venerdì 30 novembre 2012

la Firenze del Giappone fra giardini e templi

Per sottolineare l'importanza e la ricchezza culturale di Kyoto, l'antica Heian,  credo basti dire che è stata capitale politica e spirituale del Giappone per più di dieci secoli, oltre mille anni, sostituendo Nara a partire dal 794 e lasciando il posto alla nuova capitale Edo-Tokyo nel 1868. Sovente distrutta da guerre ed incendi, la città è stata però risparmiata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e molti suoi siti, templi e giardini sono classificati Patrimonio dell'Umanità Unesco.  Kyoto può vantare una buona parte dei tesori nazionali conservati nei suoi 1600 templi e 400 santuari e scrivo questi numeri perché fanno un certo effetto. Le guide suggeriscono di fermarsi una settimana a Kyoto per visitarla esaustivamente, noi avevamo in programma solo due giorni e necessariamente abbiamo rinunciato a tante cose, dedicandoci quasi esclusivamente alla visita dei templi buddhisti con i loro giardini zen, testimonianze fra le più significative e antiche della sua storia.

Da bravi turisti, ammirando una rubiconda guida che fieramente dirigeva il suo gruppo, abbiamo naturalmente iniziato con il luogo più famoso, il Padiglione d'Oro di fine XIV° secolo, dapprima residenza di shogun e poi divenuto il tempio Rokuon-ji. La proprietà complessiva è stata più volte in balia delle fiamme tranne, miracolosamente risparmiato, il Padiglione d'Oro (che ho fotografato da una cartolina anche in versione invernale).

Distrutto pure lui a metà XVI° secolo ma da una guerra e poi ricostruito, ha preso fuoco una sera del luglio 1950 per mano di un giovane monaco in un attacco di follia. L'attuale, identico all'originale, risale al 1955. Non si può accedere all'interno, ma l'esterno è regolarmente ricoperto di foglie d'oro, secondo una pratica che ho visto regolarmente adottata in Birmania e Cambogia. Sulla storia reale di questo monaco che ossessionato dalla sua  balbuzie incendia il tempio sinonimo per lui di insostenibile perfezione, lo scrittore Yukio Mishima ci ha costruito un romanzo di grande successo, metafora dell'impossibilità a vivere una vita normale, l'uomo si sentirebbe troppo inadeguato di fronte al peso di bellezza e tradizione, valori supremi  del paese.




Non diversamente dalle altre grandi religioni, visitando i vari templi e documentandosi, si scopre che anche nel buddhismo non c'è stata unità, ma più scuole, più anime, più correnti,  più sette, più maestri dalle diverse interpretazioni spirituali e con risvolti fortemente politici. Se a Kyoto i templi sono ovunque, non a caso nella successiva capitale Edo che poi assumerà il nome di Tokyo, sono stati volutamente edificati lontano dal centro città e soprattutto dal palazzo imperiale proprio per arginare anche geograficamente l'ingerenza e lo strapotere politico-temporale dei vari gruppi religiosi.

 Se a raggiungere l'arcipelago giapponese è stata  la corrente buddhista del Grande Veicolo (Mahayana), questa ha poi assunto varie forme squisitamente locali anche con influenze shintoiste, la religione autoctona. Lo Zen rappresenta forse l'apporto più originale del buddhismo giapponese: di origine indiana e introdotto in Cina dove si chiamerà Chan da un monaco buddhista nel VI° secolo , il buddhismo zen arriva nel Paese del Sol Levante nel XII° secolo e viene inizialmente adottato dalla classe dominante militare che si riconosce nelle sue proposte di disciplina e austerità ben diverse dai fasti della corte. Lo Zen non poggia su alcun testo sacro, le speculazioni metafisiche gli sono estranee, contano la pratica, la disciplina, la sperimentazione e, la cosa più importante, la trasmissione diretta da maestro ad allievo.



