Fornasetti: vetrata per il cinema Arlecchino. Vetro dipinto a mano 1949
Ieri sono andata alla Triennale per conoscere più da vicino Piero Fornasetti. "Pittore, stampatore, progettista, collezionista, stilista, raffinato artigiano, decoratore, gallerista e ideatore di mostre, Fornasetti è stata una personalità estremamente ricca e complessa. Ha disegnato e realizzato circa 13 000 tra oggetti e decorazioni: un universo fatto in egual misura di rigore progettuale, artistico e artigianale come di fantasia sfrenata, invenzione surrealista e poesia", queste le parole che lo sintetizzano egregiamente alla mostra curata dal figlio Barnaba che prosegue dal 1988 l'attività del padre.
Arrivo ben in ritardo e inizialmente avevo pensato di non dirne nulla, l'esposizione è iniziata il 13 novembre 2013 (fino al 9 febbraio 2014) e molto è già stato scritto in proposito, ma l'entusiasmo è stato tale che ha suscitato il desiderio di dire la mia e condividere questo universo assolutamente straordinario, un'esplosione incontenibile di magia, di invenzione, di poesia. Devo anche dire che le mostre milanesi più originali e innovative di questi ultimi anni le ho tutte viste alla Triennale, non solo per la qualità delle opere, ma anche per gli allestimenti e già solo il video di Toni Meneguzzo che presenta il "mondo" Fornasetti, in casa, in laboratorio e in negozio dell'artista, è un capolavoro assoluto e vale la visita.
Questo vulcano creativo che è Piero Fornasetti mi ha fatto pensare alla prefazione del romanzo epistolare Mademoiselle de Maupin di Théophile Gautier che leggevo in classe con i miei studenti liceali. In quelle pagine lo scrittore esaltava il lavoro accanito e minuzioso dell'artista e sosteneva l'assenza di finalità, la totale gratuità dell'arte che deve essere indipendente e inutile e avere come unico obbiettivo il bello; coerentemente con queste idee Gautier sarà l'iniziatore a metà '800 del movimento letterario "l'art pour l'art", l'arte per l'arte.
Da un certo punto di vista le creazioni di Fornasetti sembrano non centrare nulla con questa teoria, loro servono a qualcosa, hanno una funzione, c'è un rodato filo conduttore che lega la creazione alla sua traduzione artigianale, a un manufatto seriale. Fantasie che si concretizzano in oggetti utili e vendibili, piatti, vassoi, bicchieri, teiere, panciotti di seta, candelieri, porta-ombrelli, paraventi, mobili, lampade, sedie, scatole, di tutto di più e non stupisce che la mostra si intitoli "100 anni di follia pratica", eppure "arte per arte" perché emerge prepotente la "gratuità" dell'ispirazione artistica perseguita completamente a briglia sciolta, totalmente estranea e refrattaria a qualsivoglia catalogazione o etichetta: "Io voglio liberare la mia ispirazione dai confini del solito". Fornasetti crea in piena libertà, traduce dei sogni, si diverte e ci diverte come se non avesse alcuna altra finalità oltre la creazione stessa. "Il nostro mestiere è senza limite, a tempo pieno. Non c'è orario. Giorno, anche notte. I miei sogni li traduco in realtà, qualunque cosa faccia".
Fornasetti non ha bisogno di parole di presentazione, lo fa da solo e chiaramente attraverso i suoi pensieri che accompagnano il visitatore lungo il percorso espositivo; lo delineano anche i pensieri di amici e estimatori: "Mago de la magia preciosa y precisa" dice di lui Pablo Neruda e io dentro casa e fuori in giardino ho visto i suoi occhi "appesi" dappertutto in Cile nelle dimore del poeta, a Santiago, a Valparaiso, a Isla Negra.
Mi è piaciuta la "formula segreta Fornasetti" del grande designer Philippe Starck": "....quando mi sento smarrito, o quando non so come procedere o ho un vuoto nella mente, c'è sempre la mia "formula segreta Fornasetti" che mi toglie dall'impasse. Ogni oggetto di Fornasetti, per esempio la teiera con gli occhi che ho nella mia cucina, è una porta aperta attraverso la quale uno è immediatamente risucchiato come in Alice nel Paese delle Meraviglie. E per me questo è qualcosa dal valore inestimabile. Anche dopo venti anni sulla credenza, la mia teiera è ancora una porta che si apre. La magia c'è ancora. Un oggetto Fornasetti ha il potere di cambiare le vibrazioni in un posto...perché mettendolo in una stanza essa prende un'altra dimensione, quella del sogno".
"E' come se Fornasetti ridipingesse tutto il mondo esistente....perché tutto sembri così bello, così soave, così magico e misterioso come uno si immagina la profondità infinita del cosmo". Ettore Sottsass Jr.
