lunedì 4 giugno 2012

Pest

Sempre in giro instancabili da mattina a sera, nei nostri cinque giorni ungheresi, complice un tempo estivo,  abbiamo accumulato in bisaccia veramente tanto e Budapest è città ricca e generosa di sé, curiosità e vista sono costantemente sollecitate e appagate. Nella tabella di marcia, palazzi storici, musei, chiese, monumenti, ma anche case, strade, caffé, anonimi angoli del quotidiano; ovunque restauri attenti e rispettosi, anche senza conoscere la storia dei luoghi è un piacere il solo guardare. 
A Pest c'è una lista che non finisce mai, potrei parlare dello straordinario palazzo Art Nouveau delle Poste Centrali, della basilica di Santo Stefano, della piazza degli Eroi, del bosco in città con castelli, sculture e bagni sul Danubio, dell'Opera, di Vàci utca, la strada pedonale per eccellenza  fitta di boutique e di gioielli architettonici. Potrei parlare dell'isola Margherita e della città che scorre sulle rive del Danubio ammirata durante la gita in barca dove l'architettura coniuga felicemente il moderno con  l'antico o del Mercato Coperto centrale, interessante per la sua struttura primo novecento, per quella testa di vitello miope con gli occhiali e i maialini in bella mostra; sarebbe da raccontare con maggior dovizia di particolari anche il nostro stupore di fronte allo sfarzo del ristorante New York, inaugurato nel lontano ottobre 1894 in piena atmosfera Belle Epoque dove ci siamo offerte l'ultimo pranzo prima della partenza e il conto, malgrado tutta la prosopoea del luogo, era ragionevolissimo. Una leggenda di Pest racconta che Ferenc Molnàr, (chi non ha letto in anni giovanili  il suo romanzo "I ragazzi della via Pal"?), il giorno della sua apertura insieme ad altri colleghi scrittori e giornalisti abbia gettato nel fiume le chiavi del " Caffé più bello del mondo" a voler significare che doveva restare sempre aperto, giorno e notte. 
Impossibile dire tutto, ho perciò scelto di soffermarmi  solo su tre luoghi di Pest: il Museo delle Arti Applicate, il Museo Vasarely e la Casa della Secessione Ungherese. L'edificio del Museo delle Arti Applicate è semplicemente straordinario e lo dobbiamo a Odon Lechner, soprannominato "il Gaudì ungherese".

Lechner il creatore e l'iniziatore di quell'Art Nouveau peculiare in Ungheria, uno stile cioè secessionista che diventa eclettico mescolando elementi tradizionali a spunti orientali, moreschi e indiani. Aver studiato non solo a Budapest ma anche a Berlino, aver vissuto a Parigi, arricchisce e allarga le prospettive dell'architetto che dagli stili storicistici e neoclassici in voga all'epoca osa ben presto "inventarsi" l'ecclettismo all'ungherese. Suo il progetto per le Poste Reali (prima foto di questo post), suo quello di questo edificio del 1896 tutto decorato all'esterno con ceramiche Zsolnay e motivi dell'arte popolare ungherese, islamica e indù. Non può passare inosservato il contrasto fra la ricchezza decorativa e cromatica esterna e il sobrio austero biancore degli immensi spazi interni.
Basta prendere una metropolitana, scendere nella periferia di Pest in quel che sembra una stazione di campagna e, e qui sta il bello,  i decenni volano e lo scenario cambia totalmente, ci si ritrova in piena modernità da Victor Vasarely, il padre fondatore della op art (optical art o arte cinetica). L'artista, ungherese della città di  Pécs, vivrà in Francia e dai ritratti, le nature morte e i paesaggi della pittura tradizionale passa presto  alla conoscenza del costruttivismo e dell'arte astratta; col suo scritto teorico "Manifesto Giallo" del 1955 definirà l'arte cinetica che conoscerà la sua massima consacrazione con la mostra "Responsive Eye" del 1965 al MoMa di New York. 
Significativi gli studi dell'artista su percezione, movimento e colori, intriganti le sue composizioni geometriche che diventano sempre più complesse, combinandosi, incastrandosi, permutandosi quasi a volersi avvicinare al cuore della struttura cellulare.  Nel 1976 l'artista creerà a Aix-en-Provence la Fondazione Vasarely, concretizzando così l'idea che l'arte non deve essere slegata dal contesto sociale e dall'ambiente che la circonda e queste sue parole a conferma del suo pensiero: " L'arte di domani sarà un tesoro collettivo o non ci sarà più arte".
Da ultimo ritorno al primo novecento con la Casa della Secessione Ungherese, in uno splendido edificio progettato nel 1903 dove mobili, oggetti decorativi, dipinti, utensili d'uso dell'epoca la fanno da padrone suscitando la voglia consumistica ma finanziariamente più accessibile di un IKEA del genere, perché gli originali costano anche qui parecchi soldini. 


Qui si organizzano regolarmente mostre temporanee dedicate ai maestri della Secessione e ai loro discepoli ed è l'occasione per conoscere l'atmosfera passata della vita borghese a Budapest. Qui si può scoprire per esempio l'esistenza di una tazza da tè speciale per i portatori di cospicui baffi, non sarà  un'invenzione che ha rivoluzionato il mondo, ma è senz'altro un'originalità. E per chi volesse affittarsi un appartamento in questo stupendo palazzo appena ristrutturato, ci sono ancora diverse metrature a disposizione; a fine soggiorno ho finalmente intuito che "elado" in ungherese vuol dire "in affitto" e c'è un grande pannello al secondo piano dello stabile.


     

1 commento:

  1. Gentile Scrittore!

    Grazie per le belle parole che riguardano la mia splendida cittá. Vorrei solo chiarire che "elado" significa "vendesi". (E comunque uno dei miei palazzi prefeeriti). Spero che la prossima volta ti trattenga a piu lungo in Ungheria.

    Saluti

    Giorgia

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