 La peculiarità  delle varie scuole di buddhismo  Zen sta nella sua voluta essenzialità, nella sua assenza di intellettualismo, in una visione fortemente estetica del mondo, nel perseguimento di uno stato di vuoto e risveglio interiore (satori) perseguibile attraverso la meditazione seduta (zazen) e l'ascolto di parabole (koan) apparentemente illogiche che vengono proposte come strumenti meditativi. Il buddhismo Zen ha esercitato ed esercita tuttora grande influenza in Giappone non soltanto per l'aspetto prettamente religioso, ma anche per la sua presenza in numerose manifestazioni artistiche e pratiche, dal codice etico dei samurai alla cerimonia del tè, dalle arti figurative alla calligrafia.
Dovunque giardini di ogni tipo, ma contrariamente all'occidente con grande parsimonia di fiori, qui si prediligono i simboli di una natura perenne, come il muschio, le pietre, l'acqua, le piante  sempreverdi, sulla creazione paesaggistica prevale l'adesione alla realtà,  la rappresentazione fedele spesso miniaturizzata o stilizzata di un paesaggio naturale. I primi giardini pare siano sorti intorno ai santuari shintoisti nel V° secolo; ci saranno poi quelli per le passeggiate e per il piacere della conversazioni fra le fronde, quelli cosiddetti del tè con più padiglioni collegati fra loro grazie a ponticelli e articolati viali, quelli più recenti con chiare influenze europee, all'inglese e alla francese e soprattutto i giardini zen dall'estetica essenziale e austera  nati verso il XIII° secolo con il progressivo espandersi del  buddhismo e in opposizione a quella che all'epoca viene considerata decadenza frivola e superficiale dei nobili di corte.

 In qualche modo si annulla la demarcazione fra esterni e interni che si prolungano e si completano reciprocamente. Il giardino di pietra concepito per il silenzio, il raccoglimento e la meditazione diventa parte integrante di pratica e disciplina religiosa; dei giardini "secchi" dove ogni elemento ha una sua simbologia e dove il minerale è sublimato al punto da divenire "acqua" con la rappresentazione di ruscelli e  cascate di pietre. E persino le tegole dei tetti, rigorosamente sempre uguali, sembrano partecipare a questo perenne movimento circolare del cosmo.

Tempio Ryuanji, tempio Daikakuji, tempio Tenryuji , tempio Toji,  tempio Hongwanji, mondi lontani e in fondo inaccessibili a una profana come me, un casino raccapezzarmi fra questi nomi, fra tutte le foto che ho scattato e che si sovrappongono nel ricordo, fra i giardini zen visitati; non ho preso sufficienti appunti e per questo ho mostrato le foto disordinatamente, quelle  che semplicemente mi sembravano significative. Un tempio, non ricordo quale, era dedicato a un monaco, credo Muso Soseki, ho pensato che la sua rappresentazione più che serenamente austera mi sembrava inquietante.
Per finire questo excursus sommario il tempio Sanjusangen-do, troppo straordinario per non essere ricordato con precisione. In una sala di legno lunga 400 metri,  1001 rappresentazioni lignee in cipresso giapponese tutte diverse se osservate attentamente del Bodhisattva Kannon, figura salvifica dal potere soprannaturale. 1000 statue in piedi e una gigantesca seduta al centro, opera complessiva di 70 scultori. 124 statue si sono salvate dal grande incendio del 1249 e risalgono al XII° secolo quando il tempio è stato fondato, le altre sono del XIII° secolo quando il tempio è stato rinnovato. Ogni statua ha 20 braccia e ogni braccio dal diverso significato salva 25 mondi. Davanti alle statue, varie divinità guardiane, come per esempio il dio del tuono e il dio del vento.



A Kyoto ho proprio fatto indigestione di informazioni, immagini, templi e giardini, avevo il cervello in ebollizione e allora, chi lo sa, forse è un metodo zen, per liberarmi la mente a un certo punto non ho più pensato a niente e mi sono concentrata a lungo sulla semplice osservazione di una foglia e di un ragno.

lunedì 26 novembre 2012

a Omishima le porte si baciano

E chi lo sapeva che ci fossero così tanti architetti giapponesi di chiara fama,  io conoscevo soltanto qualche nome. Ignoravo per esempio quello di Yoshio Taniguchi, collaboratore un tempo di Kenzo Tange che ha firmato nientepopodimeno che il restauro e l'estensione del MoMa di New York inauguratosi nel 2004.

