venerdì 13 gennaio 2017

Williamstown: welcome to the Clark!

Ho presto capito perché l'amico Guy aveva previsto nel suo giro del New England una capatina nei Berkshire: questo angolo d'America offre il fascino della sua natura, distese infinite di colline e campagna, montagne sullo sfondo, in felice compagnia di proposte culturali di alto profilo. La cittadina di Williamstown è difatti la sede dell'elitario Williams College (questi piccoli e privati liberal arts colleges, tipica istituzione del New England che offrono un'accurata istruzione superiore non orientata in senso tecnico o professionale) e del Clark Art Institute, una delle perle dei musei statunitensi.

Il Signor Robert Sterling Clark, un ingegnere di Yale la cui famiglia ha fatto fortuna con le macchine da cucire marca Singer, non so se mi spiego, inizia a collezionare opere d'arte a Parigi nel 1912 dove tra l'altro incontra l'amore della sua vita, l'attrice della Comédie Française Francine Clary. La comune passione per l'arte e i tanti soldini a disposizione ne faranno due collezionisti d'eccezione che a partire dal 1955 decidono di sistemare a Williamstown i loro tesori in un museo costruito apposta per loro, una sorta di tempio bianco aperto al pubblico e agli studiosi e in quei primi anni la coppia si era ricavata un appartamentino nel museo stesso a stretto contatto con i loro tesori figurativi e di bronzo.  Va poi detto che nel 1999  è a Tadao Ando che viene affidato l'incarico di creare il Clark's Campus e nel 2007 verranno rinnovate dall''architetto Selldorf  le varie costruzioni dell'area.
Ragazzi che collezioni sublimi, ci andrei volando a seguire lezioni d'arte seduta per terra insieme agli studenti in un posto del genere fra un favoloso pianoforte del '700, un Pensatore di Rodin e un affresco del Tiepolo! Argenti, porcellane, opere grafiche e soprattutto oli e sculture. Le proposte museali spaziano dai grandi maestri del passato ( Piero della Francesca, Botticelli, Rembrandt, Fragonard, Boucher, Goya, giusto per citare qualche nome) agli impressionisti e post impressionisti francesi e non (Sisley, Pissarro, Manet, Monet, Renoir, Van Gogh, Gauguin...) e agli artisti di scuola americana.  
Un'esposizione vastissima, davvero impossibile condividere esaustivamente la visita e mi dispiace, condivido solo una serie di ritratti del mondo femminile che ho particolarmente amato: Edgar Degas "Ballerine in classe" 1880 circa, Degas " Piccola Ballerina quattordicenne", Domenico Ghirlandaio " Ritratto di Signora" circa 1490, Berthe Morisot "Il Bagno" 1885-86, Sargent "Mademoiselle Jourdain" 1889, Toulouse-Lautrec "Carmen" 1884 circa, Manet " Méry Laurent wearing a small toque" 1882, Gauguin "Giovane ragazza cristiana" 1894

Vorrei anche mostrare qualche tela di Winslow Homer e di Frederic Remington, due artisti americani tra i più importanti del 19° secolo che sviluppano temi tipici dell'arte d'oltreoceano estranei alla nostra tradizione europea. Homer concentra la sua attenzione sulla vastità e la grandiosità selvaggia della natura americana di fronte alla quale  l'uomo si ritrova solo; numerose le sue rappresentazioni di marinai solitari che navigano su piccole imbarcazioni tra onde e mari in tempesta pieni di squali. Il suo è lo sguardo del pittore realista che "passa più giorni di attenta osservazione",


 come annota lui stesso, a scrutare la fluttuazione delle onde dalla spiaggia del Maine dove aveva il suo studio ("West Point, Prout's Neck" 1900). L'artista rivolge anche la sua attenzione a temi sociali come l'olio "The Bridle Path, White Mountains" del 1868 con quella giovane donna che cavalca solitaria per sottolineare la progressiva indipendenza delle donne della classe media americana dopo la guerra civile.

Ha una sua specificità tematica tipicamente americana anche Frederic Remington rinomato come il cantore dell'epopea degli indiani e dei cow-boy.  Si devono a lui racconti pittorici del vecchio West e della vita della cavalleria americana, oli ma anche bozzetti in bianco e nero che influenzeranno in seguito il mondo del fumetto. La memoria mi riporta per forza al mitico  Tex Willer e a Blek Macigno col simpaticissimo professor Cornelius Occultis che ho tanto amato in gioventù. Credo di averli letti perché, refrattaria alla violenza, con questi fumetti ero certa che senza troppa drammatica "suspense"
alla fine i nostri eroi avrebbero fatto trionfare il bene. Ed eccolo qui quest'indiano  che scruta l'orizzonte drammaticamente solo sul suo destriero nella sterminata prateria innevata; forse si domanda se verrà accolto dagli yankees da amico o da nemico "Friends or Foes? (The Scout)" 1902-05 e "Dismounted: The Fourth Troopers Moving the Led Horses" del 1890, con quei cavalli che ci vengono incontro al galoppo e che sembrano annunciare poco di buono, forse un'imminente battaglia.


In fatto di musei per quel giorno la visita al ricchissimo Clark Art Institute sarebbe abbondantemente bastata e ce ne saremmo andati volentieri in giro a passeggiare per Williamstown, ma il tempo non ce l'ha permesso, un freddo barbino e cominciava a nevicare, così per tirar sera di musei ce ne siamo sparati altri due, il Museum of Art del Williams College e il MASS Moca a cui ho già accennato, una vera indigestione, ero in stato comatoso col cervello fuso.  (http://www.saranathan.it/2016/10/i-berkshires-e-la-neve.html).  E' stato facile trovare il museo d'arte perché sul prato davanti ci sono nove occhi di bronzo, direi alieni, che ti scrutano. Aiuto, saranno anche un'istallazione del 2001 della grande Louise Bourgeois per celebrare i 75 anni del Museo, ma francamente li ho trovati inquietanti e per fortuna mi sono risparmiata l'illuminazione psichedelica dentro le pupille, perché alla sera si accendono pure. Louise Bourgeois vede gli occhi come una metafora della verità e a loro proposito dice: "Eyes relate to seduction, flirtation, and voyeurism". L'artista ha senz'altro ragione ma più che seduttivi i suoi occhi mi sono sembrati terribili.

Il museo del Williams College con un coloratissimo Sol Lewitt giusto all'ingresso possiede una cospicua collezione di maestri americani moderni e contemporanei (oltre 13.000 opere) e degna di nota è anche la collezione di fotografie fra cui spiccano autori come Man Ray e Stieglitz, mi limito però a mostrare un'apsara indiana del X° secolo e due meravigliosi reperti assiri  trovati a Nimrud, nome attribuito dagli arabi nell'ottavo secolo a quell'antica città assira situata a sud di Ninive, sul fiume Tigri. Un pannello spiega che è l'attuale lavoro di ricercatori, studenti e professori contestualizzare storicamente questi capolavori recuperati dalla follia distruttiva dell'Isis. Nell'ambito della più ampia battaglia per la riconquista di Mosul controllata dallo Stato Islamico dal 1914, l'esercito iracheno ha riconquistato l'antico sito archeologico di Nimrud parzialmente distrutto, stessa tragedia subita dalla siriana antichissima Palmira per non parlare dei Buddha di Bamyan in Afghanistan che attraverso filmati propagandistici abbiamo visto bombardare in diretta dai talebani nel 2001. Il fanatismo integralista che non solo fa scempio di uomini e città, ma anche dell'arte e delle bellezze del passato.






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