"Fortuna che è passato. Sì, cara Sara, perché mano a mano negli anni ho sviluppato una vera e propria idiosincrasia per il Natale con tutti i suoi finti “vogliamoci bene” e i suoi riti consumistici ormai all’eccesso". Ricevo questa mail e condivido il pensiero dell'amica Franca: anch'io sono contenta che per quest'anno col Natale abbiamo chiuso e non me la sono cavata male, nemmeno mezz'ora di shopping, due o tre panettoni in regalo solo a chi veramente di dovere e niente tovaglie rosse, renne, stelle e angeli, addobbi improponibili e abboffate letali; la vigilia cena in cucina con uno dei miei ragazzi e la sua fidanzata ed eravamo tutti e tre in pigiama grazie a una giornata di completo relax domestico e il 25, lunga passeggiata sulla promenade nizzarda con pic nic in riva al mare, pane formaggio e due mandarini. Il più grande rispetto, intendiamoci, per il Natale con la sua valenza religiosa per le centinaia di milioni di cristiani nel mondo, ma la sacralità dell'occasione non mi appartiene e sono contenta di avercela fatta ad uscire dalla kermesse godereccia di pranzi, cene e regali inutili a tutti i costi. Ricordo certo dei natali ben diversi a casa e mi piaceva pure, ma negli anni cambiano le circostanze e cambiamo pure noi, non mi arrischio a dire se in meglio o in peggio. Via uno, resta il secondo momento topico tormentone, l'ultimo dell'anno che inesorabilmente rimanda al tempo che avanza, un bilancio dell'anno che è passato, timori e speranze per quello che verrà. Francamente il 17 non mi sembra un gran bel numero, superstizioni a parte, però vedremo, qualcosa di buono ci scapperà senz'altro.
A proposito del tempo che passa, difficile essere originali visto che ne parlo sempre in questo periodo dell'anno. Quando l'abbiamo piantata, nel '90, era raso terra, ci ha messo 26 anni a crescere quella palma phoenix e a diventare bella com'era, l'unica del mio giardino, alta e rigogliosa fra basse lavande, rosmarini e lantane, una vera meraviglia, solo qualche cipresso osava sfidarla in altezza. Sono bastati sei mesi perché i "punteruoli rossi", la traduzione italiana trovata per il termine francese di "charançon" se la mangiassero tutta, un tronco largo e robusto divenuto poltiglia nel suo interno. Questo micidiale parassita originario dell'Asia, non ha divorato solo la mia palma, ma anche il tempo, 26 anni di paziente lavoro di crescita consumati nello spazio di pochi mesi. Oltretutto mi tocca vedere adesso il tetto della mia vicina che la palma aveva il buon gusto di nascondere generosamente. Ne hanno reciso un bel pezzo per vedere se si riprendeva, ma niente da fare, è lì come un triste monolite che ha perduto l'anima in attesa di essere tagliato del tutto e togliere il disturbo. Non mi consola affatto sapere che il charançon è super attivo e che la triste sorte è toccata a molte altre palme del circondario, il proverbio "mal comune mezzo gaudio" mi è sempre sembrato una gran stronzata. Sconcertante comunque la riflessione fra i tempi lunghi della costruzione e quelli proporzionalmente irrisori della distruzione e non sto certo pensando solo alla mia palma, gli uomini hanno forse imparato dagli charançons e sanno fare drammaticamente ancora più veloce.
Gli auguri dovrebbero essere belli e gioiosi, sennò che auguri sono, ma quest'anno l'ottimismo risulta un po' difficile con tutto quello che ci succede intorno, terremoti, migrazioni epocali, un Mare Nostrum trasformatosi in cimitero, guerre, terrorismo e tanta sofferenza giornalmente davanti ai nostri occhi. Mi dispiace, ma quest'anno va così, riesco solo a dire....comunque adelante Pedro, il 2017 è alle porte.