sabato 10 dicembre 2016

Haifa: dall'arte in Wadi Nisnas al museo Hecht

Case distrutte, foreste distrutte, camion di pompieri in stato di allerta per la città e schiere di giardinieri che potavano alberi bruciati, ma la capacità di reazione della mia tribù è veramente formidabile perché l'emergenza costante ha insegnato a rimboccarsi le maniche e a non stare a piangersi addosso. La cugina Hagar raccoglie in casa coperte, indumenti, generi di prima necessità per chi nei fuochi ha perso la casa e facciamo fatica a trovare un centro di raccolta che li voglia, ha risposto la solidarietà di tutti i cittadini e i magazzini sono pieni. Così la vita continua e, salvo certe zone, se te ne vai in giro proprio non ti accorgi che pochi giorni prima le fiamme volevano farla da padrone.  Come a Tel Aviv anche a Haifa ormai ho i miei posti del cuore e non poteva mancare il solito giro per Wadi Nisnas che non manca mai di sorprendere con i suoi angoli di poesia e d'arte e poi verso l'una mi viene sempre nostalgia dell'hummus dei suoi ristorantini, il migliore in assoluto.  (http://www.saranathan.it/2015/12/haifa-giona-con-le-valigie-in-mano.html)
E poi dopo non so quanti mesi di siccità arriva infine un giorno di pioggia torrenziale che una settimana prima sarebbe stata ben più opportuna e avrebbe risolto la situazione. Nessuna voglia di beccarci tutta quell'acqua, è l'occasione per andare all'Università di Haifa che non ho mai visitato e al museo d'arte Reuben e Edith Hecht che fa parte del campus universitario e che si trova nel sottosuolo della Torre Eshkol, trenta piani progettati dal brasiliano Oscar Niemeyer, lo stesso architetto cui dobbiamo Brasilia e il Palazzo Mondadori. Al ventottesimo piano della Torre c'è una galleria panoramica che domina tutta la baia di Haifa, ma il tempo da lupi offriva solo nebbia e visibilità zero.  
In posizione veramente spettacolare sulla sommità sud del Monte Carmelo il campus comprende le facoltà di Scienze Umane e Sociali dell'Università di Haifa e il prestigioso Technion, ovvero l'Israel Institute of Tecnology fondato nel 1924, centro dell'high-tech israeliano e in pole position nelle graduatorie delle migliori università al mondo. Concepito inizialmente come Politecnico per le varie specializzazioni di Ingegneria, si sono poi aggiunte la Facoltà di Medicina (1960) e Biologia (1970) dove hanno studiato e insegnato diversi premi Nobel.
Un piano del museo è dedicato a reperti archeologici trovati in questa area mediterranea così ricca di storia che risalgono fino a duemila anni prima dell'era volgare, per esempio statuette di bronzo cananite simbolo di fertilità del dio Ba'al,  un cucchiaio cosmetico a forma di nudo femminile delle 18°-19° dinastie egizie, anfore usate da quegli insuperabili commercianti del mare che erano i fenici, non manca nemmeno una latrina trovata a Gerusalemme di sei secoli prima dell'era volgare. Ma il reperto più importante di questa collezione è quel che resta di una nave del periodo persiano del V° secolo prima dell'era volgare trovata in fondo al mare nei pressi di Cesarea, davanti al kibbuz Ma'agan Mikhael. Una barca di 12,5 metri per 4, probabilmente condotta da 4-6 marinai, una fonte vecchia di 2400 anni che offre preziose informazioni sulle tecniche di costruzione e navigazione del passato remoto.
Nell'altro piano si saltano a piè pari duemila anni di storia e dall'archeologia si passa alla pittura con una collezione che riunisce grandi nomi di fine '800 e primi '900 soprattutto di artisti francesi e della componente ebraica dell'Ecole de Paris.  (da sinistra a destra e dall'alto in basso: Pinchus Kremègne col "Ritratto della moglie dell'artista", Paul Henri Sérusier con "Still Life with a Soup-Tureen" 1900.
 Vincent Van Gogh: "Head of a Young Peasant Woman", Amedeo Modigliani: "Ritratto di Maud Abrantes" 1908, Modigliani: " Nudo con cappello" 1908

Termino questa veloce carrellata delle collezioni del Museo Hecht con due oli dell'irrequieto Chaim Soutine che amo tantissimo e che riconosco fra mille non solo per la vivacità cromatica e l'intensità materica, ma perché nelle sue tele non c'è mai niente di dritto, di stabile e certo, tutto risulta sempre in bilico, grido supremo dell'io dell'artista ma anche ribellione contro la precarietà delle cose umane: vacillano le strade, le case, gli alberi,  le persone, persino i vasi di fiori dove i suoi recisi gladioli rossi sembrano spade. (Chaim Soutine: "Path in Forest with two children", Soutine: " Street of Cagnes-sur-mer" 1923-24).





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