Per chi abita a Milano una dritta: da non perdere assolutamente Rosso, al teatro Elfo Puccini, da un testo di John Logan, sceneggiatore di grandi successi hollywoodiani, in cartellone fino al 3 giugno. Erano anni che uno spettacolo teatrale non mi entusiasmava a tal punto e scopro non a caso che Red ha vinto sei Tony Awards nel 2010, incluso quello per il miglior testo teatrale. So poco dell'Espressionismo astratto, quel movimento pittorico per la prima volta squisitamente americano sorto dopo la seconda guerra mondiale, sintesi della combinazione fra intensità emotiva e autoespressiva degli espressionisti tedeschi e l'estetica anti-figurativa delle scuole di astrazione europea come il Futurismo, il Bauhaus e il Cubismo sintetico. So anche poco dei suoi più significativi esponenti come Pollock (sulla cui vita ha circolato di recente un bellissimo film), Willem de Kooning e quel Markus Rothkowitz divenuto Mark Rothko, artisti di cui ho però avuto più volte occasione di vedere le opere in svariate mostre. La creazione teatrale si sviluppa intorno a un episodio della vita di Rothko: la commessa ricevuta nel 1958 da parte dell'architetto Philip Johnson di dipingere una serie di murales per il ristorante Four Seasons nel Seagram Building di New York. Progetto al quale l'artista lavora per più di un anno e al quale poi rinuncerà restituendo i soldi poichè insoddisfatto della futura collocazione delle sue opere costrette a semplice sfondo in una sala da pranzo. L'artista donerà in seguito questi suoi murales alla Tate di Londra dove sono permanentemente installati. In scena nell'atelier dell'artista, Rothko in una magistrale interpretazione di Ferdinando Bruni e il suo giovane assistente-aspirante pittore, il bravo Alejandro Bruni Ocana. La conversazione fra i due offre alla riflessione temi importanti- "pittura ed estetica, etica e spiritualità, istinto- trasformandoli in una materia carica di tensione e ironia. E ci restituisce il ritratto di un uomo egocentrico e vulnerabile, uno dei più grandi pittori-filosofi del '900, contrapposto a quello del suo giovane assistente, emblemi di due generazioni d'artisti" come felicemente sintetizza la locandina dello spettacolo. "Di una cosa sola al mondo io ho paura, amico mio......Che un giorno il nero inghiotta il rosso" dice a un certo punto l'artista. Il nero, con tutta la simbologia che può esprimere, morte, assenza, vuoto, dolore e l'inadeguatezza, quell'insondabile silenzio dell'ispirazione creativa che può tacere davanti alla tela incompiuta osservata per ore e settimane e che attende di essere completata. Chissà, forse la scelta del suicidio di Rothko nel suo studio quel 25 febbraio del 1970 rappresenta l'unica drammatica risposta che l'uomo e il pittore hanno saputo trovare al nero. Nella storia dell'arte innumerevoli sono gli artisti che hanno interpretato il loro lavoro con sacralità, l'arte come un sacerdozio, come una ricerca austera e solitaria e anche Mark Rothko fa senz'altro parte di quella schiera.
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