Grazie, che meraviglia il mondo Fornasetti, verrebbe da non lasciarlo più e continuare a stupire e sognare, ma è l'artista stesso a disegnare la parola "Fine".
Pablo Neruda titola la sua autobiografia "confesso che ho vissuto" e Garcia Marquez "vivere per raccontarla". Mi entusiasmano l'immediatezza e la "fisicità" del loro rapporto con la vita e con le parole che la esprimono. La vita degli autori latino-americani sembra fatta di una pasta diversa dalla nostra, è più ricca, densa, intensa, incontenibile, avventurosa, sorprendente e lasciandomi trasportare dalla ricchezza della loro scrittura mi verrebbe da aggiungere altri aggettivi ancora. Si tratta di grandi autori e cammin facendo avranno certo conosciuto occasioni e esperienze particolari però forse non è la vita in se ad essere così diversamente straordinaria, ma lo è il loro slancio nel viverla, nel tuffarcisi dentro, nell'osservarla e descriverla, quelle parole debordanti, coloratissime della loro scrittura che fanno vibrare persino il foglio bianco del libro, annerito del loro alfabeto appassionato.
"Credo che l'essenza del mio modo di essere e di pensare la devo in realtà alle donne della famiglia e alle molte della servitù che ebbero cura della mia infanzia. Avevano un carattere forte e un cuore tenero, e mi trattavano con la naturalezza del paradiso terrestre. Fra le molte che ricordo, Lucìa fu l'unica che mi stupì con la sua malizia puerile, quando mi portò nel viottolo dei rospi e si alzò la sottana fino alla vita per mostrarmi il suo pelo ramato e scarruffato". (1) "...ho sempre patito la tortura mattutina che Mina mi pulisse i denti con lo spazzolino, mentre lei godeva del privilegio magico di togliersi i suoi per lavarli e lasciarli dentro un bicchiere di acqua mentre dormiva....per un bel pezzo mi ostinai insistendo che il dentista mi facesse la stessa cosa che alla nonna, affinché lei mi pulisse i denti mentre io giocavo per la strada". (1)
Intensi proprio tutti questi spagnoli delle Americhe, come se quel "realismo magico", cifra peculiare della letteratura latino-americana a cui Màrquez ha fatto da battistrada, avesse contagiato fantasia e parola di un continente intero, "Arrancame la vida" "Strappami la vita" titola Angeles Mistretta un suo romanzo memorabile come se "la vida" anche nei suoi meandri più profondi e misteriosi fosse strappabile, "Prendere due colombe messaggere e torcere loro il collo senza pietà" si legge fra le ricette afrodisiache suggerite da Isabel Allende in "Afrodita"; passionalità, palpabilità delle parole, invenzioni narrative che sanno far volare, come una tavolozza multicolore che tinge di risvolti cromatici persino la più banale quotidianità del lettore.
C'è chi ha paura, chi non osa, chi tira a campare, chi come lo struzzo infila la testa nella sabbia, chi si accontenta di pallidi surrogati, loro no, questi hidalghi in pantaloni o gonnella in trasferta da cinque secoli dall'altra parte dell'oceano tengono giorno per giorno la spada sguainata, prendono la vita di petto, se la bevono tutta d'un fiato e ce la raccontano come uno straordinario romanzo d'avventure. Sarà il "fuego" interiore, sarà un "coraçon" sempre in subbuglio, sarà la magia della "vida", la storia tormentata, la mescolanza di etnie e genti, saranno i territori sconfinati, prodigi ed eccessi di una natura esuberante e di climi estremi, non lo so, ma ricordo bene le alghe lunghissime e possenti sulle spiagge di Isla Negra in Cile, emblematiche forse di un gigantismo del reale e del sentire.
E direttamente proporzionale all'opulenza delle parole è quella delle immagini, le creature di Botero risultano subito riconoscibili affette come sono da gigantismo acuto; talmente immense che sembrano stentare a star dentro la tela, invenzioni pittoriche o scultoree in balia della lente deformata dell'artista che si diverte a dilatarle a dismisura. "Ma non è certo la grassezza come concreta qualità esistenziale che m' interessa! Io penso piuttosto alla ricerca del volume, al senso del colore e della composizione, a una dimensione altra, solo pittorica, più soffice della realtà, che appare secca e cruda se paragonata alla pittura. Una donna bella nella vita reale, quando viene dipinta pare un' illustrazione di Playboy. E allora amplifico. Più grande è lo spazio, più la pittura si riempie di luci e suoni e comunica sensualità, trasmette il piacere carnale del cibo legato a quello dell' amore. Nei miei quadri proietto una sfera diversa, parallela e simultanea rispetto alle asciuttezze della vita, un luogo mitico dove si mangia, s' ingrassa, si ama, e uomini e donne godono della loro esuberanza. Questo, per me, è il trionfo della seduzione". (da un'intervista a Botero di Leonetta Bentivoglio su la Repubblica del 26 marzo 1996)
Il paese d'origine di Màrquez e Botero è la Colombia, grande come la Francia, la Spagna e il Portogallo messi insieme, una superficie di tutto rispetto se guardata con l'occhio di un europeo, ma quisquilie se paragonata a un Argentina o a un Brasile. In Colombia, se le stelle mi saranno favorevoli, dovrei spiccare il volo per due settimane il 23 gennaio. Volevo starmene tranquilla a casa, una certa sedentarietà faceva parte dei miei proponimenti per l'anno nuovo, ma quando Donatella e Carlo Alberto, amici di lunghissima data e gli unici che conosco del gruppo di dieci persone che si accinge a partire, mi hanno raccontato la loro destinazione, non ho saputo resistere. Forse la coerenza non è il mio forte.
