Da bravi turisti, ammirando una rubiconda guida che fieramente dirigeva il suo gruppo, abbiamo naturalmente iniziato con il luogo più famoso, il Padiglione d'Oro di fine XIV° secolo, dapprima residenza di shogun e poi divenuto il tempio Rokuon-ji. La proprietà complessiva è stata più volte in balia delle fiamme tranne, miracolosamente risparmiato, il Padiglione d'Oro (che ho fotografato da una cartolina anche in versione invernale).
Distrutto pure lui a metà XVI° secolo ma da una guerra e poi ricostruito, ha preso fuoco una sera del luglio 1950 per mano di un giovane monaco in un attacco di follia. L'attuale, identico all'originale, risale al 1955. Non si può accedere all'interno, ma l'esterno è regolarmente ricoperto di foglie d'oro, secondo una pratica che ho visto regolarmente adottata in Birmania e Cambogia. Sulla storia reale di questo monaco che ossessionato dalla sua balbuzie incendia il tempio sinonimo per lui di insostenibile perfezione, lo scrittore Yukio Mishima ci ha costruito un romanzo di grande successo, metafora dell'impossibilità a vivere una vita normale, l'uomo si sentirebbe troppo inadeguato di fronte al peso di bellezza e tradizione, valori supremi del paese.
Non diversamente dalle altre grandi religioni, visitando i vari templi e documentandosi, si scopre che anche nel buddhismo non c'è stata unità, ma più scuole, più anime, più correnti, più sette, più maestri dalle diverse interpretazioni spirituali e con risvolti fortemente politici. Se a Kyoto i templi sono ovunque, non a caso nella successiva capitale Edo che poi assumerà il nome di Tokyo, sono stati volutamente edificati lontano dal centro città e soprattutto dal palazzo imperiale proprio per arginare anche geograficamente l'ingerenza e lo strapotere politico-temporale dei vari gruppi religiosi.
Se a raggiungere l'arcipelago giapponese è stata la corrente buddhista del Grande Veicolo (Mahayana), questa ha poi assunto varie forme squisitamente locali anche con influenze shintoiste, la religione autoctona. Lo Zen rappresenta forse l'apporto più originale del buddhismo giapponese: di origine indiana e introdotto in Cina dove si chiamerà Chan da un monaco buddhista nel VI° secolo , il buddhismo zen arriva nel Paese del Sol Levante nel XII° secolo e viene inizialmente adottato dalla classe dominante militare che si riconosce nelle sue proposte di disciplina e austerità ben diverse dai fasti della corte. Lo Zen non poggia su alcun testo sacro, le speculazioni metafisiche gli sono estranee, contano la pratica, la disciplina, la sperimentazione e, la cosa più importante, la trasmissione diretta da maestro ad allievo.
La peculiarità delle varie scuole di buddhismo Zen sta nella sua voluta essenzialità, nella sua assenza di intellettualismo, in una visione fortemente estetica del mondo, nel perseguimento di uno stato di vuoto e risveglio interiore (satori) perseguibile attraverso la meditazione seduta (zazen) e l'ascolto di parabole (koan) apparentemente illogiche che vengono proposte come strumenti meditativi. Il buddhismo Zen ha esercitato ed esercita tuttora grande influenza in Giappone non soltanto per l'aspetto prettamente religioso, ma anche per la sua presenza in numerose manifestazioni artistiche e pratiche, dal codice etico dei samurai alla cerimonia del tè, dalle arti figurative alla calligrafia.
Dovunque giardini di ogni tipo, ma contrariamente all'occidente con grande parsimonia di fiori, qui si prediligono i simboli di una natura perenne, come il muschio, le pietre, l'acqua, le piante sempreverdi, sulla creazione paesaggistica prevale l'adesione alla realtà, la rappresentazione fedele spesso miniaturizzata o stilizzata di un paesaggio naturale. I primi giardini pare siano sorti intorno ai santuari shintoisti nel V° secolo; ci saranno poi quelli per le passeggiate e per il piacere della conversazioni fra le fronde, quelli cosiddetti del tè con più padiglioni collegati fra loro grazie a ponticelli e articolati viali, quelli più recenti con chiare influenze europee, all'inglese e alla francese e soprattutto i giardini zen dall'estetica essenziale e austera nati verso il XIII° secolo con il progressivo espandersi del buddhismo e in opposizione a quella che all'epoca viene considerata decadenza frivola e superficiale dei nobili di corte.
In qualche modo si annulla la demarcazione fra esterni e interni che si prolungano e si completano reciprocamente. Il giardino di pietra concepito per il silenzio, il raccoglimento e la meditazione diventa parte integrante di pratica e disciplina religiosa; dei giardini "secchi" dove ogni elemento ha una sua simbologia e dove il minerale è sublimato al punto da divenire "acqua" con la rappresentazione di ruscelli e cascate di pietre. E persino le tegole dei tetti, rigorosamente sempre uguali, sembrano partecipare a questo perenne movimento circolare del cosmo.
Tempio Ryuanji, tempio Daikakuji, tempio Tenryuji , tempio Toji, tempio Hongwanji, mondi lontani e in fondo inaccessibili a una profana come me, un casino raccapezzarmi fra questi nomi, fra tutte le foto che ho scattato e che si sovrappongono nel ricordo, fra i giardini zen visitati; non ho preso sufficienti appunti e per questo ho mostrato le foto disordinatamente, quelle che semplicemente mi sembravano significative. Un tempio, non ricordo quale, era dedicato a un monaco, credo Muso Soseki, ho pensato che la sua rappresentazione più che serenamente austera mi sembrava inquietante.
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