domenica 12 maggio 2013

Route 66: the Mother Road

Se l'aeroporto di Phoenix è lo Sky Harbor, "porto del cielo" e il nome mi appare molto bello, il deserto che ha  accolto 49.500 anni fa quella meteorite di nickel e di ferro che ha toccato violentemente il suolo creando un immenso cratere, si potrebbe forse chiamare non Meteor Crater ma "porto di terra". Il cratere è stato descritto per la prima volta a fine '800 e inizialmente, prima di scoprire resti di meteoriti nei dintorni, si era pensato che fosse un vulcano spento. Il Dr. Eugene Shoemaker,  astrogeologo specialista in crateri e considerato  il maggior esperto della geologia della luna, ha fatto la sua tesi di dottorato su questo luogo arrivando alla conclusione  che la meteorite doveva avere un diametro da 25 a 30 metri e viaggiava a una velocità di 70 km. orari. La velocità risulta essere un fattore determinante perché una massa di 25-30 metri posso generare un buco largo un chilometro e mezzo e profondo come un palazzo di 60 piani.
Annesso al cratere nel museo ricco di filmati, documentazione e spiegazioni troppo "tecniche" per la mia comprensione, colpisce e fa riflettere questa affermazione dello scienziato: "Senza impatto, la Terra, Marte, Venere e Mercurio non esisterebbero. L'impatto di corpi solidi è il più fondamentale di tutti i processi dei pianeti terrestri. La collisione di piccoli oggetti è il processo attraverso il quale sono nati i pianeti terrestri". Certo semplifico, ma saremmo dunque nati sulla terra grazie a "una bella botta"?
All'ingresso del luogo c'è una navicella spaziale. Non è l'originale atterrata sulla luna ma quella che è servita per le esercitazioni. Per 7 anni, dal 1963 al 1970 gli astronauti della Missione Apollo si sono allenati al Meteor Crater data la sua conformazione similare ai crateri lunari. La missione principale delle ricerche che si organizzano al Meteor Crater si concentra sui fenomeni dei meteoriti, poiché meteoriti e comete fanno parte della circolazione interstellare dell'universo. Quanto più gli uomini avanzano nell'esplorazione dello spazio, tanto più si evidenzia la necessità di approfondire lo studio dei siti delle collisioni per comprendere l'origine della vita sulla terra.
Dalla luna e gli interrogativi sui massimi sistemi a Winslow, un paesino in una landa desolata che ti chiedi come si fa a vivere lì, un posto da suicidio. Non succede niente, non c'è proprio nulla, solo qualche insegna, due o tre strade dove non passa anima viva e nessuna meraviglia se improvvisamente da dietro un angolo spuntasse un pistolero con la colt nella cintura giusto per movimentare un po' l'ambiente.

E invece no, mai affrettarsi nel giudizio, anche Winslow ha il suo asso nella manica, di lì passa la mitica Route 66 dai tanti nomi, United States Route,  Historic Route,  Mother Road, la "madre delle strade" come l'aveva chiamata John Steinbeck in Furore,  lunga ben 3755 km.  Qui risulta grande fierezza per le proprie strade, non così in Europa, fanno eccezione il Cammino di Compostela e poche altre, da noi contano di più i monumenti e le vestigia del passato, ma forse in questa great America dai territori sconfinati, le "strade" rivestono particolare importanza perché hanno significato collegamento e comunicazione, insediamento e colonizzazione in territori vergini e prima irraggiungibili.

Aperta nel 1926 e rimossa dalla rete delle Highway nel 1985 quando è stata rimpiazzata dal Interstate Highway System,  collegava Chicago con Los Angeles, praticamente coast to coast. La Route 66 è stata per eccellenza la strada usata per la migrazione verso ovest, in particolare durante gli anni '31-'39 quando delle tempeste di sabbia (dust bowl) hanno colpito gli Stati Uniti centrali e il Canada costringendo intere masse di gente ad emigrare. La Route 66 ha fatto prosperare l'economia delle comunità attraverso le quali passava e seppur in contesti totalmente diversi mi fa pensare alle antiche Via della Seta dalla Cina al Mediterraneo, alle Vie del Sale, ponte per i carovanieri fino all'Africa o in tempi più recenti alla Ruta 5, quella Carretera Panamericana incontrata nel profondo Cile che attraversa le Americhe, dall'Alaska fino alla Patagonia.
  
Poco distante dal centro di Winslow in direzione dell'Indian Country, la più grande delle riserve indiane patrimonio dell'immaginario collettivo  di cui visiteremo nei giorni successivi  il Canyon de Chelly e la Monument  Valley, alle 5 del pomeriggio ci facciamo l' unico pasto giornaliero che funge da pranzo e cena al ristorante dello storico Hotel La Posada che comprensibilmente Cheryl e Jere tenevano a farci conoscere. Per dormire sarà tutta un'altra storia, andremo in un posto molto meno chic e più ruspante, ma si trova già nella riserva indiana e si chiama "uccello di tuono", e con un nome così francamente  non c'è paragone.

Con fior di ristorante, un hotel bellissimo, La Posada, costruito negli anni '30 e recentemente ristrutturato lungo la strada della ferrovia per Santa Fe dove ogni camera ha il nome di un attore famoso e dove hanno soggiornato anche Presidenti degli Stati Uniti e Einstein con la moglie. Corridoi e saloni fra mobili, quadri e oggetti sono delle vere gallerie d'arte e attualmente si tiene una mostra dell'artista contemporanea Tina Mion che si è fatta conoscere tra l'altro per aver fatto i ritratti di molti Presidenti e rispettive first ladies. Fra le opere esposte invece di celebrità scelgo di far vedere questo donzella a cavallo molto più spiritosa, però non lo so, magari è una first lady anche lei.
 

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