Un altro luminoso esempio di fantasia locale è "gioia mia", non l'intimo appellativo fra una coppia di amanti, non un genitore che apostrofa il suo bambino, ma un favoloso canestro di sfogliatella a 3000 calorie ripieno di panna e fragoline di bosco; "la fine du munno", come si usa dire da queste parti. Mio figlio Marco, invitato anche lui al matrimonio ischitano non ha saputo resistere alla tentazione e se l'è mangiato socchiudendo gli occhi per il piacere come fa lui quando apprezza tanto una cosa. Io, consapevole di tutti i miei chili di troppo, ho solo guardato e sospirato.
Eravamo a Sant'Angelo, come il Castello Aragonese, altra appendice di terra dell'isola. Questa volta però non si tratta di un'appendice carica di Storia con la s maiuscola, nessun carcere borbonico o residenza di principi e re, ma dell'Ischia lavoratrice che tutti i giorni ripara le reti, deve affrontare pesca e mare e poi quella da bere, mondana, festaiola, godereccia.
Certo siamo molto lontani da quell'800 in cui Stendhal con una punta di snobismo intellettuale che certo non condivido osava scrivere nei suoi appunti di viaggio: " Passo quattro ore con i buoni abitanti di Ischia. Sono selvaggi dell'Africa. Ingenuità del loro dialetto".
Sant'Angelo è visibilmente un vecchio borgo di pescatori che ha saputo mantenere intatto questo suo carattere anche grazie al divieto di accesso per le automobili. Architettura tipica dei paesini di mare, carruggi stretti, scale e gradini, le case pittoresche a ridosso l'una sull'altra, dedali che s'inerpicano, invitano alla scoperta e riservano sempre sorprese di angoli pieni di poesia.
Personalmente le due immagini che ho preferito a Sant'Angelo sono quelle di un etereo manichino biondo dietro a una vetrina e quella di un vecchio pescatore dallo sguardo austero che seduto nel suo minuscolo balconcino osservava lo spettacolo del mondo. Forse perché mi sembrano riassumere i due volti dell'isola, turismo, lusso, mondanità e la dura vita degli isolani.
Sara sei un'artista!
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