lunedì 30 giugno 2014

Parigi: Art is good for you

Qualche ora nei quartieri "alti" del XVI° per far vedere all'amica Marina due luoghi che ritengo meritino. Il primo è la Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent, (fermata al métro Alma Marceau) e il secondo, il Museo Baccarat. Nel piccolo curatissimo gioiello che è il luogo dedicato a Yves Saint Laurent, demiurgo innovatore della moda e dell'universo femminile, c'era la mostra "Femmes berbères du Maroc". Un'esposizione duplice: da una parte i manufatti, tappeti e tessiture, delle mani antiche e sapienti di queste donne che abitano il cuore montagnoso del Marocco, dall'altra i loro abiti quotidiani e festivi, cappe, copricapo, costumi, monili, oggetti conservati nel Museo Berbero del Giardino Majorelle a Marrakech, altro luogo assolutamente meraviglioso gestito dalla Fondazione che ho avuto la fortuna di visitare. (http://www.saranathan.it/2011/05/di-questi-intensi-quattro-giorni.html)
A parte l'allestimento "magico", sfilavano costumi e parure che non hanno solo finalità funzionali e ornamentali, ma anche simboliche: l'abbigliamento è come un circostanziato biglietto da visita della condizione della donna, se nubile, sposata o vedova, il suo gruppo tribale di appartenenza, informazioni visive che dicono il suo posto in seno a una comunità. Fino all'arrivo del cotone all'inizio del '900, per vestirsi, le donne berbere hanno indossato per secoli solo la lana delle pecore dell'Atlas. Nel corso della storia, in Marocco come in quasi tutto il globo, sono sempre state le donne le garanti della perennità delle tradizioni e della lingua, loro quelle che hanno assicurato la salvaguardia dell'eredità culturale delle varie tribù.  


Distante neanche dieci minuti a piedi, il Museo Baccarat, notevole a vari titoli: 1- la sede espositiva, ovvero quello che è stato un tempo l'hôtel particulier della viscontessa di Noailles leggendaria figura della Parigi dell'intelligentzia. Come una Madame de Sevigné del '900, accogliendo pittori, scrittori, musicisti, personalità politiche, la sua casa e la sua ospitalità hanno funzionato da ambitissimo centro di cultura, fucina di idee, scambio e certamente mondanità.
 2- la Maison Baccarat,  prestigiosa manifattura di lavorazione del cristallo in tutte le sue declinazioni, fornitrice da sempre di case reali, zar e maharajah,  che ha acquistato questo edificio per farne la sua sede direzionale e che con l'attuale esposizione celebra le creazioni più significative dei suoi  250 anni di storia. Si deve al re Luigi XVIII°  l'inizio della fama internazionale della Maison: in visita alla manifattura il sovrano ordina un servizio di bicchieri che sarà ammirato dalle teste coronate presenti alla sua tavola.

 3- la firma del grande designer francese Philippe Starck. Fra grandi volumi e ambienti di fascino (rispettata integralmente la sala da ballo stile palazzo napoletano del XVIII° secolo con le boiserie rococò e il soffitto dipinto da un allievo del Tiepolo) Starck ha avuto carta bianca e certamente un bel gruzzolo per restaurare e rinnovare secondo le esigenze del committente questo luogo d'eccezione.
lo spazio "Alchimia" decorato dal pittore Gérard Garouste

