Grazie alla nomina di Capitale Europea della Cultura 2013 e crocevia focale di quel progetto "euromediterraneo" in divenire da diversi anni che ha l'ambizione di fare della città il polo centrale di scambi fra il ricco nord dell'Europa e le altre realtà meno favorite del bacino mediterraneo, a Marsiglia sono arrivati ingentissimi fondi dalla Comunità Europea, dallo Stato, dalla regione e dalla municipalità. I risultati si vedono, Marsiglia è una città che si sta ridisegnando, mi ha fatto pensare a quel grande cantiere che è Berlino, riassetto e trasformazione di varie aree metropolitane, costruzione di nuovi musei, poli di aggregazione e spazi culturali ( ne parlerò nei prossimi post perché a Marsiglia mi sono fermata una settimana), mostre di ampio respiro fra cui quella su Le Corbusier, che ritorna a Marsiglia in una retrospettiva ricchissima, ben più articolata di quella che in questa stessa metropoli gli era stata dedicata nel 1987 e a detta della stampa anche di quella che ha appena chiuso i battenti al MoMa di New York dal titolo "Le Corbusier: An Atlas of Modern Landscapes".
Retrospettiva bellissima, dicevo, prima di tutto per il luogo prescelto, il J1, un hangar del vecchio porto mercantile oggetto come tutta l'area portuale di Marsiglia di grandi trasformazioni e divenuto polo espositivo. Per far meglio conoscere questo grande personaggio alieno da ogni accademismo e antesignano della modernità architettonica del '900 non si è scelta un'area museale antica dal sapore rétro bensì un vasto capannone industriale fatto di cemento, dai pilastri a vista di ferro e acciaio, proprio quei materiali e quelle strutture essenziali che Le Corbusier prediligeva. Grandi spazi, più di duemila metri quadrati e grandi vetrate aperte sul Mediterraneo in un dialogo ininterrotto fra gli interni di cemento e acciaio, tutte le opere esposte e l'esterno con il via vai del porto mercantile, le gru, le navi, il mare, l'orizzonte lontano.
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Retrospettiva bellissima in secondo luogo per l'allestimento, una lunga passerella sopraelevata di legno bianco laccato che senza soluzione di continuità introduceva a diverse aree, ognuna delle quali con ricca documentazione sviluppava e approfondiva un tema della mostra. Parole e pensieri del Maestro che circolavano sui muri e invitavano alla riflessione: "Les défauts,c'est humain, c'est nous-mêmes, c'est la vie de tous les jours. Ce qui importe c'est de passer outre, c'est de vivre, c'est d'être intense, de tendre à un but élevé. Et d'être loyal!"
Retrospettiva bellissima infine per la ricchezza delle opere proposte, patrimonio della fondazione parigina. Olii, pastelli, disegni a matita, schizzi, pitture murali, arazzi, sculture, maquette, progetti, fotografie, lettere, riflessioni teoriche, una produzione sterminata che non è possibile elencare in toto ma che fa comprendere anche al non addetto ai lavori quanto sia stata poliedrica la personalità di Le Corbusier e quanto sarebbe certamente riduttivo pensarlo solo architetto.
Non a caso così si esprime l'architetto Jacques Sbriglio curatore dell'evento: " C'était un créateur polymorphe. Il était un artiste et un ingénieur influencé à la fois par les techniques et les artistes de son temps. On ne peut pas cerner sa personnalité si on ne met pas en relation ces deux aspects. Les sculptures très colorées et ses maquettes de bâtiments se répondent. Ses dessins préparatoires...peuvent se regarder comme des aquarelles ou de petits tableaux abstraits..."
E anche se l'intento dichiarato della retrospettiva è quello di offrire una nuova luce sull'ultima parte dell'opera di Le Corbusier, il ventennio che va dal 1945 al 1965, anno della sua improvvisa scomparsa per un malore mentre stava nuotando a Cap Martin in quel tratto di mare davanti all'amatissima Etoile de mer e al suo Cabanon, nella mostra sono esposte anche molte opere degli anni precedenti. Stupendi i suoi appunti di viaggio che mi hanno fatto pensare ai Carnets in Marocco di Delacroix, cioè i disegni a matita e acquarello di un viaggio in Italia di Le Corbusier dell'ottobre del 1907, una finestra della chiesa San Michele a Firenze, lo studio della facciata della Cattedrale di Siena, i capitelli della chiesa San Vitale a Ravenna.
Bellissime e per me insospettate fra i suoi lavori una serie di donne dipinte a matita e pastello negli anni '20. Mi ha anche colpito una sua lettera scritta a Matisse: "Cher Matisse, je dois aller voir la chapelle de Vence. Tout est joie et limpidité, jeunesse. Les visiteurs, par un tri spontané, sont dignes, ravis et charmants. Votre oeuvre m'a donné une bouffée de courage, non que j'en manque, mais cette petite chapelle est un grand témoignage. Celui du vrai. Grâce à Vous, une fois de plus, la vie est belle. Merci. A' Vous mon plus amical souvenir".
Sia negli interni che negli esterni e fin dalle prime realizzazioni architettoniche in Svizzera, Le Corbusier ha sempre cercato di introdurre il colore, espressione immediata, spontanea della vita e tutta la mostra è un'incredibile esplosione di colore perché la policromia può restituire la potenza del sangue, la freschezza del prato, il brillare del sole o la profondità del cielo e del mare. La policromia non uccide i muri....:
Mi accorgo che la mostra si intitolava "Le Corbusier et la question du brutalisme" e io sono arrivata alla fine del mio post senza averne parlato. Forse è questo l'unico appunto, che da incompetente s'intende, mi sento di fare. La retrospettiva è stata di ampio respiro, ha spaziato sull'uomo, sull'architetto, sull'artista, sul pensatore e per un lungo pezzo di strada, il titolo di conseguenza non mi è sembrato adeguato perché si concentra solo su un tema, quello del brutalismo appunto, un movimento architettonico di origine anglo-sassone che si è sviluppato dal modernismo degli anni '50. Proprio niente di brutale, il termine deriva da Brut (grezzo) e dal fatto che nelle costruzioni "brutaliste" si adopera il cemento senza rivestimenti né decori e i volumi sono fatti da semplici geometrie. Le Corbusier che come tutti i grandi aveva orrore di farsi catalogare, non si è mai definito "architetto brutalista", gli altri lo hanno fatto per lui: " J'ai fait du béton brut à Marseille....ça a révolutionné les gens et j'ai fait naître un romantisme nouveau..." " J'ai dit à ceux qui grognassaient un peu contre la rudesse de l'éxecution: j'aime cette rudesse, c'est cela que j'aime, c'est cela mon apport dans l'architecture moderne, la remise à l'honneur des matériaux primaires, la rudesse de l'éxecution conforme au but poursuivi, c'est à dire d'abriter les vies, non pas de rupins mais les vies de foyers qui sont dans la bagarre quotidienne où le tragique voisine avec les joies".
Un grande grazie per finire agli amici Alain Tavès e Robert Rebutato, vedere la mostra con loro è stato un grande privilegio. Non sono due architetti qualunque, ma due "memorie viventi". Loro raccontano, spiegano, commentano, ricordano episodi di cronaca giornaliera vissuti in diretta fianco a fianco, giorno per giorno e per diversi anni con Le Corbusier, là nel sancta sanctorum, l'atelier parigino al 35 della rue de Sèvres.
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