sabato 24 maggio 2014

Malaka-Mainake-Malaqa- Màlaga

Una lunga storia: Malaka per i fenici che l'hanno fondata ben sette secoli prima dell'era volgare, Mainake quando è diventata colonia greca e poi romana, Malaqa per quegli otto secoli (dall' VIII° a fine XVI°) in cui ha fatto parte di quella straordinaria regione che è stata l'Al-Andalus araba, Màlaga oggi. Le nostre due settimane in Andalusia sono cominciate e finite qui, a Màlaga.


 Un itinerario consigliato dalla Lonely Planet che si intitola "il meglio dell'Andalusia" a cui abbiamo aggiunto qualche altro sito quando il tempo a disposizione ce lo ha permesso. Un viaggio entusiasmante sotto tutti i punti di vista, mi ha ricordato lo stesso stupore provato a suo tempo nel giro della Bretagna, della Toscana o dell'Umbria perché sono regioni "omogenee" nelle loro architetture che hanno saputo salvaguardare, regioni dalla personalità marcata e riconoscibile, ricche di tutto, bellezze naturali, storia, arte, cultura, tradizioni, folklore.


Ogni luogo naturalmente è diverso e ha le sue specificità, ma dovunque dei segni inconfondibili ti fanno dire "sono in Andalusia" e Màlaga fin dal primo giorno questi segni te li mostra fieramente tutti concentrati nel suo magnifico centro storico: quel mix di moderno e antico che collega il passato a ritmi e bisogni del presente, le vestigia archeologiche romane con l'anfiteatro, l'Alcazaba che in altre città si chiamerà Alcazar, ovvero il sontuoso palazzo fortezza dei governatori mussulmani di Màlaga dell'XI° secolo e i bastioni del Castillo di Gibralfaro fatto costruire nel 700 dall'emiro di Cordoba in cima a una collina, la Cattedrale del XVI° secolo incredibilmente imponente come in tutte le città andaluse che sta a sottolineare il tramonto del mondo mussulmano e la riconquista della Spagna cristiana con i suoi Re Cattolici. 


Un numero spropositato di chiese di grande opulenza barocca, all'oro e metalli preziosi  necessari per gli altari, 
provvedevano le ricchezze importate dalle colonie delle conquistate Americhe; chiese tutte costruite sopra antiche moschee, minareti che si trasformano in gotiche torri campanarie che invitano i fedeli alla messa perché nella cattolicissima Spagna di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona non ci sarà più spazio per muezzin e tanto meno per studiosi di Torah. Emblematico primo esempio di questa sovrapposizione architettonica, politica e religiosa la chiesa dove è stato battezzato Pablo Picasso.






Sempre presente poi a Malaga accanto alla Cattedrale, come in tutte le altre città visitate, la bellissima Plaza del Obispo, ovvero del Vescovo, con il Palazzo Episcopale che oggi viene utilizzato come sala espositiva per quadri e sculture. 

Altri indici tipicamente andalusi sono le tradizionali case con balconi e bow window, l'intricatissimo dedalo di vie strette strette come nei borghi medievali, pavimentazioni in acciottolato o addirittura di marmo così pulite e lucide che ti ci puoi specchiare, le vorrei avere nel salotto di casa mia e Charlie Chaplin ci cuocerebbe senz'altro sopra due uova al tegamino e le "teterie" dove si beve il tè, che ti fanno pensare di essere a Marrakech e non in Spagna. 
Anche las Bodegas El Pimpi, una vera istituzione di Màlaga dove siamo andate a cenare e prima di noi personaggi famosi fra cui Barcélo, El Cordobés, Antonio Banderas e Christine e Bernard Ruiz Picasso, rispettivamente nuora e nipote del grande malaguegno che con le loro donazioni e prestiti hanno permesso la creazione del Museo Picasso, anche questo ristorante dicevo, offre in miniatura uno spaccato andaluso: all'ingresso c'è una grande croce fiorita, crocefissi e Madonne abbondano dovunque, dentro le case e le chiese e sulle facciate esteriori e molto meno spirituale, botti di sherry, il celebre vino liquoroso andaluso (che il pirata Francis Drake ha fatto conoscere in Inghilterra dopo il saccheggio di Cadice del 1587), gli immancabili  prosciutti appesi e tapas a volontà, ceramiche antiche mentre quelle moderne, e francamente meno belle, riempiono tutti i negozi di souvenir.
Picasso sta a Malaga come Mozart a Salisburgo, te lo ritrovi dappertutto, persino i bar della splendida Plaza de la Merced, dove è ubicata la sua casa natale e dove ha giocato da bambino, si ingegnano per proporre dei menù "artistici".
Picasso è nato il 25 ottobre 1881 (tutti caratteracci questi scorpioni, lo sono anch'io)  dal pittore José Ruiz Blasco (di cui è esposto un quadro) e da Maria Picasso Lòpez in questa casa molto borghese, luogo di incontro della società "bene" dell'epoca che dal 1988 è sede della Fondazione che porta il suo nome. Mobili, ambientazioni, documenti, fotografie e oggetti personali testimoniano dell'ambiente colto e raffinato in cui Picasso ha vissuto i suoi primi anni giovanili.
A Malaga Picasso ha vissuto fino a 19 anni e non vi è mai più tornato se non per un breve soggiorno nel Natale del 1900, ma era suo vivo desiderio essere presente nella sua città natale e avere un luogo che ospitasse delle opere testimonianza della sua lunga e articolata carriera artistica. Grazie alla generosità di Christine moglie del figlio primogenito Paul e al nipote Bernard, grazie alla giunta  dell'Andalusia che ha messo a disposizione la prestigiosa sede rinascimentale del Palacio de los Condes de Buenavista,  il Museo Picasso Màlaga è stato inaugurato  alla presenza dei reali di Spagna nel 2003 e attraverso 233 opere, pitture, sculture, ceramiche, libri illustrati si può seguire un percorso creativo durato più di 80 anni. Interessante notare che nel seminterrato dell'edificio esiste un secondo museo, reperti archeologici venuti alla luce durante la ristrutturazione che evidenziano il passato fenicio, greco, romano, islamico e rinascimentale del luogo: nel giro di un minuto si può passare così da una muraglia fenicia vecchia di 2600 anni che circondava la città alle forme rivoluzionarie del più grande innovatore artistico del XX° secolo.  

1 commento:

  1. Sì, por favor! Malaga muy querida!
    Ma come fanno a tenere i manti stradali così luccicanti? Ci passano sopra la cera? Ah, quegli antichi palazzi aristocratici, quell'armonioso connubio di architetture, quanta storia drammatica e appassionata.
    Ok, l'omnipresenza picassiana può rendere il tutto un filo grottesco, ma di sicuro il museo a lui dedicato è tutto fuorché grottesco. Complimenti.

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