Il primo uomo di pelle nera, il primo asiatico, il creolo antillese, il sick col turbante blu cobalto in testa, i maghrebini, li ho visti per la prima volta sulla metropolitana e per le strade di Parigi quando avevo 16 anni, purtroppo qualche decennio fa, in un lungo fine settimana con papà nella ville lumière. All'ombra della Madonnina, occhi neri come il carbone, occhi a mandorla, occhi dal taglio come fessure, semplicemente non ce n'erano. A Milano prendevo tutti i giorni la circonvallazione esterna 90 per andare dalle parti della Bocconi a studiare da Patrizia, motivate entrambe dal terrore per l'esame di maturità, ma niente a che vedere con la varietà umana all'estero, in qualche modo sull'autobus sembravamo tutti uguali. Mi sono ritrovata ultimamente sulla stessa 90, mi sono guardata in giro, sembravo l'unica di queste parti e mi viene da ridere perché nemmeno io sono di queste parti, solo che con la famiglia in Italia ci siamo arrivati negli anni 50 e per caso ho i capelli biondi e gli occhi blu. Adesso la filovia esterna milanese è proprio come la metropolitana di Londra o di Parigi, c'è un vero melting pot di genti, colori, lingue, modi di vestire, basta guardare e ascoltare le conversazioni. Nessuno lascia il proprio paese per e con piacere, per lo più sono scelte dolorosissime ed obbligate per sopravvivere o almeno tentare e ricordo quanto sia difficile i primi tempi; è stato molto duro anche per la mia famiglia, 20 anni per ottenere la cittadinanza italiana, prima eravamo apolidi e questa storia assomiglia a una fila interminabile di molte altre. Sono pigra, refrattaria alla burocrazia e imbranatissima nei meandri kafkiani dell'amministrazione però in fondo in fondo non sono così cattiva, anche nel mio petto batte un cuore e come hanno fatto in molti, volevo dare una mano per regolarizzare la sua posizione in Italia alla peruviana Rita che mi è capitato di incrociare sulla mia strada. Aiuto, meno male che mastico abbastanza bene l'italiano e che ho una laurea, sennò come avrai fatto malgrado l'intenso stropicciamento di meningi ad interpretare la richiesta di "attestazione di idoneità alloggiativa"? L'espressione credo sia un neologismo "burocratese". Idoneo chi e che cosa? La persona? La casa? Non si poteva dire più semplicemente "permesso di abitare" Non suona bene? Non è abbastanza chic? E poi non basta il nome astruso, provare per credere tutto quello che ci sta dietro, viaggi nel labirinto del catasto, planimetria dell'appartamento, atto di proprietà del medesimo, sfilza di documenti, attestazioni di conformità di elettricità e gas, code interminabili agli uffici competenti dopo smarrimenti confusi e dubbi amletici prima di arrivare allo sportello giusto. Lo spirito della legge non è sbagliato, si vuole la garanzia a tutela dell'interessato, che la persona verrà ospitata in un luogo adeguato per evitare gli scantinati ammassati indegnamente in metà di mille. Però, a mio modesto parere, nella realtà succede che quelli che hanno il pelo sullo stomaco e nessun rispetto per il povero immigrato, dell'idoneità alloggiativa se ne fregano ampiamente e continuano a farne tranquillamente a meno, mentre coloro che vogliono operare per come di giusto, si ritrovano in un girone infernale che al confronto lo slalom gigante delle piste olimpioniche è una quisquilia. Viene da domandarsi se l'amministrazione sia "con" o "contro" il cittadino. Ma il filippino il singalese il tunisino il cinese l'indiano il marocchino l'albanese il polacco il croato il moldavo il rumeno il peruviano l'ucraino il russo il senegalese il camerunese che arriva in Italia, come fa? E se il filippino il singalese il tunisino il cinese l'indiano il marocchino il polacco il croato il moldavo l'albanese il rumeno il peruviano l'ucraino il russo il senegalese il camerunese oltre ad essere un povero cristo non conosce nessuno che lo aiuti? Non so lanciarmi in sofisticati dibattiti politici, le grandi rivoluzioni mi fanno paura, ma perché non iniziare da quelle piccole e possibili?
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