mercoledì 23 agosto 2017

Figlio del Cielo e Stella Polare nella Città Proibita

Nella mostra di quest'estate al Forum Grimaldi di Monaco si visita la Città Proibita, che più Proibita non è, dell'ex Impero Celeste. Ambientazioni, mobili, oggetti, documenti, ritratti, maquette e ricche schede esplicative fanno entrare lo spettatore nel Sancta Sanctorum del potere imperiale cinese durante i suoi secoli più splendenti, quelli dell'ultima dinastia, i Qing, nove imperatori che dal 1644 al 1911 hanno concentrato in quel microcosmo impenetrabile il fulcro del loro immenso potere politico, militare e religioso. Sfilano riti e cerimonie di Palazzo, le ambizioni guerriere con le progressive conquiste dell'impero che con Qianlong (seconda metà del XVIII° secolo)  raggiungerà la sua massima estensione, ma vengono documentati anche la venerazione per gli antenati, la vita privata, le passioni personali per l'astronomia, la pittura, la musica, il teatro, la poesia, la calligrafia, un raffinatissimo elitario universo che gli albori del '900 spazzeranno via per sempre.

L'ingresso al potere nel 1644 della dinastia Quing, proveniente dalla Manciuria, rappresenta un momento chiave della Storia, l'epoca in cui iniziano a disegnarsi i profili geografici della Cina odierna. Nella maggioritaria etnia Han (da cui proviene la precedente dinastia Ming) confluiscono fino alle 56 etnie odierne, gli abitanti della Manciuria, ma anche i mongoli, i tibetani, gli ouighours ( mussulmani sunniti dello Xinjiang) e molti altri, una federazione plurietnica sotto la sovranità di Pechino. Fino al 1600 le tribù della Manciuria formavano un popolo nomade che viveva a nord-est della Cina dell'epoca, ma esperti guerrieri a cavallo e arcieri formidabili sotto il comando di una ferrea e organizzatissima strategia militare, sapranno esautorare i Ming, conquistare la Cina,  accoglierne usi, costumi, rituali e raffinatezze pur restando sempre attaccati a valori e abitudini ancestrali; esemplare in questo senso l'austerità dei loro costumi militari e una seduta delle collezioni imperiali che più che un trono sembra un vero trofeo di caccia.
Ogni aspetto della vita di corte è rigidamente codificato: lo scandire del tempo, i gesti, il linguaggio, gli oggetti, il codice vestimentario dove ogni colore ha un suo significato, i motivi decorativi regolamentati; draghi, acque primordiali, nuvole, costellazioni celesti fatti di perle e pietre preziose ricamate sulla seta degli abiti da cerimonia vogliono rappresentare quasi un itinerario spirituale, l'espressione di precisi simboli di buon auspicio per chi li indosserà. Non c'è davvero spazio per alcuna estrosia personale e una volta ancora si ha l'occasione di constatare che l'individuo, protagonista assoluto nel nostro occidente, in quella parte del mondo sembra non contare: tranne rare eccezioni, i creatori di tutte le opere, pitture, ceramiche, sculture, favolosi costumi vengono genericamente menzionati quali "artisti di corte", solo anonimi interpreti di saperi e riti millenari. (In Myanmar per esempio ho visto migliaia di statue del Buddha, dalla fattura si può riconoscere il periodo e la scuola, ma non viene mai indicato l'autore). L'occasione per sfoggiare e mostrare tante bellezze saranno le udienze solenni che, tre volte all'anno, riuniscono l'insieme di ministri, dignitari civili e militari e anche gli inviati delle varie nazioni con i loro doni protocollari scrupolosamente collezionati a corte. 