 Sull'isola Shikoku, la più piccola e meno popolosa tra le 4 maggiori isole dell'arcipelago giapponese, a Marugame nella prefettura di Kagawa, visitiamo quest'altra sua realizzazione, il Mimoca ovvero il Marugame Genichiro-Inokuma   Museum of Contemporary Art. Il conservatore del museo ci spiega che volutamente questo polo museale si trova in pieno centro città; vista la talvolta difficile fruizione dell'arte contemporanea, si è voluto creare un luogo d'incontro vicino alla gente di facile accesso, fulcro di mostre temporanee e eventi culturali. Malgrado l'imponente edificio  e la vastità degli spazi interni la porta di ingresso è minuscola, quasi non si vede e c'è una spiegazione: come nelle case da tè l'ingresso è modesto perchè la sorpresa una volta dentro sia ancora più grande. Sempre studiatissimo in Giappone il rapporto fra interno ed esterno.

 Ricco di tutta l'opera di Genichiro Inokuma da lui donata, il museo è dedicato a questo artista di Takamatsu che ha vissuto fra il Giappone, Parigi (dove ha frequentato Matisse e seguito la sua lezione) New York e le isole Hawaii, artista che ha saputo magistralmente sintetizzare lo stile suggestivo della pittura tradizionale giapponese con l'astrazione occidentale. In questo momento al Mimoca si tiene anche un'esposizione temporanea dal titolo bellissimo, "Silken Dreams", sogni di seta.

Il Seto Naikai è quel braccio di mare che si estende per oltre 500 chilometri e divide l'isola di Honshu da Shikoku. Abbiamo sempre la cartina fra le mani, ma orientarsi fra le grandi isole e oltre 3000 isolotti di ogni dimensione in un intrico di traghetti, reti stradali, ponti, ferrovie è un'impresa titanica; scriverò solo che continuando  il nostro periplo in direzione dell'isola Omishima a un certo punto si è profilato all'orizzonte il ponte Seto Ohashi, lungo ben undici chilometri che dopo dieci anni di lavori collega  11 prefetture e attraversa sei isole minori del mare interno. Omishima è una di quelle isole minori.

 La nostra meta, oltre naturalmente alla fruizione del paesaggio naturalistico stupendo lungo il tragitto, è il Toyo Ito Museum of Architecture, ma a poche decine di metri prima ne spunta imprevisto un altro a dir poco originale  e non ce lo lasciamo scappare.
E' il Tokoro Museum e espone le opere dell'artista messicano Noe Katz.


Artista messicano si fa per dire, sarà anche nato in Messico ma con quel cognome non poteva che far parte della tribù ebraica dell'Europa dell'est rifugiatasi in Messico durante o a fine seconda guerra mondiale. Ho pensato-sarà figlio o nipote di  Alex Katz, anticipatore esponente della pop art americana- e ho cercato parentele che non  ho trovato, forse si tratta solo di un'omonimia di cognome.  Vivace e ludico il lavoro di Noe Katz, a partire da quelle "Kissing Doors" del 2003 che costituiscono le porte d'ingresso scorrevoli e da quella coloratissima scultura  che si intravede dietro dal sapore autobiografico "Mi mama y yo".
 

Un serioso "Cardinale" (1953) di Giacomo Manzù sorveglia tutto dall'alto e con la sua solennità stempera l'allegria del luogo, mentre in fondo al giardino dello spazio museale, a picco sul mare, si intravede una scultura di Tom Wesselmann, "Scribbled Tulip".





E infine in  una posizione stratosferica, il Toyo Ito Museum of Architecture che si compone di due edifici: uno contiene schizzi, fotografie, pubblicazioni, maquette e realizzazioni del famoso architetto, nel 2002 Leone d'Oro alla carriera all'ottava Mostra di Architettura della Biennale di Venezia,il secondo è uno spazio dedicato a seminari di lavoro e gruppi di studio.


Sul prato, come delle sculture, due grandi maquette del grattacielo Mikimoto a Ginza e della Biblioteca della Tama Art University, riuscitissime recenti realizzazioni dell'architetto a Tokyo.
Di Toyo Ito sempre a Tokyo a Omotesando nei primi giorni del nostro soggiorno giapponese avevamo avuto modo di ammirare lo splendido palazzo del marchio italiano  TOD's.