Come al solito mi preparo al viaggio a modo mio, ignorando tutto dei tesori del Museo dell'Oro di Bogotà, delle meraviglie di Cartagena de Indias o delle sculture archeologiche di San Agustìn, lasciando momentaneamente le guide chiuse per non guastare la sorpresa e sfogliando invece, una volta ancora, quelle pagine di letteratura che mi hanno fatto sognare, lasciandomi trasportare da tutte quelle immagini e dai loro colori nel tentativo di cogliere un qualcosa, una scintilla infinitesimale del genius loci, un frammento dell' atmosfera del paese che visiterò.
"Sicché per noi, aborigeni di tutte le province, Bogotà era la capitale del paese e la sede del governo, ma soprattutto era la città dove vivevano i poeti. Non solo credevamo nella poesia, e per questa morivamo, ma sapevamo pure con certezza...che la poesia era l'unica prova concreta dell'esistenza dell'uomo". (1) "Cartagena de Indias, in effetti, era alle mie spalle da quattrocento anni, ma non mi fu facile immaginarla a mezza lega dal folto di mangrovie, nascosta dalle mura leggendarie che l'avevano tenuta in salvo da gentili e pirati nei suoi anni di gloria, e avevano finito per scomparire sotto un viluppo di ramaglie arruffate e lunghe filze di campanule gialle". (1) "Dal cielo, come le vedeva Dio, videro le rovine dell'antichissima ed eroica città di Cartagena de Indias, la più bella del mondo, abbandonata dai suoi abitanti per il panico del colera dopo aver resistito a ogni tipo di assedio di inglesi e angherie di bucanieri per tre secoli. Videro le mura intatte, le erbacce delle strade, le fortificazioni divorate dalle viole del pensiero, i palazzi di marmo e gli altari d'oro con i loro viceré marciti di peste dentro alle loro armature". (2) Le poesie di Fernando Pessoa e il film di Wim Wenders mi hanno aiutata a Lisbona, Pablo Neruda è stato prezioso in Cile, inimmaginabili Napoli senza De Crescenzo e il suo "Così parlo Bellavista" o Vienna senza Klimt, Schiele o Joseph Roth, sono sicura che anche Botero e Màrquez saranno i miei fari nella notte nell'incontro con il loro paese.
Ho però letto che la Colombia è famosa per la sua musica e che in tutto il paese il silenzio è una vera rarità; vallenato, cumbia, joropo, merecumbe, mapalé, generi musicali da me ignorati che spero di ascoltare dal vivo; per intanto e nell'attesa sono andata a risentirmi ciò che già conosco e adoro "Gracias a la vida" della cilena Violeta Parra e l'argentina Mercedes Sosa che canta Todo Cambia.
PS: (1) Gabriel Garcìa Màrquez: "Vivere per raccontarla" Oscar Mondadori
(2) Gabriel Garcìa Màrquez: "L'amore ai tempi del colera" Oscar Mondadori
Lunedì 6 gennaio: con l'inseparabile amica Marina e con Giorgio che facendo sempre la spola fra Nizza e Milano è naturalmente assurto a nostro "chauffeur" di fiducia, sulla sua elegantissima maggiolino nera che fa venire un mal di schiena bestiale a chi è seduto dietro come la sottoscritta, si ritorna a casa.
Durante le vacanze nizzarde ci sono stati dei giorni di pioggia torrenziale, monsonica direi, ma questo 6 gennaio è la fine del mondo, un sole che spacca la pietre, manco una nuvola in cielo a pagarla a peso d'oro. E chi ha voglia di tornarsene a casa? di lasciare la vista del mare? di andarsi a chiudere fra le quattro mura in quel della Ghisolfa?