Al  numero 11, place des Etats Unis, la sede Baccarat propone le sue tre boutique con le varie collezioni attualmente in vendita, un ristorante dove ho sentito dire che fa molto chic mangiare, la sua Galleria-Museo con i pezzi più famosi sia per l'originalità della fattura che per il prestigio dei committenti. Si passa da testimonianze delle arti decorative secondo la sensibilità del momento storico a profili modernissimi firmati anche dal nostro Ettore Sottsass. Linee e forme purissime dove il cristallo diventa vera e propria architettura e, coniugando curve e linee, sembra giocare con la geometria. 
E poi non voglio fare quella che ha sempre il pallino dei "cessi", ma io un lavandino di quella forma, in rame o ottone non so, e delle applique così chic sopra la tazza del water, proprio non li avevo mai visti. Comunque anche Philippe Starck ama i bagni particolari perché ricordo che a Hong-Kong gli uomini facevano a gara per andare a fare la pipì al bagno dell'ultimo piano dell'hotel Peninsula rifatto dal designer francese. Invece di una normale finestra una parete tutta vetro che sembra proiettarsi direttamente in mezzo alla baia.
Le due visite in programma per il pomeriggio erano finite, ma strada facendo, al 19 di avenue d'Iéna, ci ritroviamo davanti all'insegna del Panthéon Bouddique. -"E qui cosa c'è?"- chiede Marina, - "E che ne so?"- rispondo-"Non ci sono mai stata". A ingresso gratuito e inaugurata nel 1991 da Jack Lang scopriamo che si tratta di un'appendice del favoloso museo di arti asiatiche Guimet, nel cortile interno anche un giardino zen e un padiglione del tè. L'annesso è situato nell'hotel particulier Heidelbach, dal nome del banchiere che l'ha fatto costruire a inizio '900. Conserva una collezione unica in Europa di 250 opere giapponesi raccolte da Emile Guimet nel corso del suo viaggio nell'arcipelago del Sol Levante nel 1876 a cui sono stati aggiunti anche delle sculture provenienti dalla Cina.

In epoca molto più tardiva rispetto alla figura storica e reale del saggio indiano Sakyamuni, colui che raggiungerà il Nirvana diventando il Buddha, "colui che ha conosciuto il risveglio", il fervore religioso e spirituale dei fedeli aggiungerà altre figure mitiche oggetto di venerazione, devozione e suppliche, forse la stessa funzione dei santi nella religione cristiana. Ho visto per la prima volta e mi ha colpito la figura di Kishimojin o Hâriti  che lavorando certo di fantasia mi ha evocato l'idea di  una Madonna asiatica con in braccio il suo Bambino. Ho letto che dipinta inizialmente come un'orchessa che divorava i bambini, grazie alla conversione rivolta al bene che il Buddha ha operato su di lei, si sarebbe trasformata nel tempo nella protettrice riconosciuta di madri e bambini.
Per quel giorno basta cultura, urge decomprimere e un po' di superficiale leggerezza. Davanti alla Madeleine, una favolosa cascata di fiori blu, veri, mentre quelli di una vetrina di Dior sono rigorosamente rossi, finti e giganteschi,  ma l'effetto delle vetrine è bellissimo lo stesso. In rue Mazet vedremo poi una divertente insegna: "Art is good for you". "Sacré Paris!", non finisce mai di sorprendere, ma meno male che riparto, qui c'è troppo da vedere..



1 commento:

  1. Cara amica, ben ritrovata. Sono stata frustrata ben due volte oggi tentando di commentare: il mio commento è svanito nell'etere.
    Della mostra d'arte berbera trovavo collegamenti tra le origini algerine di Saint Laurent e questa collezione voluta da Pierre Bergé, e dicevo che l'ispirazione creativa dello stilista è stata probabilmente influenzata dai ricordi dell'infanzia e adolescenza nordafricana, soprattutto dalla ricchezza dei materiali e l'estrema femminilità delle forme. Beata te che hai visitato il museo d'arte berbera a Marrakesh.
    Riguardo al Museo Baccarat, dicevo che per me è come entrare in un sogno sfavillante che fa dimenticare la dura realtà. Poi mi lasciavo trasportare da un’onda associativa sulle preziose immagini dell’Arca russa di Sokurov, nei saloni scintillanti di specchi e lampadari del Padiglione d’inverno con dame e cavalieri in costumi storici che danzano sulle note di un’invisibile orchestra…
    Dal salone con il soffitto affrescato da un allievo del Tiepolo trovavo un'altra associazione con l'atrio dipinto dal Maestro di Palazzo Dugnani a Milano, dove studiammo fanciulle...
    Ettore Sottsass: sua moglie era cliente della sartoria dei miei e mia mamma si ricorda quando lui accompagnava lei, paludato in lungo cappotto di visone e fedora nera. Un'immagine scolpita nella mente.
    Infine grazie per la visita al Pantheon Bouddique. Arigatou gozaimasu!

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