lunedì 27 novembre 2017

Colli Euganei: terme, fanghi e gioventù (bruciata)

Adriana:  Sara, ti andrebbe di venire per una settimana alle terme di Montegrotto con me ed altre tre amiche, partenza il 19 di novembre? C'è un'offerta forfettaria molto interessante da parte dell'albergo e potremmo condividere la camera. Ci vengono anche a prendere in bus a Milano e poi ci riportano a casa.
Sara: e perché no? Grazie della proposta, non ho mai fatto un soggiorno termale, mi piacerebbe provare e poi lo sai come la penso, ogni lasciata è persa.

La conversazione telefonica avveniva a fine settembre e puntuale come un orologio svizzero eccomi domenica 19 alle 8,45 alla stazione Cadorna. Aiutoooooo! Quando ho visto l'autobus addirittura a due piani, 4 gatti di mariti silenziosi e impauriti e una marea di donne vocianti, età media 60 anni,  anzi di più, mi è venuto lo sfrucuglione e una tentazione folle di tagliar la corda, bucolico il gregge di pecore, ma quello umano, lasciamo perdere. C'è poco da fare la schizzinosa- mi sono detta  respirando profondo per riprendere fiato- non sei mica diversa da loro e i dolori artrosici ce li hai pure tu, dunque sali e non rompere....Comunque son palle romane che anche la terza età ha i suoi vantaggi, per esempio le vacanze a buon mercato fuori stagione, invecchiare è una fregatura e basta.
Malgrado il mio notorio entusiasmo e con tutta la più buona volontà del mondo non si può certo dire che il paese di Montegrotto sia una bellezza, totalmente anonimo e anche tristanzuolo,  anche se vi si trovano, restaurati, i resti dei più importanti siti archeologici dell'area uganea  (quel che rimane di un complesso termale romano risalente alla seconda metà  del I° secolo prima dell'era volgare  e di una villa di epoca imperiale). Ho poi letto che insieme ad Abano di cui è in qualche modo il prolungamento, a Galzignano e a Battaglia, tutti a un tiro di schioppo, Montegrotto costituisce il più grande comprensorio termale d'Europa. Comunque l'albergo non è stato niente male, personale gentilissimo, buffet ricco  e di qualità, grande piscina calda interna ed esterna, le terme in loco e proprio davanti alla stazione. Certo non è una bella cosa un edificio ubicato proprio di fronte alla stazione, la vista dal nostro balcone è quella che è, davanti pure l'insegna luminosa "Sollievo" e mi chiedo come si fa a chiamare un albergo così,   ma si rivela arcicomoda perché i dintorni sono semplicemente favolosi: in 8 minuti di treno sei a Padova, 40 a Vicenza, 50 minuti per Venezia, 60 per Verona, località che non hanno certo bisogno di presentazione, per non parlare della bellezza della campagna e dei Colli Euganei, dei borghi medievali e delle numerose ville venete raggiungibili in 15-20 minuti di taxi come ha fatto la sottoscritta, più pigra e più lenta delle compagne sempre in pista baldanzose. Questo è stato il bello della situazione a Montegrotto, al mattino fai le cure salute-benessere e al pomeriggio la turista nei dintorni. Non male come programma, vero?
Racconterò nei prossimi post di Vicenza, Arquà, Villa dei Vescovi e del favoloso giardino di Villa Barbarigo, le mete cioè dei miei vagabondaggi pomeridiani, ma oggi mi concentro sulle terme, anzi più specificatamente sui fanghi. Ricordo bene che da bambina accompagnavo i miei genitori ogni estate ad Acqui Terme, vicino Alessandria. Un pullmino li portava allo stabilimento termale che non era nell'albergo, nell'aria un particolare odore sulfureo che mi piaceva tanto anche se lo definivano di uova marce  e una signora  spalmava  tutta la mamma di fango caldo, cosa che mi faceva invece una certa impressione. Durante e dopo vedevo sudare tutti, la giusta reazione dicevano gli addetti. Qualche decennio dopo mi ritrovo a fare come i miei genitori, ma, claustrofobica, quel coraggio di farmi  ricoprire dalla testa ai piedi non l'ho avuto, visto che era la prima volta un timido inizio soft solo con le ginocchia e per il risultato vi saprò dire...
Mi hanno spiegato che questo fango dalle proprietà salso-bromo-iodiche benefiche a fini terapeutici, inizialmente lo estraggono dal laghetto della Costa,  nei pressi di Arquà, bacino naturalistico dei Colli Euganei alimentato dalle acque di sorgenti termali  che raggiungono la temperatura di 45° gradi; il fango estratto viene poi fatto decantare in vasche esterne per 90 giorni (nelle foto sopra quelle del nostro hotel) prima di essere pronto per l'uso. Te lo ritrovi in secchi lungo il corridoio o già pronto, fumante, sul lettino.