Varcate le porte monumentali della proibitissima città porpora e dopo aver attraversato vasti cortili interni, si giunge alla sala delle udienze la cui solennità è sottolineata dalla rigorosa simmetria, indice di equilibrio e armonia. L'imperatore troneggia rivolto verso sud che corrisponde all'orientamento nord-sud del palazzo imperiale, ricorso simbolico al cosmo e alla stella polare di cui l'imperatore è considerato l'equivalente terrestre. Il trono è posto davanti a un paravento per proteggere "il figlio del cielo" dalle influenze nefaste provenienti dal nord, più prosaicamente penso che gli si vogliano evitare le correnti d'aria. Si parla all'imperatore a rispettosa distanza e i due elefanti di ceramica posti su due mobiletti ai due lati, altro segno di buon auspicio, sono dei brucia-profumo che avvolgono  il sovrano di effluvi fragranti e lo circondano di un'aurea di mistero.
Figlio del cielo, stella polare, mediatore fra terra e cielo, gli appellativi non mancano certo a questo dio terreno che riassume nella sua persona funzioni profane e funzioni sacre. Quale regolatore dell'ordine terrestre e cosmico, l'imperatore adempie a un gran numero di rituali, primo fra tutti il "sacrificio al cielo" che si svolge nel Tempio del Cielo, una vasta area di 272 ettari a sud di Pechino. Al suo interno tre complessi architettonici fra cui " La volta imperiale celeste" un articolato santuaro coronato dal "Padiglione delle Preghiere per i Buoni Raccolti" (foto della monumentale maquette esposta alla mostra). Ogni primavera, in occasione  del novilunio e tutto vestito di blu come si conviene a chi bazzica simbolicamente le sfere celesti, ha luogo la cerimonia dell'imperatore che va ad officiare per una buona annata agricola.
Molto interessante leggere nel ricco apparato didascalico della mostra che ad ogni cambiamento dinastico la nuova famiglia regnante si appropria della collezione imperiale precedente e a maggior ragione si arroga questo diritto la dinastia dei Qing provenienti dalla Manciuria, un'etnia straniera che attraverso l'integrazione del passato cinese ha bisogno di confermare e consolidare la sua legittimità al potere. Questa assunzione della storia pregressa del regno conquistato grazie alla rispettosa salvaguardia di luoghi, riti, simboli e collezioni, sottolinea la preziosa continuità millenaria dell'Impero Celeste. Una scelta lungimirante e saggia, ben diversa rispetto ad  altri conquistatori del passato vicino e lontano che, appena insediati, si affrettano subito a cancellare ogni traccia precedente, cambiando spesso la capitale del loro potere, distruggendo luoghi di culto, palazzi, opere e, se possibile, anche la memoria.
E al di là delle numerose incombenze ufficiali e cerimoniali della funzione reggente,  dalla più segreta vita privata di questi imperatori manciù emergono personalità di alto profilo. L'imperatore Kangxi per esempio (1662-1722), dal regno contemporaneo a quello del Re Sole, sarà un uomo curioso che si interessa ad ogni novità, la pittura, lo smalto, il vetro, la matematica e le scienze occidentali in particolare. Per studiare il cosmo Kangxi sceglierà come precettore il missionario astronomo fiammingo Ferdinad Verbiest (foto sopra e una sua carta astronomica) e saranno dei missionari gesuiti a capo del suo Gabinetto di Astronomia. L'imperatore Quianlong (1736-1795), altro esempio, grande capo militare e bulimico, raffinatissimo  collezionista d'arte. Se la mattina è dedicata alle incombenze di Stato, il suo pomeriggio è per lo studio dei classici, la musica, la pittura, la poesia e la calligrafia con i suoi indispensabili strumenti: pennelli, inchiostro, calamaio e carta.

