Storica residenza ischitana del grande regista, la Colombaia “rifugio d'anima e d'amore” è stata costruita a cavallo tra la fine del 1800 e i primi del '900, inizialmente proprietà di un certo barone Fassini, poi di Visconti e infine, dopo anni di battaglie, acquisita al patrimonio pubblico. Un'ala della villa è consacrata stabilmente alla memoria di Visconti, immagini, cimeli, costumi di scena, documenti, per tener viva l'opera e la figura di qualcuno che ha certamente contribuito a scrivere la storia della cinematografia mondiale.
Per saperne di più ho comprato un libro "A Ischia cercando Luchino Visconti" (edizioni IMAGAENARIA) di Giorgio Balestriere, antiquario e studioso d'arte nato sull'isola: "Edificata come una fortezza sopra un imponente sperone roccioso-come il castello di Neuschwanstein di Ludwig II- la Colombaia faceva assaporare a Visconti l'area di un Mediterraneo solare...." “Contrariamente alla magnificenza settecentesca della casa di Roma, la Colombaia, la sua villa d'Ischia, era un felice esempio di stile eclettico, di moda a fine Ottocento, in una mescolanza sapiente di Neogotico, Secondo Impero e Liberty. Gli arredi della Colombaia erano valorizzati da una notevole collezione di bronzetti Art Nouveau....Quell'atmosfera fané, tipicamente fin de siècle, era accentuata da altri oggetti in vetro, soprattutto dell'inizio del Novecento-di Gallé, Daum e di altri maestri vetrai francesi e viennesi- che Visconti aveva acquistato negli anni '60 a Parigi. Luchino Visconti fu sicuramente fra i primi amateurs d'arte a riscoprire e prediligere il Liberty”.
Purtroppo dell'originario decoro alla vista dell'odierno visitatore non rimane quasi nulla, anche i cani in ceramica, presenti in una foto all'ingresso della Colombaia, non ci sono più. Visconti amava grandemente i suoi cani, quelli veri s'intende, numerosi a Roma come a Ischia, per la loro dieta il regista impartiva personalmente gli ordini al cuoco ogni settimana. Vien da pensare che la fortuna è un ingrediente prezioso per chiunque, anche fra i quattro zampe, altro che "vita da cani".
A vedere oggi quelle stanze inondate di luce e quasi vuote, i muri bianchi bianchissimi, un mare blu che sembra voler entrare dalle finestre, risulta difficile immaginare che ai tempi di Visconti non fosse così, che anzi, l'atmosfera della Colombaia fosse cupa, come scrive Balestrieri: "Lo immaginiamo solo, immerso nei pensieri del passato, lo vediamo camminare come un'ombra silenziosa in questa misteriosa villa, dove prospettive di porte dalle tinte scure...immettevano in saloni silenziosi, sovraccarichi di oggetti d'altri tempi..." "La Colombaia era un luogo di riposo, quasi un malinconico reclusorio in un solitario e troppo scuro angolo di Ischia, in cui anche i domestici erano come muti e le voci assenti....Le giornate erano scandite da ritmi rituali, durante le quali il regista, per non essere ulteriormente distolto dalle proprie abitudini e progetti, si faceva servire i pasti nel suo appartamento privato, inaccessibile senza il suo permesso".
Fotografie, locandine, affiche e immagini, solo fotografie, locandine, affiche e immagini eppure nell'incanto del luogo e della ricca documentazione progressivamente rieccheggiano i gorgheggi della Callas a una serata scaligera, l'autenticità interpretativa della grande Magnani; nella memoria si animano film, personaggi e scene indimenticabili: Burt Lancaster cessa di essere Burt Lancaster, è solo Don Fabrizio Principe di Salina che balla nel salone delle feste con una stupenda Angelica, Helmut Berger non è che quel Martin Essenbeck del capolavoro La caduta degli dei, Silvana Mangano e Dirk Bogarde svaniscono in una Venezia sfumata ed evanescente che sembra liquefarsi nel caldo soffocante e mortifero come il trucco lungo il volto del Professor Gustav von Aschenbach di fronte alla bellezza irraggiungibile di Tadzio, metafora di un bel mondo agonizzante che verrà inghiottito dalla guerra.
Dall'11 agosto 2003 nel giardino della Colombaia riposano le ceneri di Luchino Visconti e di sua sorella Uberta.
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