No, giovedì 15 ottobre 2015 non è una data storica da ricordare, è semplicemente il giorno in cui sono infine andata all'Expo. Da quando è iniziata ho visto sui media non so quanti reportage, i padiglioni avveniristici dentro e fuori, il cardo e il decumano, l'albero della vita, le illuminazioni serali quando progressivamente con grande fascino tutto si accende. All'ombra della Madonnina eventi, convegni, dibattiti, tavole rotonde, informazioni scientifiche, i progressi dei vari paesi in materia di colture e nutrizione, la riflessione etica collettiva della Carta di Milano: un lungo elenco per dire dell' incredibile sforzo fatto da Milano, dall'Italia, dalle istituzioni, da tutti i paesi presenti. In questi mesi, guardando i servizi seduta comoda in poltrona davanti alla televisione, ho ammirato veramente tante cose e del resto le Esposizioni Universali sono fatte proprio per questo, per incontro, scambio e informazione, per far vedere i risultati di progressi e conquiste.
Certamente è colpa mia, non dovevo andarci così tardi quando lo spettacolo sta per finire e tutti si affrettano per non perderlo. Ieri a singhiozzo pioggia torrenziale con conseguente spianata di ombrelli e forte umidità, una fiumana inarrestabile di gente, soglia di decibel da eruzione del Krakatoa, code chilometriche di 2-3-4-5 ore per visitare all'interno un padiglione. Non sono mica matta e poi non ho più l'età. Non ho difficoltà a credere che le previsioni di pubblico siano state largamente superate per la gioia degli organizzatori, sarà che soffro di claustrofobia, sarà che la folla mi spaventa e l'eccessivo rumore pure però forse questo post avrei dovuto intitolarlo "via dalla pazza folla" oppure "EXPO: missione impossibile".
Non sono entrata in nessun padiglione, le imprese tantaliche non fanno per me, mi sono limitata ad andare su e giù per il cardo e il decumano con il naso e la macchina fotografica all'insù, accontentandomi di cogliere architetture veramente superbe e qualche frammento dello spettacolo esterno che certamente non era poco. Se lo guardiamo da un altro punto di vista, di taglio critico, era una via di mezzo fra Las Vegas e una gigantesca kermesse e c'era di tutto, ma proprio di tutto senza l'impressione di una vera regia ragionata: dal suk di artigianato levantino alle squisitezze gastronomiche nostrane, dalla macchina macedonia di frutta con la lattuga al posto dei fanali e la macchina-albero di Fabio Novembre all'avveniristica macchina-uccello, dai maiali- pesci- ulivi- esposizioni di frutta e verdura, tutto rigorosamente di plastica a un solitario pomodoro vero, dallo spaventapasseri nel campo a un gigantesco Bacio Perugina, da un maxi wafer molto pop alla mucca verde a pois neri della ristrutturata Cascina Triulza, dalle teste di ceramica di Caltagirone a due meravigliose sculture, Cora, divinità della fecondità della terra del primo secolo dell'era volgare e due grifoni che uccidono una cerva, parte di un monumento funerario di tre secoli prima dell'era volgare rinvenuto durante uno scavo clandestino vicino a Foggia.
Energia per la terra! Nutrire il pianeta! Eco-sostenibilità per questo nostro mondo! Obbiettivi nobili e ambiziosi, ma in questo bailamme senza soluzione di continuità, se noi siamo "Il popolo del Cibo" e questi i nostri guardiani-testimoni, come suggerisce l'installazione del grande scenografo Dante Ferretti, trovo che assomigliamo più a un esercito rabelaisiano in assetto di guerra che ad attenti e parsimoniosi custodi della nostra terra e delle sue risorse.
Per finire vorrei proporre un considerevole aumento di stipendio per tutti gli insegnanti che hanno avuto il coraggio e forse l'ardire di portare la scolaresca in gita didattica all'Expo il 15 ottobre, gli altri giorni non so, e una medaglia al valore civile in particolare per quella maestra con tanto di cartello di classe e scuola che ha portato una corda arancione a mo' di filo d'Arianna per i suoi bambini che dovevano tenerla ben stretta fra le dita a scanso di smarrimento. L'onoreficenza se la merita, eccome!
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