Questo excursus espositivo termina con 4 foto. La prima appartiene a una concubina di corte. Di lei non so dire proprio nulla, non so nemmeno se fa parte delle 81 Concubine ufficiali o della schiera imprecisata delle altre effimere compagne delle notti del Figlio del Cielo, ma il ritratto è bellissimo e lei pure. Segue una foto della temutissima Imperatrice Cixi, la penultima della dinastia Qing inizialmente solo concubina dell'Imperatore Xianfeng che però ha davvero fatto una brillante ascesa sociale riuscendo a mettere al mondo e poi sul trono l'Imperatore bambino Tongzhi e poi il nipote Guangxu. Vista la tenera età degli eletti, di fatto  sarà lei la Reggente al potere per quasi 50 anni, dal 1862 fino alla morte nel 1908. Altro che la  lady di ferro Margaret Thatcher, la Cixi è rimasta saldamente in sella al trono quasi quanto la contemporanea inglese regina Vittoria (1837-1901). La terza foto riguarda Puyi, l'ultimo imperatore e per solo 4 anni, anche lui installato sul trono da Cixi a solo tre anni. Una vicenda umana, storica e politica splendidamente raccontata dal grande Bertolucci nel suo capolavoro filmico "L'ultimo Imperatore". Emblematica storia, la sua, della precarietà delle umane cose: da Figlio del Cielo a prigioniero e contadino nei campi di rieducazione comunisti della Cina maoista, da inconsapevole Stella Polare di 3 anni a fine carriera quale anonimo impiegatuccio negli Archivi di Stato di Pechino. L'ultima foto è dei nostri giorni: sono gli imperatori manciù in assetto guerriero visti dai giovani che animano l'atelier di pittura del museo.

domenica 20 agosto 2017

Francesco: a volte basta il nome

Vescovo di Roma, Sua Santità, Sommo Pontefice, Vicario di Gesù Cristo, Primate d’Italia, Pastore in terra della Chiesa Universale, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano.... titoli e appellativi non gli mancano di certo e sono pure sostanziosi, ma Lui, giovedì  17 agosto, invia un articolo al Corriere (“Chiedo perdono per i preti pedofili”) e preferisce firmarsi così, Francesco. Neanche Francesco Bergoglio, in fondo il cognome non si nega a nessuno, Francesco e basta.

Non è la prima volta, anche al telefono pare faccia lo stesso, dice semplicemente il suo nome.
Se lo può permettere, di Franceschi in giro per l’Italia e per il mondo ce ne sono una caterva, senza andare lontano anch’io ho un figlio che si chiama così, ma di quel Francesco lì ce n’è uno solo,  unico e inconfondibile. 

Lui lo sa e da straordinario comunicatore al passo coi tempi ne approfitta facendo centro. É una scelta precisa dell'uomo e della sua missione,  una scelta azzeccata che fa centro nei nostri cuori. Non se la tira, verrebbe da dire, eppure stiamo parlando del Papa. Lo sentiamo vicino, uno di noi che parla con noi, autenticamente umano come il Dhalai Lama quando ride o sbadiglia. 

Non entro nel merito dello spinosissimo argomento dell’articolo, la tragedia immonda dei preti pedofili che finalmente, dopo vergognosi silenzi, la Chiesa affronta con chiarezza e verità. Mi sono soffermata su quel Francesco e basta che invita a riflettere. Vuoi l’arroganza di certi potenti, vuoi quel buonismo becero che fa sempre più fatica a chiamare persone e cose con il loro nome perché il tasso di malinteso rispetto è alle stelle, ma  leggere  Francesco e basta, nel bailamme generale,  mi piace tanto.     

mercoledì 9 agosto 2017

tra moglie e marito ci mettiamo il dito?

Il mio dentista nizzardo deve avere una vasta clientela italiana perché nella sua sala d'aspetto ci trovo sempre un sacco di riviste dei patrii lidi. Nella situazione in questione ha fatto tilt nella mia mente l'articolo su Vanity Fair del 19 luglio  che si  intitolava "Il dissuasore delle amanti" di un certo Jiayang Fan, giornalista cinese immagino. 
Come non avere la curiosità di leggerlo sapendo oltretutto che l'estremo oriente è sempre foriero di stupefacenti novità? La storia del signor Ozaki, per esempio, che se ne va regolarmente a letto con la moglie e con Mayu, una bambola di gomma di un metro e settanta conosciuta in un negozio specializzato, come racconta Massimo Gramellini nella sua rubrica il Caffè del Corriere di ieri oppure  la moda giapponese di affittarsi un amico/a per qualche ora e non a modico prezzo.