Nelle foto dei dépliant turistici promozionali appaiono sempre ragazze splendide che naturalmente dopo i trattamenti lo saranno ancora di più. Ben diversa come sempre la realtà, (mi è venuto in mente "Youth" di Sorrentino), una lunga fila di persone di gioventù ormai bruciata e sovente con chili di troppo, fra le quali la sottoscritta,, che in accappatoio bianco attendono il loro turno . La si prende però con filosofia perché arriva il nostro  "D'Artagnan traghettatore" e la seduta ha inizio. L'ho chiamato da subito così per via della stazza e del pizzetto come il moschettiere, c'è poi il suo buonumore che gli fa chiamare tutte "le sue donne" cara, carissima o stella  così è sicuro di non sbagliare nome, una tecnica vincente. Traghettatore poi perché come quel Caronte di dantesca memoria ti ricopre del grigio fumante fango giunto dagli inferi della terra, laggiù, nelle profondità del laghetto Costa. Averlo è una garanzia perché se per caso ti viene un coccolone lui ha imparato ad usare il defibrillatore e ti risuscita, comunque tranquilli, non gli è mai successo di doverlo adoperare Di vero nome fa Francesco, approdato nel '96 a Montegrotto perché di quel diploma di perito elettronico nella natia Alberobello non se ne faceva proprio niente col lavoro che "nun ce sta". Grazie Francesco, abbiamo riso un sacco insieme e se mi vede ancora vuol dire che i fanghi hanno fatto effetto!!!
la statua in memoria di un "fanghista" alla stazione di Montegrotto

 



