Sul finire dell'avenida Do Mar della Serena, su una punta di terra che termina la baia e che sembra sfidare l'oceano, c'è Coquimbo, un porto che ha visto il suo massimo sviluppo crescere dalla metà dell'800 quando vi è stato costruita la più grande raffineria del mondo di rame (la principale risorsa del paese) e necessitava organizzarne il trasporto. Da allora l'attività mercantile si è notevolmente ridotta, ma la città continua a vivere del suo porto e della pesca.
Vista da lontano sembrava pittoresca e bellissima, una piccola Valparaiso come pretende fieramente la città, che si snoda lungo i "cerri", i fianchi delle colline con le casupole colorate, ma vista da vicino è oggettivamente senza alcun fascino, discretamente sporca e nella zona portuale con un odore così forte di pesce e di affumicato da mettere in difficoltà le narici più resistenti.
Malgrado la sua chiesa nell'imprescindibile Plaza de Armas, cuore di tutte le città cilene, chiesa progettata da Eiffel, si proprio quello della Tour parigina e una moschea che si staglia orgogliosamente nelle brume mattutine sul cucuzzolo di un'altra collina, generoso dono del re del Marocco per una fantomatica comunità mussulmana che francamente per le strade non ho visto, non consiglierei a nessuna coppia di giovani sposi di venirci a passare la luna di miele.
Eppure, e questa constatazione non finisce di sorprendermi ogni volta, angoli di straordinaria bellezza affiorano come per incanto ovunque, anche là dove meno te li aspetti. Per esempio Coquimbo ci regala un San Pietro pescatore che forse è lì a proteggere il porto e la sua gente, miriadi di barche gialle che dondolando sull'acqua prendono pigre la tintarella al sole e una presa diretta e ravvicinata di pellicani piazzati vicino ai pescivendoli del porto perchè non so quante volte al giorno si devono riempire la pancia anche loro. Per una che ha sempre visto solo piccioni in piazza del Duomo non è niente male!
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