Questa volta siamo in Cina dove con 1,388,232,692  di abitanti secondo gli ultimi dati dell' anno in corso, qualunque start up mi sembra suscettibile di diventare un business della madonna. 
Per quanto concerne il "dissuasore delle amanti" si tratterebbe di un "mestiere che una decina di anni fa quasi non esisteva ma che, nelle più grandi città cinesi, sta diventando comune. Le clienti sono donne che sperano di salvare i loro matrimoni allontanando quelle che in Cina vengono chiamate xiao san, o "Piccola Terza"-un'espressione che include tutto: dalla partner occasionale alla "mantenuta" di lungo corso".

Dopo aver analizzato la specifica dinamica della coppia, i dissuasori delle amanti consigliano strategie per recuperare il fedifrago, con l'idea di fondo che non è la coppia a dover lavorare insieme per affrontare il disagio, ma che sono le mogli a dover imparare come riprendersi i mariti e di mariti da recuperare, a quanto pare, anche in Cina ce ne sono a iosa se è vero che negli ultimi anni il numero di divorzi è raddoppiato e l'adulterio ne è la causa principale.

Sul lettino delle torture tra un molare e l'altro ci ho pensato un po' su. Sono ormai nove anni che faccio la blogger e forse è arrivato il momento di riciclarmi in altro, nel " persuasore delle mogli" per esempio, perché la rubrica "Donna Letizia risponde" risulterebbe ormai totalmente obsoleta, e poi chi ce l'ha più il tempo di scrivere, leggere, pensare di questi tempi "social" frettolosi e liquidi? Però mi assale qualche perplessità, forse non sono adatta, forse non avrei successo e temo di avere idee non politically correct in proposito. 
Se l'amante viene chiamata "Piccola Terza", per deduzione la moglie ufficiale dovrebbe essere la "Grande Prima", e il marito come vogliamo chiamarlo? "Lo Stronzo Secondo"? Ebbene, se si tratta di una crisi passeggera, alla "Grande Prima" suggerirei di lasciar correre, far finta di niente, in fondo per un uomo la "sveltina" è un mero esercizio di narcisismo ginnico, poco più di una tazzina di caffé. Se ci troviamo però in presenza di uno sciupafemmine seriale, di uno che "le palle" ce le ha solo dalla cintola in giù, in bella compagnia di foltissima schiera,  altro che recuperarlo,  -mollalo subito- consiglierei convinta.
 Alla "Grande Prima" resterebbe l'opportunità non trascurabile di trasformarsi in "Piccola Terza", ruolo meno ufficiale e rappresentativo ma senz'altro più divertente che, a detta di certe amiche specialiste in materia, non è niente male: doveri nessuno e vantaggi tanti.

E' fatta, il molare è stato estratto e occupata in questi pensieri quasi non me ne sono accorta, però nel frattempo mi sa che continuerò a fare la blogger, troppo rischioso avventurarmi nella nuova professione contravvenendo a quella vecchia perla di saggezza popolare che recita: "tra moglie e marito non mettere il dito". 











