domenica 10 maggio 2015

fondazione Prada

Colto al balzo l'invito della giovane Margherita, che ringrazio vivamente, ho avuto l'opportunità di visitare nei giorni scorsi, prima della sua apertura ufficiale, la Fondazione Prada. Cercando su internet quanto la stampa avesse già scritto in proposito sono finita, fra un sacco di proposte, sul blog di Repubblica del 7 maggio e ho trovato "La Fondazione Prada è bellissima. Ecco perché", un articolo di Laura Traldi. Ho pensato che non era il caso di sforzare troppo le meningi perché condivido l'entusiasmo e quanto scrive la giornalista che oltretutto lo sa dire meglio di me. Propongo dunque il testo di Laura Traldi corredato dalle mie foto. 
"La nuova sede della Fondazione Prada, progettata dallo studio OMA di Rotterdam diretto da Rem Koolhaas, è proprio quello di cui Milano (dopo tanta "architettura internazionale" firmatissima) aveva bisogno:un luogo aperto al mondo ma profondamente milanese e non globalizzato, dove raccontare una cultura alta evitando l'erudizione didascalica ma ispirando il pubblico e dove emozionare senza spettacolarizzazione, con una sobrietà rigorosa che non disdegna l'ironia. Non è un'esagerazione, per quanto mi riguarda. Erano anni infatti che un'architettura non mi toccava in modo così intimo, emozionandomi davvero.
La nuova sede della Fondazione Prada - che apre al pubblico il 9 maggio - è bella per tantissimi motivi.
Perché è coraggiosa: collocata in periferia, deve lottare contro l'innato ozio dei milanesi che li porta a non avventurarsi mai – quando si parla di cultura - oltre i confini della circonvallazione.Chiaramente è sicura di sé, del suo programma, del suo saper esistere «a prescindere da».
Perché è generosa: davvero la creazione di un centro culturale del genere (accessibile per 10 euro con svariate riduzioni) non può non essere visto come un gesto di generosità immensa da parte di un privato verso una città che ha bisogno di essere amata e che, quando lo è, ha ancora così tanto da dare (in termini anche di architetture e luoghi da riscoprire).
Perché propone un'architettura che nasce a servizio dell'arte: uno spazio che crea percorsi inconsueti, offre scorci contraddittori, propone una coralità accennata attraverso la diversità come se dovesse aiutare lo sguardo e la mente ad aprirsi, prima di affrontare le opere esposte.
Perché è profondamente milanese e italiana ma allo stesso tempo cosmopolita: la sensazione meravigliosa che si ha entrando è che non si capisce esattamente cosa sia stato costruito di recente e cosa invece recuperato dal passato. Ma non perché gli edifici appena realizzati copino i pre-esistenti. Piuttosto, per il loro costante rifermento a proporzioni classiche e a un'elegante sobrietà senza tempo.
Perché crea emozioni forti ma attraverso illusioni sottili. Quello che sembra cemento sono lastre traforate in schiuma di alluminio, il pavé del cortile è di legno, le statue ospitate nel Podium sono installate su blocchi di plexiglass trasparenti (e, al piano superiore, alcune Cariatidi sono suggestivamente appese dalla testa, quindi sospese nel vuoto).
Splendidi anche gli spazi raccolti, quasi meditativi, della  Haunted house.Organizzata su quattro livelli, questa “casa degli spettri” ha due-tre piccoli ambienti per ogni piano, ognuno dei quali ospita una o due opere (di Louise Bourgeois e Robert Gober).

È davvero insolito vedere l'arte esposta in un percorso verticale ma il respiro che viene da questo tipo di organizzazione spaziale è piacevolissimo: dà infatti il giusto rilievo a ogni oggetto/installazione e, al visitatore, costretto a muoversi su scale o con un montacarichi, il tempo di assorbirlo e di tenerlo dentro di sé. L'enorme struttura (sono 19mila metri quadrati!) è organizzata in sette edifici restaurati e tre nuovi (il Podium, il Cinema e la Torre), attraversati da cortili. Ci sono piani orizzontali e verticali, scorci ampi e raccolti, ambienti aperti e chiusi, segreti e pubblici, ma tutto esprime un'unità di fondo, come un'invisibile sezione aurea.
Il Podium, per esempio, cioè il parallelepipedo di vetro che attualmente ospita la mostra «Serial Classic» curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, è scandito da lastre di marmo rettangolari – parzialmente “inglobate” nella superficie dell'edificio e parzialmente sporgenti – il cui ritmo ricorda quello delle colonne dei templi greco-romani. La mostra «Serial Classic» bellissima perché – al contrario delle tante esposizioni blockbusters organizzate cronologicamente – parte da una tesi (il rapporto tra originali e copie nell'arte greca e romana), la spiega in modo chiaro e inequivocabile all'entrata per svilupparla poi attraverso le opere.
La Galleria Sud ospita invece la collezione permanente della Fondazione e anche in questo caso l'allestimento è molto suggestivo. Si parte dagli anni Sessanta e si finisce in una grande “quadreria” con decine di opere più contemporanee esposte tutte insieme; al centro di questo percorso, però,uno studiolo della fine del Quattrocento crea un piacevole legame con il passato e “rompe” il divenire cronologico della collezione.

