lunedì 1 agosto 2011

Siem Reap: No Pirahna


Vabbè, inizio a parlare di Siem Reap in modo molto poco ortodosso, mostrando cioè i miei piedi. Non sono certo le personali estremità ad essere interessanti, ma la curiosità dei negozietti presenti in tutta la città che per una modestissima somma offrono un massaggio "animale" (sic). Non so di che specie si tratti, ma immergi le gambe nella grande vasca prospiciente alla lucrativa attività e ti lasci assalire da decine di pesci che vengono a mordicchiarti le pellicine morte. Stupore e solletico garantiti!

Siem Reap non era che un anonimo villaggio quando gli esploratori francesi riscoprono Angkor nel XIX° secolo aprendo le porte alle prime ondate del turismo elitario internazionale. Dopo la drammatica interruzione della guerra e del periodo khmer rossi, dagli anni 90 Siem Reap è tornata ad essere l'imprescindibile base di partenza per Angkor, l'ottava meraviglia del mondo.
Epicentro della nuova Cambogia, Siem Reap vive uno sviluppo folgorante, grande espansione edilizia, un numero spropositato di hotel, bar, ristoranti, spa lussuosissime, boutique, mercati, tutto quello che in positivo e negativo porta con se l'industria del turismo per una meta privilegiata, la più prestigiosa e battuta del sud-est asiatico, com'è quella di Angkor. Nel nostro albergo super si fanno ammirare le canaline dell'acqua di una fontana, nientepopodimeno che tubi corinzi  con testa di drago terminale.

Malgrado l'espansione della città e il flusso turistico, il centro città ha  fascino con le sue vecchie case coloniali francesi, i viali alberati, le stradine vivaci, Pub Street in testa, il pigro fiume che scorre lento. (Nella foto qui a fianco il patio bar-ristorante del centro culturale francese). Siem Reap è anche il centro di un movimento che si prefigge di rivitalizzare la cultura cambogiana tradizionale, quasi azzerata dai khmer rossi. Attivi perciò molti "atelier-scuola" che insegnano a giovani in difficoltà i saperi tradizionali come la scultura su legno e  pietra, la lavorazione della seta.
Nuove e luccicanti le pagode del presente, non certo le vestigia degli antichissimi  templi di  Angkor. I khmer rossi avevano fatto tabula rosa della famiglia, la fede, le tradizioni, i valori più sacri  della popolazione, comprensibile una pratica religiosa più riservata e meno "invadente" rispetto al Myanmar.

Non abbiamo purtroppo potuto assistere ad una rappresentazione del raffinato Balletto Reale di Phnom Penh che rievoca i fasti del glorioso passato, quando le apsaras, cioè le ninfe celesti volteggiavano leggiadre per il re e ci siamo accontentate di uno spettacolo per turisti con cena-buffet, era d'altra parte l'unica occasione per vedere le loro belle danze tradizionali. All'ingresso del locale  sembrava di essere a cinecittà  ma senza il grande Fellini, con la riproduzione fedele di un tempio angkoriano.
Ma come al solito il posto più interessante e divertente è il mercato, sotto tutti i punti di vista. Dove altro mai la puoi trovare per esempio una ragazza, lo sguardo perso nel vuoto, appollaiata su una montagna di scarpe o chi  ti regala uno smagliante sorriso in mezzo al pesce e i canestri di vimini?
E dove, se non al mercato, puoi scoprire meglio la varietà e l'internazionalità della cucina locale che passa con gran disinvoltura dalle baguette francesi alle anguille, dagli scarafaggi a ragni e cavallette? "Do you like spiders?" mi ha chiesto con  voce soave una bella ambulante.

Ma la vera meta finale si trova a pochi chilometri di distanza a nord di Siem Reap, è la mitica Angkor. Un esercito di donne in bicicletta vi si reca al lavoro ogni mattina e gli indispensabili  tuc tuc  fanno la spola ad oltranza inoltrandosi tra i favolosi viali che raccontano il passato.


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