuc tuc, macchine, biciclette, clacson, musica a manetta, locali gremiti, piatti per i turisti stracolmi di vivande. Intuibili da subito certe contraddizioni, povertà e ricchezza, fascino e caos. Mi colpiscono in particolare la giovanissima età dei locali, scollature e minigonne ardite (per la gioia e la vergogna dei pedofili e dei consumatori stranieri di sesso), ragazzi che, banchetto appeso al collo, non vendono sigarette o souvenir, ma libri, merce preziosa perché negata in un passato non ancora remoto.
Sono solo le prime superficiali impressioni, ma documentandomi in seguito come faccio spesso nei viaggi per non farmi condizionare "a priori", scoprirò che sono valide. Pare che in Cambogia tutto sia in vendita: templi antichi, statue angkoriane, parchi nazionali, persino siti del genocidio e con tragica consequenzialità anche le persone. Leggo che nel 2005, durante la visita del paese, il direttore della Banca Mondiale, richiesto di riassumere il paese con tre parole abbia detto davanti all'élite del governo: "corruzione, corruzione, corruzione".
La tradizionalmente onesta e scrupolosa popolazione locale deve quotidianamente confrontarsi col malcostume generale pagando medici ed infermieri perché facciano con un pò di attenzione il loro lavoro che dovrebbe essere gratuito, professori che promuovono non certo in base al rendimento scolastico, impiegatucci della pubblica amministrazione solerti solo dopo la riscossione. Non è certo una giustificazione, ma un tentativo di comprendere, l'indigenza è grande e c'è chi rimpingua i magri bilanci arrangiandosi indegnamente.
Bisognerà attendere il mattino per incontrare in una luminosità lunare la maestosità del mitico Mékong che dal lontano Tibet percorre instancabile 4800 chilometri di cui 500 in Cambogia (in certi punti largo fino a 5 chilometri) prima di terminare il suo percorso nel mare della Cina meridionale, a sud del Vietnam.
Saranno le luci dell'alba a svelare le abitudini cittadine nella quotidianità diurna, ginnastica e tai chi sul lungofiume che sembra un lungomare.
La leggendaria Angkor, ciliegina finale del nostro viaggio, tramonta agli inizi del XV° secolo e da allora subentra la capitale Phnom Penh in posizione geograficamente più interessante per il commercio fluviale con Laos e Cina via il delta del Mékong. E' durante il protettorato francese (1863-1953) che la città viene divisa in quartieri secondo un piano urbanistico tuttora attuale. Andandosene i "protettori" lasciano edifici prestigiosi come il Palazzo Reale, il Museo Nazionale, il mercato centrale Psar Thmei, vari ministeri.
Dopo un mese di Myanmar, grandi spazi e poca gente, la quiete delle campagne, la serena operosità dei villaggi, il silenzio dei monasteri, l'austera parsimonia di luci, rumori e comportamenti persino nella capitale Yangon, Phnom Penh, alla prima passeggiata esplorativa notturna sembra una città tentacolare di quasi 2 milioni di abitanti, una babele modernissima, figlia d'oriente e d'occidente, tutta neon, motorini, tuc tuc, macchine, biciclette, clacson, musica a manetta, locali gremiti, piatti per i turisti stracolmi di vivande. Intuibili da subito certe contraddizioni, povertà e ricchezza, fascino e caos. Mi colpiscono in particolare la giovanissima età dei locali, scollature e minigonne ardite (per la gioia e la vergogna dei pedofili e dei consumatori stranieri di sesso), ragazzi che, banchetto appeso al collo, non vendono sigarette o souvenir, ma libri, merce preziosa perché negata in un passato non ancora remoto.
