Fra un'ondata migratoria e l'altra in Israele negli anni è sbarcato più di un milione di russi e non stupisce certo che la vasta sala fosse gremita e che il pubblico partecipasse molto caldamente, con applausi, ritmando con le mani, cantando con le vedette sul palcoscenico i ritornelli della tradizione popolare-patriottica-folcloristica della grande madre Russia; Volga Volga, oci ciornie, kalinka, performance di balalaika, siamo stati deliziati di tutto il repertorio al gran completo.
Ok per le canzoni, per le coroncine in testa, i balli e le performance ginniche maschili da cosacchi del Don, visto che è il coro dell'Armata Rossa ci sta, quello che non mi aspettavo è stato il carattere celebrativo-storico che si è voluto dare alla serata, non dico una parata militare ma, quanto ad atmosfera, poco ci mancava. Su due grandi schermi posti ai lati della scena, insieme allo spettacolo sfilavano le immagini di repertorio del conflitto bellico '39-'45 che i russi non chiamano come noi "II guerra mondiale", ma bensì "grande guerra patriottica" per sottolinearne la valenza nazional-eroica che è costata al paese un numero di vittime da capogiro, più di 20 milioni di morti. Il fatto è che quest'anno ricorrono i 70 anni dalla fine di quella tragedia e, nonostante il famigerato patto Molotov-Ribbentrop, la Russia ha giocoforza finito per trovarsi dalla parte giusta.
L'ospite più illustre dei cantanti che si sono esibiti, era un certo Iosif Kobzon a me totalmente sconosciuto ma invece famosissimo in patria dove viene addirittura soprannominato il Frank Sinatra dell'est. Con i suoi 78 anni e quel suo viso tutto rifatto che sembrava di cera l'ho trovato patetico e inquietante e per la verità mi ha ricordato qualcuno di casa nostra, ma leggendo poi su di lui ho scoperto che fa parte di quelle persone che riescono a stare a galla in tutte le stagioni: chissà in che modo come ebreo durante la guerra, cantante da giovane ai concerti in onore di Stalin, superdecorato negli anni dell'URSS, grande amico ora di Putin. Malgrado la celebrità un percorso di vita non proprio cristallino, a quanto pare, e solo dopo ho capito perché, prima dello spettacolo, fuori dal teatro manifestavano delle persone con un cartello che gli diceva di lasciare Israele. A fine serata per strada lo aspettava un macchinone bianco con la targa CD del corpo diplomatico.
La serata è finita alle due di notte dopo la cena a base di cucina fusion che a Tel Aviv va per la maggiore al ristorante Dalida, ritrovo "in" del momento nel quartiere Levinsky. Si è aggiunto a noi uno psicologo -criminologo, amico di Eldad. Fra tutti e tre, il casino delle nostre varie lingue e quello del locale, una conversazione pressoché....surrealista ma molto divertente. Grazie Eldad!
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