In Bd Michelet ci sta la "Cité Radieuse" o " l'Unité d'Habitation", due nomi per uno stesso posto, ma la chiamavano anche "La maison du fada", ovvero "la casa del matto". Già perché l'immobile concepito da Le Corbusier e costruito dal ministero della Ricostruzione e dell'Urbanismo fra il 1947 e il 1952 nel quadro della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale per offrire una nuova collocazione ai sinistrati che avevano perduto la loro casa durante i bombardamenti, dal 1986 è nella lista de Monumenti Storici e repertoriata come Patrimonio del XX secolo, ma all'epoca ai marsigliesi non piaceva proprio, suscitò grande scandalo, nessuno voleva andarci ad abitare, si fece addirittura una petizione per abbatterla.
Per fortuna non tutti la pensavano così, certo non Picasso e Einstein che vengono subito a vedere e apprezzano quel che sta combinando l'architetto modernista nella città focese, una vera rivoluzione architettonica.
Ci abiteranno poi funzionari di vari servizi di stato e nel 1954 l'insieme dell'immobile viene diviso in lotti e venduto, si costituisce così la coproprietà. Altro che sfollati, poveri cristi e anonimi funzionari degli inizi, vengono da tutto il mondo a vedere la casa del matto, adesso fa molto chic abitare lì, sulle targhe all'ingresso si vedono studi di architettura, medici, avvocati e psicanalisti, professionisti insomma di tutti i tipi.
La Cité Radieuse è concepita come un villaggio verticale perfettamente autonomo poco distante dal centro città, 337 appartamenti (attualmente ci vivono all'incirca 1200 persone) corridoi larghi e grandi chiamati "strade" per una circolazione fluida, negozi, asilo, scuola, un favoloso tetto-terrazza dalle molteplici funzioni ricreative, un giardino con anche il campo da tennis.
Nella III° via "commerciale", Le Corbusier aveva voluto creare un vero centro commerciale per gli abitanti del complesso, ma i clienti venivano anche dai dintorni. C'erano un salone di parrucchiere, uno spaccio che vendeva di tutto, il macellaio; con i supermarket vicini anche qui è successo come altrove, molti negozi dell'Unité d'Habitation hanno dovuto chiudere i battenti, resistono una panetteria-pasticceria, una libreria-galleria, l'albergo che ci ha ospitati e un fior di ristorante dal nome azzeccatissimo nel contesto, "il ventre dell'architetto".
Con l'amica Marina e un'altra coppia ci hanno sistemato nell'appartamento privato del gestore o proprietario dell'albergo, non so con precisione, forse non c'erano abbastanza stanze per tutti e mi è andata benissimo così perché era un po'obsoleto e malandato, ma conservava tutto il suo "jus d'origine" il sapore dell'epoca, come dicono i francesi e se la cabina doccia sembrava quella di una barca a vela per me non c'è problema, tanto sono piccola. Secondo lo statuto della comproprietà comunque tutti gli appartamenti possono essere ristrutturati solo rispettando certi canoni della concezione iniziale.
Il tetto al nono piano è in assoluto il posto più strepitoso e ha veramente del visionario che un architetto abbia potuto "osare" un luogo del genere negli anni '50. A parte la vista a 360° gradi, è corte di ricreazione per i bimbi dell'asilo del piano sottostante, per loro anche una piscina dall'acqua bassa, è spazio aperto di riposo e solario per gli inquilini dello stabile e poi c'è l'atelier, un tempo palestra sportiva caduta progressivamente in disuso e ora, grazie all'intervento del designer marsigliese Ora-Ïto, divenuta il MaMo, un nuovo centro di arte contemporanea.
In fondo a un lungo corridoio rosso, è in corso attualmente l'esposizione "Résidence secondaire" che mostra le creazioni di giovani talenti laureati in arte contemporanea e design del programma "Audi talents awards".
" La réalisation de l'Unité d'habitation de Marseille aura apporté à l'architecture contemporaine la certitude d'une splendeur possible du béton armé mis en oeuvre comme matériau brut au même titre que la pierre, le bois ou la terre cuite. L'expérience est d'importance" scrive Le Corbusier. Ed è stata veramente un'esperienza singolare vivere dal di dentro in un luogo così. Anche ai non "esperti" come la sottoscritta risulta chiaro come l'opera di Le Corbusier si sia articolata nel doppio segno dell'idealismo e del razionalismo, dove essenzialità e rigore formale sembrano essere la risposta a un progetto di vita. Non è forse utopico creare negli anni 50 una "città" verticale comprensiva di tutto, abitazioni, scuola, negozi, giardino, strutture sportive, una proposta per la collettività che tenta di rispondere ai principali bisogno dell'uomo? Non so se oggi vorrei vivere lì, nella sensibilità attuale è cambiata la nozione degli spazi, ma è certo che l'architetto non si limita ad essere architetto, propone di fatto anche una filosofia del vivere. Termino con queste poetiche parole dedicate a Marsiglia scritte da Le Corbusier su una cartolina postale del 1915 al collega e maestro Auguste Perret: "Et Marseille? Ville de vie, de toute vie grouillante, masques, navires, flots, coquillages et poissons aux écailles de rêve. Ville de forteresse, et ville de peuple."