giovedì 17 ottobre 2013

una storia che finisce bene

Tempi terribili i nostri, assistiamo pressoché in diretta attraverso i media a tragedie individuali e collettive di fronte alle quali, spettatori impotenti, non possiamo non inorridire, ricordandoci che anche noi siamo stati un popolo di emigranti e che l'accoglienza è un valore fondante. Nell'arco di un secolo, fra il 1850 e il 1950, milioni di italiani fra indicibili traversie hanno cercato fortuna altrove in giro per il globo, come ricorda Gian Antonio Stella nel suo esemplare libro "L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi". Non solo poveri corpi inghiottiti dal mare, urge la speranza, urge il pensiero che almeno gli altri ce la faranno a trovare un posticino al sole, urge mettere un po' di cielo blu fra gli abissi della tragedia. Per questo ho voglia di raccontare una bella storia, quella di Benjamin, il solo della sua numerosa famiglia che io conosca e lo faccio naturalmente con la sua autorizzazione.

Benjamin, il custode del condominio dove abito, è una persona squisita, talmente squisita che è riuscita per una volta a riscuotere il consenso e la simpatia di tutti gli inquilini, primato non da poco tenendo conto dell'alto tasso di litigiosità dei condomini come in ogni stabile che si rispetti. Benjamin si prende sempre le vacanze nel mese di luglio e a giugno era eccitatissimo, grandi progetti in pentola.
 Erano mesi che come i fratelli, i cugini, i parenti sparsi ai quattro angoli del mondo lui stava preparando il cuore ai quei dieci giorni di luglio in cui avrebbero dovuto incontrarsi tutti, una cinquantina circa fra adulti e bambini, a Stoccolma, dove abitano certi figli dei suoi zii. Dall'albero genealogico che Benjamin mi ha fatto per spiegarmi si vede subito che la sua è una grande famiglia a partire da quel nonno materno Ghebremariam e dai suoi quattro figli, fra cui Askalu, la mamma di Benjamin, Biniam in lingua ufficiale tigrina.

Benjamin con moglie e figli dall'Italia, chi da Toronto, chi da Londra, chi da Oslo, chi da Denver, tranne due fratelli rimasti a Asmara e i genitori che non ce l'hanno fatta ad essere presenti all'appuntamento, a Stoccolma c'erano quasi tutti, divisi in tre appartamenti affittati e per la domenica festa generale e super banchetto in una grande sala prenotata da chissà quanto tempo. Benjamin ha rincontrato la sorella che vive in Canada dopo 13 anni, 30 anni che non vedeva i cugini che stanno in Virginia, una scoperta totale le giovani generazioni che ormai parlano solo inglese e non conoscono la lingua del loro paese di origine. In Germania c'è una grande comunità eritrea, ma in Svezia ancora di più, a Stoccolma ogni anno a fine luglio si tiene addirittura un grande festival internazionale eritreo che dura tre giorni.

Benjamin è eritreo come molti dei disperati che sbarcano da morti o da vivi sulle coste italiane. Nel 1991 ha lasciato il suo paese martoriato da una trentennale guerra per l'indipendenza con l'Etiopia che non ne ha mai rispettato l'autonomia, una guerra fra poveri dove questa volta è l'Etiopia, un paese africano, a voler fare da colonizzatore. Il primo tentativo di giungere in Europa fallisce, si ritrova  più mesi a Nairobi col fratello senza riuscire a proseguire, poi gli consigliano di prendere un volo per Londra che fa transito a Roma e, appena atterrato nella città eterna, chiede e ottiene asilo politico. Quando nel maggio 1991 la tregua siglata dal Fronte Popolare di Liberazione Eritreo e dalla resistenza etiope sancisce la fine del lunghissimo conflitto, l'Italia non gli rinnova più l'asilo politico.

Per cinque lunghi anni Benjamin fa ricorso e per intanto, visto che ha anche lui la brutta abitudine di mangiare tre volte al giorno, lavora in nero. Fa di tutto, muratore, montatore di stand in fiera, raccoglitore di uva nei campi, tutto fila relativamente liscio quando si tratta di lavori negli interni, ma i problemi sorgono quando deve lavorare nei cantieri. "Come faccio a vivere senza il permesso a lavorare?" chiede Benjamin ogni volta che va all'epoca in questura. Ha dell'incredibile la risposta delle autorità competenti: "la legge è fatta male, continua come hai fatto finora, continua a lavorare in nero". Nel '95 con la legge Dini sull'immigrazione Benjamin ha infine potuto regolarizzare la sua posizione nel nostro paese.

Varie le professioni, autista, tassista, fisioterapista, infermiere, gestore di negozi e vari gli stati che hanno accolto la sparsa famiglia di nonno Ghebremariam, impossibili i tentativi di vivere nello stesso paese perché ognuno si è arrangiato come ha potuto, ma a Stoccolma e con grande gioia, c'erano quasi tutti. E non è finita qui perché la sorella di Denver ha aperto uno speciale conto in banca dove ogni nucleo familiare versa 50 dollari al mese, l'obbiettivo è quello di ripetere l'esperienza di quest'estate fra due o tre anni.




Dove sarà il prossimo appuntamento? In quale città del mondo? Ancora non si sa ma forse non è importante purché siano di nuovo insieme.

  

1 commento:

  1. Grazie Sara, per avere raccontato la storia di Benjamin, la storia di una speranza esaudita. Anch'io mi auguro che ce ne siano tante, tante altre di storie come la sua, e che le tragedie come quelle a cui abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo vadano esaurendosi al più presto. Tutti hanno diritto ad avere una vita decente. I tuoi genitori ce l'hanno fatta, sopravvissuti alla più tremenda tragedia del ventesimo secolo. C'è così tanto da imparare vivendo. Non basta la vita, ma almeno è bello sapere che esistono paradigmi di tenacia (e fortuna).

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