venerdì 24 maggio 2013

"rocce d'oro" d'oriente e d'occidente

Per andare all'Arches National Park, nostra meta successiva, si deve passare per Moab, tappa d'accesso sulla strada anche per Canyonlands che non visiteremo. Come molte altre cittadine del nostro percorso Moab non presenta nessun interesse specifico se non certe facciate delle case da vecchio far-west e lo scenario mozzafiato che ha intorno.

 Città dell'uranio negli anni 50, crescita e sviluppo attuali di Moab sono legati al business turistico dell'avventura, difatti nei dintorni si possono praticare mountain bike, golf, trekking e rafting e kayak sui Colorado e Green River e quindi lungo le vie abbondano i negozi dei più sofisticati equipaggiamenti sportivi. La cena è stata in un divertente locale tutto sport, zodiac e biciclette pendevano persino dal soffitto, in tavola, come sovente durante il viaggio, cucina messicana e fagioli neri in quantità.

Moab è stata fondata nel 1855 dai Mormoni inviati da Salt Lake City, loro centro propulsore, ma più che Bibbie e predicatori con la barba bianca, ho visto una pletora di Buddha meditare davanti ai bar. A Moab mi sono concentrata sui semafori, forse perché non c'era nient'altro da vedere, mai uno solo  modestamente come da noi, ma più d'uno per ogni corsia della strada, come pipistrelli gialli, verdi e rossi sospesi a  rami d'acciaio. Sulla guida leggo anche che i deserti erosi intorno a Moab sono stati il rifugio di terribili fuori legge  come Butch Cassidy; la faccia del vero bandito non la conosco, ma ricordo benissimo quella strepitosa di Paul Newman che lo ha interpretato.

Al  Arches National Park mi hanno colpito in primis i massi attraversati dal vento e miracolosamente sospesi  in bilico. Per associazione di idee è tornata davanti agli occhi La Golden Rock, la "Roccia d'oro" di Kyaiktiyo nei dintorni di Bago in Myanmar. Dopo la pagoda della capitale Rangoon è il luogo più sacro dei birmani che in segno devozionale ricoprono costantemente la roccia sospesa di foglie d'oro.

Acqua e ghiaccio, temperature estreme e il letto salino sotterraneo (depositato quando milioni di anni fa un mare ha sommerso la regione e probabilmente è poi evaporato) sono i responsabili dello scultoreo scenario roccioso dell' Arches National Park. Sono stati necessari 100 milioni di anni d'erosione per creare questa terra che vanta la maggior concentrazione di archi naturali al mondo, oltre 2000 dalle più svariate dimensioni. Lo spettacolo si rinnova costantemente, si formano nuovi archi e scompaiono quelli vecchi perché l'erosione e gli agenti atmosferici lavorano lentamente ma incessantemente creando delle forme dinamiche del paesaggio.

Gli indiani d'America hanno usato quest'area per millenni. Le popolazioni arcaiche e successivamente le popolazioni ancestrali dei Puebloan, Fremont e Ute, antenati degli odierni nativi, s'inoltravano nell'arido deserto per trovare animali e piante selvatiche per cibarsi e pietre per gli attrezzi e le armi. Essi hanno lasciato segni tangibili del loro passaggio in pannelli pittografici e incisioni rupestri. I primi esploratori non Indiani cercavano ovviamente la ricchezza dei minerali e i primi fattori delle aree circostanti l'erba per i bovini e le pecore.




Noi turisti del presente cerchiamo curiosi il bello e non restiamo certo delusi. E come sarebbe possibile?




 
Colpiscono i colori delle varie stratificazioni rocciose, il verde del rame ossidato, il rosso del ferro e dell'arenaria, il giallo dello zolfo, il blu del cobalto, lo scintillio dei riflessi grazie alla mica e al quarzo. Malgrado lo sforzo di documentazione, fatico a comprendere e non mi sento in grado di parlare dei processi geologici che hanno concorso alla formazione di questo luogo, ma una cosa è certa, è veramente straordinario!

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