Dietro una porta nell'ultima stanza della Galleria Sud, poi, si cela un vero e proprio gioiello: un deposito con “veicoli d'artista”, macchine realizzate da Elmgreen & Dragset, Carsten Höller & Rosemarie Trockel, Tobias Rehberger, Walter de Maria, Gianni Piacentino e Sarah Lucas.   

Tanto è stato anche detto e scritto del Bar Luce di Wes Anderson situato nell'edificio d'entrata. Qui il regista americano ha ricreato le atmosfere di uno storico caffè milanese usando materiali e arredi ispirati a due film iconici ambientati a Milano: Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951) e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (1960). Chi ama il vintage rimarrà estasiato in questo posto filologicamente perfetto (dagli arredi in formica ai dettagli del piano sotto il bar, dalla decorazione del soffitto (che riproduce la Galleria Vittorio Emanuele) al juke box e flipper funzionanti. In effetti l'insieme è davvero molto suggestivo anche per chi, come me, spesso si chiede se guardare indietro non sia ormai un'opzione un po' troppo sfruttata per far innamorare il pubblico di un luogo nuovo. Ma la vera bellezza del bar sta nel suo inserimento in un contesto come quello della Fondazione: qui, giocando per contrasto, esso contribuisce a creare quella varietà e complessità architettonica che, secondo Koolhaas, è lo sfondo necessario per un'istituzione culturale che guarda avanti e non ha paura di prendere una posizione".
Al post di Laura Traldi vorrei aggiungere qualche annotazione personale di ciò che più mi ha colpito. Selezionare "Il cielo in una stanza" cantata da Mina nel vecchio stupendo juke-box del bar Luce.-Stupire, veramente stupire al nuovo Podium, sia per la bellezza dell'edificio che per la qualità dell'allestimento e della mostra. Avevo letto in passato un libro del Professor Settis sul concetto di classico e di moderno, interessante ora il suo far riflettere sulla serialità della produzione artistica che evidentemente non è iniziata con la società dei consumi  che la pop-art ha nobilitato, ma ha illustri antenati nel passato.

 -Vedere il filmato di Roman Polansky in cui il regista racconta delle sue emozioni davanti allo schermo nel buio delle sale cinematografiche e dei lavori che più lo hanno ispirato: sfilano fra gli altri Mastroianni in 8 e mezzo di Fellini, Orson Welles di Quarto Potere, Laurence Olivier in Amleto e Ladri di biciclette del grande De Sica. "E' stato il teatro a formarmi. E' iniziato tutto così, a quattordici anni, con una parte da protagonista in un'opera teatrale...Il mio primo contatto con il cinema lo devo invece a mia sorella maggiore, prima della Seconda guerra Mondiale, quand'ero ancora bambino. Lei amava il cinema e a volte mi trascinava a vedere i film che le piacevano e che, ovviamente, non erano pellicole per ragazzi..."

-Scoprire che Courbet nel dipingere il quadro "L'origine del Mondo" che lo psicanalista Lacan teneva appeso in una parete del suo studio, aveva fatto studi sulle grotte, la grotta che nasconde misteriosi segreti come il ventre più intimo della donna. Ho visto la documentazione accanto all'installazione permanente di "Processo Grottesco" dell'artista Thomas Demand che a partire da una cartolina di una grotta dell'isola di Maiorca, ricostruisce in cartone grigio sagomato la cavità naturale per poi scattarne la fotografia.
  
-Ammirare opere, sale e allestimento della mostra "In Part". Bellissimi "Peinture feu couleur sans Titre" di Yves Klein, la "Venere Restaurata" e un'altra scultura di Man Ray, la Testa di Medusa di Lucio Fontana.
-Tanti entusiasmi ma anche grandi e piccole perplessità sull'arte contemporanea che mi da sempre filo da torcere. Ho cercato di allargare cuore e mente, ma non c'è niente da fare, non va giù, non capisco, non mi emoziono e talvolta mi incazzo pure. Che dire dell'installazione di Damien Hirst "Lost Love", praticamente lo studio di un ginecologo immerso nell'acqua, come un acquario "medico" pieno di pesci tropicali e meno male che erano vivi e non in formaldeide come in altre opere dell'artista??? E cosa pensare di "1 metro cubo di terra" di Pino Pascali, un'immensa sala vuota che in un angolo propone appunto "1 metro cubo di terra"???



-

Nessun commento:

Posta un commento