Sull'autostrada all'altezza di Savona certi neuroni mi fanno tilt: e se facessimo una scappata a Camogli che non la vedo da tanti anni? e se andassimo a berci un caffè e augurare buon anno all'amica Delia che a Camogli è di casa? e se ci facessimo una scorpacciata gigante di quella focaccia divina, con la robiola, con le cipolle o la mia preferita, quella liscia liscia senza niente sopra unta e bisunta di olio extra vergine d'oliva che da queste parti chiamano la "recco"? No, al telefono Delia ci informa che ha diluviato anche sulla costa ligure e lei è già ripartita, ma c'è di buono che Giorgio non dice mai di no e sole e focaccia assicurati ci fanno tirar dritto verso Genova invece che a sinistra per la pianura padana.
Ragazzi che sballo, noi italiani siamo proprio fortunati, viviamo in un paese stupendo! Poco importa se si chiama Camogli ovvero la ca' delle mogli perché nell'antico borgo marinaro gli uomini erano sempre in mare e a casa ci restavano solo le donne oppure se Camogli perché ca' muggi, la casa dei mucchi, le costruzioni alte alte tutte le une sulle altre perché di spazio per allargarsi in quella lingua di terra non ce n'è, la bellezza di questo posto è proprio "dell'altro mondo" come la roba dell'insegna di un negozio.
Subito all'ingresso del paese "u dragun", la storica barca simbolo della tradizione remiera locale, varata nel '68 e ricavata da una vecchia scialuppa destinata ad essere bruciata. Un pannello informa che intere generazioni di ragazzi hanno vogato sul "dragun" portando nome e immagine di Camogli sui grandi fiumi d'Europa e nell'intero continente americano. Poco più in là una gigantesca padella a ricordare la sagra del pesce che si tiene la seconda domenica di maggio, abbinata alla festa di S. Fortunato, patrono e santo protettore dei pescatori insieme a San Prospero. Nel lontano 1952 si cominciò a friggere con sei piccole padelle, poi l'idea del padellone gigante. Sacro e profano si mescolano, al sabato la processione serale per le vie del borgo e la domenica, dopo la benedizione della padella, frittura a volontà e distribuzione gratuita di pesce azzurro generosamente offerto dai pescatori locali. Buttando l'occhio in alto mi hanno colpito i panni stesi, accipicchia che ordine e precisione, per caso il bucato l'ha steso un ingegnere?!
Bellissimi il faro, il porticciolo e lontano sulla collina la vista della minuscola frazione di San Rocco.
A strapiombo sul mare Castel Dragone edificato intorno al 1130 su una minuscola penisola chiamata anticamente "isola" collegata alla terraferma da una sottile lingua di terra. Inizialmente veniva utilizzato come torre d'avvistamento contro le scorrerie piratesche. L'aspetto attuale risale al 1560 quando la fortezza diventa prigione mentre nell' 800 è sede delle assemblee cittadine e sala per le prove delle bande musicali locali; Castel Dragone ha anche ospitato l'Acquario Tirrenico e oggi è sede dell'esposizione permanente "Un port@le sul mare", un centro di documentazione multimediale con fotografie, filmati e video che raccontano il legame di Camogli col mare.
Sempre all' "isola" la Basilica S. Maria Assunta, rimaneggiata e ampliata nei secoli, ma il cui nucleo iniziale risale al 1100. Stiamo giusto ammirando la pavimentazione bellissima tutta rifatta all'antica con ciottoli di mare, quando vediamo passare un prete sorridente dal passo svelto. Attacco bottone dicendogli che vive in posto straordinario. -Ho sempre vissuto qui- ci dice padre Ezzelino che definisce il mare "un debito" che richiede costantemente un forte tributo. Neanche un anno fa una qualificata ditta milanese ha fatto dei lavori di restauro e già i muri si stanno scrostando, si evidenziano delle crepe, perché la salsedine rovina tutto. Ci racconta anche sconsolato che la pescosità è diventata scarsissima, un polipo e tre acciughe al massimo. -Su Padre Ezzolino, un po' di ottimismo, non c'è la sagra del pesce nel padellone?
Per pranzo, focaccia in spiaggia col cartoccio in mano, ma il caffè da gran signori. Per terminare alla grande la scappata a Camogli e godere dell'ultimo sole, ce lo andiamo a prendere sulla terrazza affacciata sul golfo dell'hotel locale più "in", il Cenobio dei Dogi. Sul momento il nome mi sembra un po' pomposo ma è perché ignoravo che i dogi non sono solo altezze serenissime veneziane, ma anche della Repubblica di Genova. Per ben quattro secoli e mezzo i Dogi genovesi hanno retto il potere e il primo è stato Simone Boccanegra eletto a furor di popolo nel lontano 1339.
Di nuovo milanese apro il computer e la prima mail che leggo è di quella matta della Cristiana, compagna di banco e di solenni risate in prima e seconda liceo: -Cara befanina! Finalmente le feste sono finite, augurato tutto a tutti, spegnete tutte 'ste lucine che non ne posso più e si riprenda la vita normale!