Il laghetto della Costa di Arquà Petrarca storia e leggenda - Blog

martedì 14 novembre 2017

Le ville venete: Villa Allegri- Arvedi

Villa Arvedi l'ho potuta fotografare così, fra le brume di quel pomeriggio d'ottobre e una pioggerella sottile e silenziosa; con il sole immagino sia tutta un'altra cosa, ma anche in queste condizioni esercita tutto il suo fascino. Approfitto ancora una volta della disponibilità dell'amica Donatella per visitare quel ben di dio che offrono i dintorni veronesi e basta pronunciare "ville venete" per pensare a certe favolose creazioni del Palladio o agli affreschi di Tiepolo, ma non solo. Col Burchiello ho avuto occasione di visitare le ville della Riviera del Brenta, ma sono passati talmente tanti anni che francamente non mi ricordo più niente, se non lo stupore provato allora; credo proprio che dovrei rinfrescarmi la memoria e ritornarci. Per intanto, in attesa di un revival mnemonico con le ville venete sul Brenta, inizio col condividere Villa Arvedi e il suo parco-giardino a Grezzana, in Valpantena.  (www.villarvedi.it  tel: 0039 3482207298)
Siamo fortunate, abbiamo preso appuntamento e gentile e disponibilissimo si presenta al cancello Paolo Arvedi, uno degli eredi,  tuttora proprietari dei luoghi, che ci fa da guida. Sempre molto interessante ascoltare la voce diretta di chi ha l'onore e l'onere di gestire in prima persona un patrimonio del genere, un carico preziosissimo certo, ma anche una pesante responsabilità.
Dalla conversazione emergono le stesse difficoltà e preoccupazioni di cui ho letto recentemente durante la visita della Villa della Porta Bozzolo: il rispetto e la salvaguardia di casa e giardini, la ricerca dei fondi ingenti necessari per i continui restauri, le pastoie burocratiche che rallentano anche le migliori intenzioni perché il controllo delle belle arti impedisce la benché minima iniziativa non autorizzata e naturalmente ogni intervento diventa molto più lungo e costoso perché non tutte le imprese o artigiani vengono considerati idonei a eseguire i lavori. Il Signor Arvedi racconta di una attuale denuncia a suo carico perché ha fatto autonomamente restaurare una statua, ed eccola là in giardino, troppo bianca secondo gli esperti, accanto ad una altra offesa dal tempo. Gli eredi Della Porto Bozzolo hanno donato la proprietà al FAI, delegandone in questo modo restauri e gestione, gli Arvedi invece gestiscono in prima persona e hanno scelto di affittare la "locaton", parola inglese molto di moda, per eventi e matrimoni.  (http://www.saranathan.it/2017/10/villa-della-porta-bozzolo-e-la-pezzata.html)
La storia di questi luoghi risale nel tempo: fin dal XIII° secolo i Della Scala, Signori di Verona, possedevano delle proprietà fondiarie che nel '300 sono passate ai Dal Verme, una famiglia veronese di capitani di ventura. Nel 1442 la Serenissima confisca i beni dei Dal Verme e li mette in vendita. Verranno acquistati dalla ricchissima famiglia degli Allegri che ne restano proprietari fino al 1824, quando l'ultima discendente venderà il fondo alla famiglia Arvedi.  L' attuale edificio, che si erge su un pendio coltivato a ulivi e viti, risale alla metà del '600, quando dagli Allegri viene dato mandato all'architetto Giovan Battista Bianchi di progettare l’ampliamento e la ristrutturazione dell’antica magione-fortezza dei Dal Verme. Per le decorazioni delle nuove stanze interverranno il pittore francese Louis Dorigny e Santo Prunati. Per far fronte ai numerosi debiti della famiglia, l’ultima discendente degli Allegri nel 1824  venderà la villa e la tenuta di Grezzana al trentino Giovanni Antonio Arvedi , produttore di seta.

Ecco spiegato perché, fra le numerose collezioni  che impreziosiscono i luoghi (dipinti di antenati, quadri, sculture, ceramiche, splendide formelle a carattere religioso sulla Via Crucis), su una parete fanno bella mostra di se numerosi stampi di seta. Dopo aver fortunatamente abbandonato l’intenzione di trasformare la residenza in filanda, nel corso degli ultimi due secoli la famiglia Arvedi si è sempre attivamente impegnata nella coltivazione di ortaggi, frutta e produzione di vino e di olio pregiati sfruttando il torchio presente fin dalle origini e la nomea del frantoio locale nella valle. Completano e contornano la villa lo stupendo giardino all'italiana, l’oratorio, gli edifici riservati alle lavorazioni di prodotti agricoli ( in particolare la cantina e l’oleificio) e le residenze dei lavoratori. All'interno, particolarmente scenografici e fastosi sono  i due saloni,  quello "Dei Cesari" e quello "Dei Titani", affrescato da Dorigny nei primi decenni del '700. dove spicca un' esuberante carrellata mitologica con la presenza degli dei dell’ Olimpo e dei Titani che sorreggono i segni zodiacali dei dodici mesi dell'anno.
Ma non è finita qui: come la dimora, anche il primo oratorio privato, dedicato a San Francesco, è stato completamente ricostruito a fine '600 e dedicato a San Carlo Borromeo che avrebbe sostato presso la villa durante il suo viaggio verso Trento per partecipare al Concilio (1545-1563).  Nel cortile d'onore a forma di esedra posto sul retro del complesso architettonico, si trova dunque la cappella di famiglia di sapore barocco con gli affreschi del Dorigny. Si accede alla chiesa lungo una bella scalinata a doppia rampa. Che meraviglia queste ville venete, anche con la pioggia!!!!










