Ho attinto queste e molte altre informazioni durante l'interessante serata tenuta alla scuola comunale di via Giusti, ovviamente nel quartiere in questione, dal Professor Daniele Brigadoi Cologna esperto sinologo che si occupa specificatamente di migrazione cinese. Per la verità all'incontro la presenza cinese era molto modesta e questo è un vero peccato, ma forse sono soprattutto i milanesi abitanti della zona che ne vogliono e debbono sapere di più: conoscere e conoscersi, è cosa notoria, facilità il dialogo e l'integrazione. ( http://icgiusti.it/wp-content/uploads/2015/05/I-cinesi-del-borgo-degli-ortolani.pdf )
Spiega il Professor Cologna che l'insediamento cinese a Milano inizia negli anni '20 del secolo scorso con una massiccia immigrazione in questo quartiere che per il particolare tessuto urbanistico favoriva la concentrazione di laboratori nel cortile con le abitazioni adiacenti. I nuovi arrivati giungono dallo Zhejiang, regione di forti tradizioni, dove la vita sociale è organizzata in clan, dove il culto dei morti è molto sentito e per loro si costruiscono mausolei, dove si pratica l'artigianato e un'agricoltura di montagna. Responsabile di questa nuova migrazione anche l'Expo del 1906 che ha titillato gli appetiti commerciali dei ricchi borghesi cinesi che hanno intravisto le possibilità di business; interessano al mercato europeo (Francia, Olanda, Belgio) gli oggetti d'arte in pirofillite che i cinesi usano adoperare per le loro creazioni, interessano soprattutto le prime perle artificiali che una grossa società giapponese aveva proposto sul mercato di Shangai e che riscuoteranno in occidente grandissimo successo. Un'altra motivazione può essere rappresentata dal fatto che durante il conflitto 1914-1918 la Francia aveva richiesto mano d'opera cinese a basso prezzo da impiegare nelle sue industrie svuotate di personale. Al termine del conflitto, molti di tali cinesi, con la perdita del lavoro, si sono dispersi per tutta l'Europa e alcuni di essi si sono stabiliti a Milano.
A partire dagli anni '30 saranno abbastanza frequenti i matrimoni fra cinesi e donne italiane; la chiesa incoraggia queste unioni miste che rappresentano un'occasione da non perdere per convertire e battezzare. Anche gli altri abitanti del quartiere erano immigranti, italiani del sud, ma pur sempre immigranti e in comune con i cinesi le stesse difficoltà, lo stesso disorientamento. La stampa fascista invece sarà contraria a questa integrazione in nome, of course, della difesa della razza e seguirà il divieto di matrimoni fra cinesi e milanesi, poi però tollerato.
Durante la guerra verranno considerati nemici e sui 400 cinesi presenti in Italia, 300 verranno internati dal giugno 1940 al 1944. A guerra finita molti faranno ritorno in patria, ma poiché la seconda generazione è mista (mamma italiana, papà cinese), l'Italia sarà nuovamente la loro meta. Per la comunità cinese in Italia si parla di tre flussi migratori, il primo negli anni '20, un secondo fra gli anni '50-'70 e un terzo dagli anni '80 a oggi. Sono sempre le stesse motivazioni per lo più di ordine economico ad accomunare i vari flussi migratori: la fuga dall'indigenza e la ricerca di fortuna in altri lidi. La tipologia migratoria negli anni è cambiata profondamente, non più singole persone ma coppie e interi nuclei familiari e i matrimoni misti in genere non vengono più praticati.
Interessante ascoltare la testimonianza del Signor Angelo Ou, imprenditore sino-italiano di successo e figura di spicco della comunità cinese in Italia che racconta i suoi ricordi di splendida convivenza fra le due anime del quartiere, il padre che giocava a scopa d'assi con il macellaio e l'ortolano dei negozi accanto. o di via Canonica 35 dove i cinesi solevano riunirsi per chiacchierare, giocare e mangiare. Avrà certo ragione il Professor Cologna nel sostenere che non ci sono nuovi immigranti, ma sarà che le giovani generazioni si sposano presto, sarà che fanno più figli degli italiani, rimane il fatto che anche il mio quartiere adesso non lo riconosco più, andando in giro da via Monteceneri a piazza Prealpi e guardando i negozi e i volti di adulti e bambini a volte mi chiedo in quale paese sono finita.