Finito lo sfruttamento minerario, oggi la Sierra è nota soprattutto per le sue opportunità naturalistiche e sportive, offre terre incontaminate e protette grazie ai numerosi parchi statali e federali, montagne da scalare, foreste a perdita d'occhio, gole profonde, cascate, più a nord il lago Tahoe e i resti di un recente passato vulcanico. Via via che ci allontaniamo dalla costa e dall'oceano sfilano prima estensioni infinite coltivate a vite, mica per niente è famoso il vino della California, poi progressivamente il terreno si fa sempre più brullo.
All'ingresso del parco l'incontro reale e non fumettistico della prima "ranger" con l'imprescindibile cappello in testa; la parola "ranger" mi appare ricca di fascino perché evoca certe letture giovanili e mi viene subito in mente Tex Willer e Blek Macigno con l'eccentrico Professor Occultis.
Dopo lo Yellowstone National Park istituito come primo parco americano nonché mondiale nel 1872, gli scritti del naturalista John Muir e le lotte civili contro lo sfruttamento minerario e la ferrovia che avrebbe dovuto passare per quest'area sono stati decisivi per convincere il Congresso americano a preservare questo territorio vergine e a farne nel 1890 il secondo parco nazionale. Comprensibilmente, vista la maestosità e la bellezza dell'area, gli americani nutrono un forte sentimento di orgoglio e appartenenza nei confronti delle loro aree protette.
Gli indiani di lingua Miwok, fra cui gli Ahwahneeche, che vivevano nella Sierra Nevada da sempre, la loro è una storia vecchia di almeno 4000 anni, furono drammaticamente costretti a lasciare Yosemite ai pionieri americani e europei nel 1851, si era in pieno gold rush. Avevano dovuto abbandonare tutto: le loro dimore, la terra dei loro avi, le cascate viste come dimore di spiriti pieni di potere, le loro ancestrali abitudini, come per esempio la pratica di bruciare regolarmente i boschi, consuetudine che aveva contribuito all'accessibilità di quelle valli agli ultimi arrivati, i prepotenti "visi pallidi". Un museo nel Yosemite Village offre ricca documentazione sulla loro storia e le loro tormentatissime peripezie. Durante tutto il nostro viaggio nel sud-est degli States, un tempo sconfinate terre d'elezione degli indiani d'America, avremo più volte occasione di leggere in vari luoghi del terribile genocidio di cui sono stati vittime. A Yosemite Park sta scritto che nel 1910 più del 90% degli abitanti originari dell'area era morto o risultava disperso.
E poi l'incontro con il "Fallen Monarch" e ho trovato stupendo questo appellativo. Il monarca caduto non è un re in carne ed ossa che ha perduto la corona, ma una sequoia gigante che ha perso la sua sfida con il cielo ed eccola lunga distesa per terra che sembra non finire mai.
A Yosemite Park ci sono tre boschi di sequoie giganti, certe hanno più di 3000 anni. Per associazione ho pensato a quegli immensi "ficus strangolatore" osservati in Cambogia che come avide mantidi religiose si sono divorate con le loro radici Angkor, la gloriosa e stupefacente testimonianza khmer.
Niente a che vedere, le radici delle sequoie giganti non sono fameliche, anzi, per nulla profonde, non più di due metri, si espandono verso la superficie per captare l'acqua. La sequoia gigante è un albero maestoso che si erge fieramente solitario. Con i suoi 90-95 metri di altezza, questa sequoia della Sierra non è il più vecchio e alto degli organismi viventi, la specie di "Sequoia sempervirens" raggiunge i 115 metri e non ha neanche il più grande diametro di base, un massimo di "soli 12 metri", ma in volume totale è il più grande organismo vivente conosciuto. E' l'alta concentrazione di acido tannico che dà la colorazione rossa al tronco e che impedisce la crescita di funghi e batteri responsabili della decomposizione di un albero caduto. La sequoia gigante no, è inattaccabile, da viva sfida fieramente il cielo e da morta rimane per secoli e secoli integra, sdraiata a terra a ricordare il suo passato splendore.