venerdì 10 novembre 2017

le ville venete: il giardino di Pojega

Il giardino di Pojega si trova nella campagna intorno a Negrar, proprio accanto alla casa di Carlo Alberto e Donatella e per arrivarci abbiamo preso le gambe e la via dei campi, fra filari di vite a mai finire. Si visitano solo i giardini e non la villa che è meno antica rispetto al giardino, ricostruita nella seconda metà dell'800, un palazzo con vaghi richiami al '400 veneziano e una merlatura bizantina ad archetti . All'ingresso del giardino, dopo la ristrutturazione dei locali un tempo adibiti al lavoro agricolo, è stato aperto un punto vendita per la degustazione e l'eventuale acquisto dei prodotti Guerrieri Rizzardi, la storica azienda agricola dei proprietari. Fra vino, olio, grappa, aceto, miele e liquore, non c'è che l'imbarazzo della scelta e una volta ancora penso a quanto mi perdo ad essere astemia.
L'acquisto della tenuta di svariati ettari risale alla metà del 1600, quando il Conte Carlo Rizzardi viene a stabilirsi a Verona da Maderno. In quella che inizialmente non era altro che "una pezza a vigne e olivi" , oltre un secolo dopo, Antonio Rizzardi darà mandato di progettare un giardino all'architetto Luigi Trezza, esponente veronese dell'architettura neoclassica veneta. Marito di una nobildonna veneta, Antonio Rizzardi aveva ereditato la passione dei giardini dal gusto famigliare dei suoi antenati  e sognava di un luogo che "contenesse angoli segreti quali già vagheggiati da poeti e filosofi il cui centro fosse il desiderio del cuore" che a Pojega si materializza nella rotonda fontana centrale racchiusa da quinte in cipresso, mortella e alloro.
Realizzato fra il 1783 e il 1796, il giardino di Pojega soddisferà le esigenze del suo committente e certamente anche la vista del visitatore attuale. Risulta una sintesi felice di giardino all'italiana scenografico e formale con grande dispiego di arte topiaria (la potatura geometrica di alberi e arbusti) e di giardino romantico, nato per ricreare un sofisticato ambiente naturale, esemplificato nell'insieme di prato e bosco tipico invece del giardino all'inglese, apparentemente più spontaneo.  Davvero spettacolare il teatro di verzura  perfettamente modellato e organizzato sull'esempio del teatro greco, con spazio scenico, orchestra e l'area per il pubblico formata da gradinate in bosso. Nelle nicchie fra i carpini che circondano le gradinate, trovano posto statue mitologiche inerenti la tragedia e la commedia e sparse per il giardino se ne troveranno tante altre anche se a qualcuna, purtroppo, manca la testa. La maggior parte delle opere in pietra del giardino sono attribuite a Pietro Muttoni, artista vicentino dell'epoca.
Come già riscontrato in altre ville di delizia, non manca neanche a Pojega il Tempietto a cielo aperto che presenta le pareti interne tutte rivestite di stalattiti, sassi e spugne. Nelle nicchie si fanno silente compagnia statue di Ercole, Diana, Apollo e Venere. Nel Boschetto fanno poi improvvisamente apparizione belve feroci di esotica provenienza, secondo un modello in voga nei giardini anglosassoni. Ho notato comunque che la voglia di divertire e soprattutto di stupire gli ospiti accomuna tutte le belle antiche proprietà, che siano anglosassoni o di casa nostra. 
Ultima chicca, piatto forte del giardino, la sobria architettura ottagonale del Belvedere che domina dall'alto tutto il giardino e il paesaggio intorno dei vigneti della Valpolicella. Era dal terrazzo del Belvedere che un tempo lontano e fasto i musicisti diffondevano per tutto il giardino le note musicali, adesso spiace invece constatare che balaustre e sculture di gaudenti putti necessiterebbero di una qualche manutenzione. Col tempo a noi umani vengono le rughe e forse le sculture, a forza di far festa, si sono sgarrupate.