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La Mairie |
Grande notizia per gli estimatori del genere: a
Le Cannet, sulle alture di Cannes, proprio a fianco dello spettacolare Municipio (in Francia sono sempre curatissimi, ah la grandeur d'oltralpe!) si è appena aperto un nuovo spazio museale, bello, bello, bello, un vero gioiello,
il primo ed unico museo Bonnard nel mondo. Era ora, un museo tutto per lui questo artista se lo meritava proprio, in primis perché è un grande, secondo perché al Cannet Bonnard ci ha vissuto dal 1927 (dell'anno precedente l'acquisto della villa Le Bosquet) fino al 1947, anno della sua morte, cittadino dunque del luogo a pieno titolo.
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museo Bonnard |
Che al volgere del XX° secolo la Costa Azzurra diventi un formidabile focolaio di artisti che con le loro ricerche estetiche rivoluzioneranno la pittura moderna non è una novità. Solo che certi non fanno che passare, mentre altri vi si stabiliranno e penso a Renoir, a Chagall, a Picasso, a Matisse, a Signac, a Bonnard appunto, giusto per citare qualche nome. Bonnard soggiornerà più volte nel Midi prima di metterci stabilmente le radici. A Saint Tropez già nel 1904 affermerà:
"J'ai eu un coup des Mille et Une Nuits: la mer, les murs jaunes, les reflets aussi colorés que la lumière", eco alle parole del 1891 di Edvard Munch
"quand plus tard on réécrira les Milles et Une Nuits le décor n'en sera plus l'Inde, il sera ici".
Un lungo contenzioso giuridico fra gli eredi per le opere dell'artista ha bloccato per anni la realizzazione di questo progetto, che adesso finalmente ha preso il via alla grande con la mostra d'apertura:
Bonnard et Le Cannet dans la lumière de la Méditerranée. Da dove incominciare? Sono troppo entusiasta, mi è piaciuto tutto. Per cominciare la sede: l'hotel Saint-Vianney, una delle ultime vestigia dell'architettura Belle Epoque che purtroppo il XX° secolo ha progressivamente smantellato. Abitazione familiare prima, poi albergo e sede di una banca, l'hotel Saint-Vianney nel 2003 è stato finalmente acquistato dalla Municipalità del Cannet aiutata dal sostegno di collezionisti, istituzioni nazionali ed internazionali, in particolare la Fondazione Meyer e la Phillips Collection di Washington. Degli architetti di Vence hanno lavorato egregiamente, riabilitato la villa storica integrandola con una parte moderna per una sala proiezioni, la boutique del museo e un atelier pedagogico. Proibito purtroppo fare foto all'interno, ma la ristrutturazione è sobria e piena di buon gusto, grande raffinatezza di materiali, pavimenti in ceramica con inserzioni in legno, un uso sapiente del colore sulle pareti che valorizzano ulteriormente le opere esposte. All'esterno un giardino paesaggisticamente raffinatissimo.
Osservare poi le opere del Maestro rappresenta un vero "corpo a corpo" con il colore per dirla con le parole di un critico. Bonnard è un sacerdote dell'arte; se è vero che
"dans le midi tout s'éclaire et la peinture est en pleine vibration" e che
"voir pleinement ne signifie pas voir plus, mais voir sans le savoir", l'artista ricerca ossessivamente quella "difficile semplicità" tanto cara a Goethe, quel "assoluto" che paralizzava la mano del poeta Mallarmé davanti al foglio bianco, quel vero integrale con la sua attualità effimera e la sua memoria duratura, sintesi di concretezza tangibile e inafferrabile sogno.
Ogni mattina, come un rito, prima ancora di fare colazione, l'artista se ne va in giro,
"faire provision de vie". Riempie interi taccuini di schizzi ed annotazioni, osserva il movimento del clima e delle stagioni, ogni microscopica variazione di colore, di luminosità, non a caso all'amico Matisse scrive:
" mais comme une vision je vois chaque jour des choses différentes, le ciel, les objets, tout change continuellement, on peut se noyer là-dedans. Mais cela fait vivre". Da panteista del bello Bonnard sembra volere godere di ogni scintilla del creato, cogliere tutto, ciò che si vede e ciò che resta misterioso, quella realtà più profonda nascosta nel cuore del visibile, esaltare il colore e semplificare la forma perché
"l'oeuvre d'art est un arret du temps. Multiples éclats, ce que les choses sont mais ce qu'elles peuvent devenir dans notre esprit".
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Henri Cartier-Bresson: Bonnard à Le Bosquet |
Proprio per rendere conto di ogni parcella di realtà (
"il s'agira de faire parler les etres et les choses"), Bonnard inserisce nei suoi quadri la visione periferica, una molteplicità di voci con l'obbiettivo dell'unità corale, più punti di vista costitutivi dell'immagine mentale, anticipando il cubismo nel superamento della prospettiva classica. L'occhio dell'artista che guarda sembra scomparire, protagonista è la superficie che si articola su più piani attraverso un uso sapiente degli specchi che riflettono e dilatano lo spazio visivo, attraverso le finestre e le porte aperte tanto presenti nei suoi quadri, labile ed evanescente frontiera fra il dentro ed il fuori, tra ciò che si vede e ciò che si intuisce, fra lo spazio reale e quello dipinto.
"Il ne s'agit pas de peindre la vie, il s'agit de rendre vivante la peinture". Anni fa, nel quadro del mio lavoro in galleria, ho avuto il privilegio di conoscere ed avere una conversazione con Charles Terrasse, nipote dell'artista, che sullo zio ha scritto un'importante monografia e ne è grande conoscitore. Rimasi impressionata dalla semplicità, dalla discrezione e dalla gentilezza del personaggio, mi parve un Grand Monsieur, come dicono i francesi.
Ringrazio Bonnard e questo nuovo spazio che si è aperto non solo per la gioia della fruizione della sua opera, ma anche perché è stata l'occasione per visitare il vecchio borgo del Cannet che non conoscevo, malgrado una frequentazione di quarant'anni della costa. Usciti dall'autostrada, si percorre il lunghissimo boulevard Carnot finendo per puntare dritto su Cannes, il lusso ostentato delle sue boutique e dei suoi alberghi, le mondanità della Croisette, quel lungomare teatro di attori famosi e starlet di serie B durante il festival del cinema.
A metà di boulevard Carnot invece, bisognerebbe girare subito a sinistra e risalire verso Le Cannet girando fra i vecchi vicoli, discreti e silenziosi, lontano dalla pazza folla, con i passi che risuonano sul selciato.