Tradizionalmente di pietra o legno, sovente di colore rosso, adesso se ne trovano anche in acciaio e cemento. Già il passare sotto è una prima forma di purificazione, seguiranno poi le abluzioni rituali prima di avvicinarsi al santuario. Se i templi buddhisti sono imponenti, più edifici in una stessa area, numerose stanze di meditazione, l'alloggio dei monaci, i santuari shintoisti sono superfici molto più modeste, piccoli chioschi, spesso non c'è un luogo chiuso in cui raccogliersi, ma solo degli altari davanti ai quali sostare. Forse non serve un grande sacrario perché in ogni giardino, in ogni casa giapponese c'è un altare con i suoi simboli. I Kami accompagnano sempre la vita dell'uomo.
Irrispettoso e impensabile con poche superficiali nozioni parlare di una religione, nella fattispecie dello shintoismo, l'espressione religiosa più antica del Giappone, un insieme di credenze animiste e panteiste fortemente influenzate dallo sciamanesimo che santifica un'infinità di divinità tutelari (kami) personificazioni degli antenati e di vari elementi naturali, mi limiterò perciò a mostrare quel che ho visto a Kyoto, nel santuario Nonomiya-jinja, uno dei più vecchi e frequentati del Giappone.
Il santuario si trova in un luogo assolutamente magico, una lunga passeggiata per raggiungerlo attraversando un'affascinante e fittissima foresta di bambù: sembra di entrare dentro una favola e ne sono rimasta incantata. Appese a delle spalliere sono acquistabili delle tavolette di legno, lisce o dipinte, gli ex-voto locali, dove verranno scritte preghiere, desiderata o ringraziamenti che resteranno per un anno in balia dei capricci del sole, del vento, della pioggia prima di essere bruciate. Con l'anno nuovo si ricomincia.
Qui ma ovunque, in tutti i luoghi sacri, legati sulle staccionate, su una corda, intorno a un albero e anche nei templi buddhisti si vedono miriadi di fogliettini bianchi appesi; credo si tratti di oroscopi o predizioni perchè a Tokyo, a Senso-ji (il tempio buddhista più antico e più famoso del Giappone) e nell'adiacente santuario shintoista Asakusa-jinja ho visto una cassettiera con un cilindro, forse per gli oboli. Ignoro il criterio della scelta, quali le coordinate per l'assegnazione del proprio foglietto, ma certamente suggerimenti, previsioni o auguri che il destino riserva.
Purtroppo non ho avuto la fortuna di assistere a nessuna cerimonia shintoista e certo saranno bellissime, ho solo visto delle foto, ma nel sacrario Nonomya-jinja, in mezzo a quella meravigliosa foresta di bambù ho osservato a lungo i numerosi fedeli che si avvicendavano davanti all'altare: arrivavano, tiravano l'estremità di una corda, un inchino, due schiocchi di mani, un altro inchino e via andare, il tutto durava dai due ai tre minuti. Una vera sintesi di religiosità, niente a che vedere con le vite intere passate chini sui libri fra preghiere e interpretazioni ermeneutiche dei fedelissimi di Mosè che stanno sempre lì a spaccare il capello in quarantacinque. A ognuno la sua storia, lo dicono anche i fogliettini bianchi!
Non centra assolutamente nulla, niente di sacro anche ammesso che si voglia considerare l'arte contemporanea o meglio l'arte "tout court" come uno dei valori supremi, è un mio parallelismo totalmente arbitrario, ma scrivendo questo post sui Torii mi è venuta in mente l'installazione del 1996 di Daniel Buren che abbiamo visto nei primi giorni a Tokyo nel quartiere di Odaiba. L'opera si chiama "25 porticos, the color and its reflections". Tante prospettive, tante coloratissime righe bianche, rosse, verdi, blu, gialle; perché non vederle in fondo come moderni e stilizzati ingressi pieni di speranza verso la Via degli Dei?
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