Sono solo le prime superficiali impressioni, ma documentandomi in seguito come faccio spesso nei viaggi per non farmi condizionare "a priori", scoprirò che sono valide. Pare che in Cambogia tutto sia in vendita: templi antichi, statue angkoriane, parchi nazionali, persino siti del genocidio e con tragica consequenzialità anche le persone. Leggo che nel 2005, durante la visita del paese, il direttore della Banca Mondiale, richiesto di riassumere il paese con tre parole abbia detto davanti all'élite del governo: "corruzione, corruzione, corruzione".
La tradizionalmente onesta e scrupolosa popolazione locale deve quotidianamente confrontarsi col malcostume generale pagando medici ed infermieri perché facciano con un pò di attenzione il loro lavoro che dovrebbe essere gratuito, professori che promuovono non certo in base al rendimento scolastico, impiegatucci della pubblica amministrazione solerti solo dopo la riscossione. Non è certo una giustificazione, ma un tentativo di comprendere, l'indigenza è grande e c'è chi rimpingua i magri bilanci arrangiandosi indegnamente.
Bisognerà attendere il mattino per incontrare in una luminosità lunare la maestosità del mitico Mékong che dal lontano Tibet percorre instancabile 4800 chilometri di cui 500 in Cambogia (in certi punti largo fino a 5 chilometri) prima di terminare il suo percorso nel mare della Cina meridionale, a sud del Vietnam.
Saranno le luci dell'alba a svelare le abitudini cittadine nella quotidianità diurna, ginnastica e tai chi sul lungofiume che sembra un lungomare.
La leggendaria Angkor, ciliegina finale del nostro viaggio, tramonta agli inizi del XV° secolo e da allora subentra la capitale Phnom Penh in posizione geograficamente più interessante per il commercio fluviale con Laos e Cina via il delta del Mékong. E' durante il protettorato francese (1863-1953) che la città viene divisa in quartieri secondo un piano urbanistico tuttora attuale. Andandosene i "protettori" lasciano edifici prestigiosi come il Palazzo Reale, il Museo Nazionale, il mercato centrale Psar Thmei, vari ministeri.
Al Palazzo reale e nel lussureggiante giardino, l'eleganza e la raffinatezza dell'architettura khmer che ha raggiunto il suo apogeo dal IX al XIX° secolo ad Angkor, (gli stessi secoli d'oro di Bagan) risultano evidenti in tutto il loro splendore. Proibite le foto all'interno dei vari edifici; purtroppo molti decori, testi sacri, sculture, oggetti ornamentali sono stati distrutti dal khmer rossi e francamente non ho mai capito perché le dittature neghino la bellezza, perché non amino l'arte, forse perché è l'espressione più fieramente libera della creatività dell'uomo. Lungo il muro di cinta che perimetra l'area un affresco che illustra la narrazione epica del Ramayana. Se la maggior parte dei cambogiani pratica il buddismo theravada, l'influenza induista è sempre presente fusa con riti e credenze di stampo animista preesistente alla diffusione delle due religioni indiane nel mondo khmer.
In un edificio tradizionale in terra cotta d'inizio 900, il Museo Nazionale che racchiude la più bella collezione al mondo di sculture khmère, la storia di un millennio di sontuose realizzazioni.
Imperdibile anche lo Psar Thmei, il mercato, in un rinnovato edificio Art déco. All'interno soprattutto oro e monili in argento, fuori bancarelle di frutta e verdura fresca, donne che intrecciano fiori di gelsomino, macchine da cucire che lavorano alacremente.
Mi sono incantata davanti a una bancarella che vendeva solo capelli e parrucche, non so dire se veri o finti. In mezzo alle chiome fluenti, un viso, e quello era certamente di plastica, ma l'effetto d'insieme mi è sembrato stupendo.
Di mercanzia ce n'era proprio tanta, la concorrenza micidiale ed i cambogiani molto solerti cercavano di acchiappare più clienti possibile; sotto la bella cupola il caldo però è veramente soffocante, qualcuno da queste parti forse non sa che chi dorme non piglia pesci.
Iscriviti a:
Post (Atom)