lunedì 7 agosto 2017

Galerie Lympia: Giacometti al bagno penale

Evviva! A Nizza si è aperto da pochi mesi uno splendido nuovo spazio espositivo ovvero la Galerie Lympia, che inizia la sua attività culturale sotto i migliori auspici con una mostra,  " L'oeuvre ultime", di una cinquantina di opere significative del periodo della maturità ( 1960-1965) del grande Alberto Giacometti. Sculture, pitture, disegni, litografie testimoniano della costante rigorosa ricerca dell'artista e provengono dalla parigina Fondazione Giacometti.
Impensabile una migliore cornice espositiva, il luogo e la mostra sembrano davvero fatti l'uno per l'altra: austera e rigorosa l'opera del Maestro e altrettanto la ristrutturazione di quegli spazi che, sorti nella seconda metà del '700 come magazzini di carenaggio del limitrofo porto, per quasi un secolo, dal 1793 al 1850 sono stati adibiti a prigione. Un vissuto carico di fatica e di dolore quello dei galeotti che qui hanno abitato e che nei decenni  si sono succeduti nei lavori forzati e diversamente, ma altrettanto tormentata, la storia personale di Giacometti che distruggeva regolarmente le sue opere per insoddisfazione artistica, la disperazione di non giungere mai a rappresentare compiutamente la figura umana:  "Ma dove sta dunque la somiglianza? Dov'è la verità, visto che la copia più fedele ce ne allontana?...Come riprodurre una cosa, creare un'immagine, un'apparenza dell'oggetto rappresentato? Come rendergli giustizia? Come cogliere la somiglianza? Non trovi che sia un compito impossibile in un universo dove tutto è unico, inimitabile?... (conversazione con il fotografo Brassai pubblicata in "Le Figaro Littéraire"  il 20 gennaio 1966) ("Grande femme I" 1960 bronzo)
Ho parlato di "prigione", ma in realtà avrei dovuto precisare meglio, questo luogo era un "bagno penale" che non è la stessa cosa. Prigioni e schiavi sono sempre esistiti fin dalla più remota antichità, ma risale a epoca più recente, al Basso Medievo, l'idea di sfruttare il detenuto come manovalanza gratuita per opere pubbliche e spesso in luoghi impervi. Col "progredire della civiltà" allo schiavo si sostituirà via via il detenuto che invece di "oziare" in prigione, farà la sua parte per la collettività e poco male se ha le catene al collo o ai piedi, se vive in condizioni igienico-sanitarie improponibili, se il cibo è cattivo e scarso, se il tasso di mortalità è alle stelle. "Figurine" 1961 bronzo)
In un viaggio a Mosca, la mia ammirazione per la sua meravigliosa metropolitana si era sciolta come neve al sole leggendo di quante vite umane era costata; per Stalin erano i bagni penali in Siberia il "serbatoio umano" cui attingere e questo è solo un esempio fra tanti.  Nella seconda metà del '700 i "lavoratori" del bagno penale di Lympia, succursale di quello di Villefranche, hanno costruito tutte le infrastrutture del porto di Nizza, il port Lympia, per volontà di casa Savoia, ovvero del re di Sardegna Carlo-Emanuele III°. Nell'altalena della Storia, i francesi, arrivati a Nizza nel settembre 1792, manterranno i bagni penali di Villefranche e di Nizza  ma li riserveranno non ai forzati comuni ma ai militari insubordinati o disertori e con il ritorno del Regno di Sardegna, Port Lympia diventerà un bagno militare marittimo fino alla sua completa chiusura nel 1850 e finalmente la conversione degli spazi per nuove funzioni. (" Femme debout" 1961-62 circa. bronzo  -"Buste d'homme" 1961 bronzo  - "Caroline" 1965 olio su tela)
"Buste d'homme" (pour la Fôret) 1950 circa. Gesso. -"Petit buste d'Annette" 1951 circa. Gesso dipinto.   -   "Annette noire" 1962 olio su tela

Passando dai forzati del lavoro al nostro Giacometti "forzato dell'arte", se mi è concesso l'eufemismo, vorrei condividere infine quattro splendidi disegni di un Giacometti inusuale di fronte al mare.  Abituale frequentatore di Stampa e delle sue montagne, non lo conoscevo alle prese con sole, acque blu e vele, ma questa mostra è l'occasione per scoprire che l'artista con la moglie Annette si è recato più volte alla villa Natacha dell'editore Tériade a Cap Ferrat e la sua matita, essenziale come sempre, ci ha regalato paesaggi e la sua visione della Costa Azzurra. ("Bateau sur la mer" 1965 biro nera su carta - "Baleine, soleil, bateau, homme debout de profil" 1961 disegno, matita su carta)
E dalla visione sublimata dell'arte in bianco e nero alle coloratissime barche vere viste a fine mostra da un balcone sul porto di Nizza grazie all'inaspettato invito all'aperitivo di un'amica incontrata per caso che abita proprio a due passi dalla Galerie Lympia, un nuovo indirizzo culturale nizzardo da non perdere assolutamente.  

PS. a proposito di Giacometti:  http://www.saranathan.it/2011/05/ma-ga-il-moma-del-varesotto.html