Non ne ricordo precisamente il nome, Saul Bellow credo, ma ho letto tempo fa una frase di uno scrittore che ha fatto tilt nella mente: "dopo i 60 anni non ci si può più permettere il lusso di fare ciò che non piace". L'età purtroppo ce l'ho e condivido pienamente l'affermazione, ho così iniziato un processo lento ma inesorabile di pulizia e smaltimento. Via un sacco di paccottiglia, "la roba" come la chiamava Verga, oggetti accumulati o ricevuti in dono che non servono a niente se non come ricettacolo di polvere. Via serate mondane in cui si parla di tutto e di niente e nessuno ascolta, tanto inutile bla bla e quando torni a casa ti fa pure male la pancia perché hai mangiato troppo.Via frequentazioni fasulle che magari hai scambiato per amici da coltivare e invece non era il caso. Via rapporti complicati. Via la voglia di controllare tutto, di fare la prima della classe, gli ultimi, nei banchi in fondo, magari vengono rimandati a settembre, ma si divertono senz'altro molto di più.
Insomma, come si usava fare un tempo a Natale e a Pasqua un gran ripulisti dentro la casa dove abiti, ma anche in quella interiore alla ricerca dell'autentico e dell'essenziale, quello che piace veramente, che ha senso. E' salutare una maggiore attenzione a ciò che resta dopo la cernita, forse non molto, ma è quel che c'è di buono e che vale la pena conservare. In proposito mi viene in mente la tazzina di caffè che si beve a Napoli o a Palermo: è quasi vuota, solo in fondo più che caffè, schiuma di caffè, essenza di caffè, poco poco, ma è nettare degli dei. In questa bisaccia diventata più leggera, i libri, i viaggi e la scrittura hanno superato la selezione alla grande, sono dei valori sicuri, ci si può fidare; quando è possibile viaggi lunghi, mi è capitato anche sei settimane come in Cile, in Birmania o a Cuba, altre volte solo un fine settimana, pochissimi giorni per una capitale o semplicemente una città, comunque è sempre interessante e va bene così.
Insomma, come si usava fare un tempo a Natale e a Pasqua un gran ripulisti dentro la casa dove abiti, ma anche in quella interiore alla ricerca dell'autentico e dell'essenziale, quello che piace veramente, che ha senso. E' salutare una maggiore attenzione a ciò che resta dopo la cernita, forse non molto, ma è quel che c'è di buono e che vale la pena conservare. In proposito mi viene in mente la tazzina di caffè che si beve a Napoli o a Palermo: è quasi vuota, solo in fondo più che caffè, schiuma di caffè, essenza di caffè, poco poco, ma è nettare degli dei. In questa bisaccia diventata più leggera, i libri, i viaggi e la scrittura hanno superato la selezione alla grande, sono dei valori sicuri, ci si può fidare; quando è possibile viaggi lunghi, mi è capitato anche sei settimane come in Cile, in Birmania o a Cuba, altre volte solo un fine settimana, pochissimi giorni per una capitale o semplicemente una città, comunque è sempre interessante e va bene così.
Mi piace viaggiare perché è un modo per interrogarsi, conoscere e comunicare, sono curiosa del mio prossimo, di come se la passa e di quel che combina; anche scrivere è un modo di comunicazione, diverso e più silente, ma pur sempre apertura e confronto verso l'altro da se.
Beato Montaigne che ha fatto il giro del mondo e dell'animo umano restandosene comodamente seduto nella sua stanza. A me, per lungo tempo è dispiaciuto constatare che da sola producevo poco o niente, black out totale della mente, senza viaggiare-vedere-incontrare non si profila nessuna idea all'orizzonte, il bisogno costante di uno stimolo, di un'occasione esterni per riempire di nero il foglio bianco, ma poi in un'intervista sul Corriere ho letto che a Tiziano Terzani succedeva parimenti ed è stata una grande consolazione: se si doveva confrontare con questa impasse uno che oltre a fare il brillante giornalista ha scritto non so quanti libri, figuriamoci la sottoscritta, semplice blogger amatoriale....
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