venerdì 22 aprile 2016

Roquebrune e l'ulivo millenario

Con la preziosa amica Marina ce ne siamo rimaste a Nizza tre settimane, ma c'è poco da invidiarci, non è stata una vacanza ma una sfacchinata pazzesca perchè la vecchia casa di Nizza è un rudere e c'è sempre qualcosa da aggiustare; questa volta, meglio che niente, i tarli nel parquet che con tutto l'amore del mondo per gli animali andavano pur trattati e fatti sloggiare, si fanno persino sentire mentre rosicchiano. Poco tempo perciò per bighellonare come adoriamo fare, molto dovere e poco piacere, però un giorno di vacanza ce lo siamo prese, approfittando anche del sole che in questo periodo è stato avaro di sè. Meta il minuscolo borgo medievale di Roquebrune appollaiato sulla Moyenne Corniche, davanti il mare e al principato di Monaco di cui ha fatto parte fino a metà '800 prima di essere annesso alla Francia, a destra sulla Grande Corniche quell'albergo in bilico sulle rocce dove prima o poi mi piacerebbe pranzare, pare che si goda di una vista stratosferica. 

Fra teste coronate e celebrità le vecchie pietre di storie da raccontare ne avrebbero proprio tante, mi aveva particolarmente interessata all'epoca quella di Joséphine Baker che a Roquebrune ci viveva in mezzo a un sacco di ragazzi adottati di tutte le razze e colori, un mito per me, salvo poi scoprire in seguito alla pubblicazione di un libro che la loro vita non era stata così idilliaca come me la ero immaginata.

Ma il bello del villaggio di Roquebrune è il suo fascino discreto, qui non ci sono le villone spettacolari manifeste o celate nel verde di un Cap Martin, Cap d'Ail o Saint Jean Cap Ferrat, qui, soprattutto in questo periodo dell'anno, sono i fiori a farla da padrone e non fiori che se la tirano, esotici e rari, ma i più comuni come i glicini, i nasturzi, i gelsomini, le succulente più banali, gli iris, la meravigliosa erigeron che sembra una margheritina e che spunta impertinente dagli anfratti delle pietre.

Nessuna tentazione mercantile, al bando negozi, boutique, souvenir e frotte di turisti vocianti, qui si cammina quasi in punta di piedi per non disturbare o rompere l'incanto. Il gioiello più prezioso per chi si avvia per i vicoli silenziosi è l'incontro con un ulivo millenario e non sono le fronde a colpire ma quelle innumerevoli radici che sembrano uscire dalle viscere della terra formando più tronchi, come una straordinaria scultura del tempo. 
Erano un sacco di anni che non ci venivo e questa volta ho parcheggiato in cima al paese, dove il borgo finisce, lì ci sono gli alloggi familiari, niente male, e dietro gli orti con gli abitanti che ci lavorano. Poi scale e scalini, strade ombrose e strettissime  per giungere fino al castello che ormai conserva rari elementi del XIII° secolo quando non era che una torre. Il tempo ha apportato numerose modifiche per farlo diventare una residenza confortevole e si sono succeduti vari proprietari fino a quando un certo signore inglese, William Ingram, nel 1921 ne ha fatto dono al borgo.  
Un cartello informa che nella casa di questa impasse negli anni '50 ci ha vissuto a lungo con la sua prima moglie, Lesley Blanch, lo scrittore Romain Gary per ben due volte Prix Goncourt e viene da pensare come l'arte abbia costantemente bisogno di nutrirsi di bellezza e di silenzio, due ingredienti che a Roquebrune non mancano di certo. Un vero incanto poi la piazza centrale che ricorda Ravello in costiera amalfitana con la sua ringhiera di ferro battuto a strapiombo sul mare.
Due sedie vuote in attesa, una coppia dai capelli bianchi che legge al sole davanti all'uscio di casa, un trompe l'oeil di una bella signora discinta che osserva dietro le persiane, la vecchia fontana sulla piazza, un avamposto medievale che scruta l'orizzonte e chi, novello Icaro, si diverte a volare su tutto questo ben di Dio: è semplicemente Roquebrune  in una domenica di aprile. 





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