Fieramente su uno stendardo affisso in Municipio c'è scritto: "il Borgo dei Borghi, fra i più belli d'Italia" e francamente mi è sembrato un po' esagerato, l'Italia di bellezze medievali ne ha a bizzeffe, comunque i secoli ad Arquà Petrarca si vedono, basta guardare i bordi in pietra di porte e finestre, il ciottolato dei vicoli, la struttura delle case. Quella del Petrarca è proprio in cima al paese e da lì abbiamo iniziato il nostro itinerario, soluzione oltretutto ottimale per fare la strada in discesa e non in salita. Ero stata tanti anni fa nella bellissima Fontaine-de-Vaucluse in Provenza dove il poeta aveva vissuto per lunghi anni e dove, il 6 aprile del 1327 nella chiesa di S. Chiara si era innamorato di quella misteriosa donna da lui cantata col nome di Laura, ma malgrado l'eco delle "chiare fresche dolci acque" del fiume Sorgue, sarà ad Arquà e non in Francia che il poeta sceglierà di vivere i suoi ultimi cinque anni (dal 1369 al 1374).
"Mi sono costruito sui colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti" (Lettera a Matteo Longo 1371). In effetti stanco del suo peregrinare, ormai anziano e malato, il Petrarca segue personalmente i lavori di ristrutturazione e restauro, secondo le sue esigenze, di quella casa nel borgo uganeo circondato da nuovi e vecchi amici e dai familiari, la figlia Francesca, il genero Francescuolo da Brossano e la nipotina Eletta. Qui leggerà, studierà, scriverà e infine morirà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374. Gli studiosi presumono che la casa gli sia stata donata da Francesco I di Carrara, signore di Padova e grande amico del poeta. Sul davanti il giardino, nel retro il brolo, ovvero l'orto con il frutteto. Leggo che il poeta dedicava molta attenzione alla cura delle piante, ma non sempre con successo. Dopo la morte del poeta nella casa si sono succeduti diversi proprietari. Alla metà del '500 uno di questi, Paolo Valdezocco, con intento celebrativo, fa affrescare le pareti con scene ispirate alle opere del Petrarca. Le scene sono dipinte nella fascia più alta, mentre sotto le pareti presentano motivi ornamentali tipo i tessuti damascati secondo l'antica decorazione trecentesca
Circondate ancora oggi come allora dalla luce, la quiete, il silenzio della campagna circostante, le bellissime stanze del primo piano abitate dal poeta e dalla famiglia si susseguono: la sala, due camere da letto, lo studiolo, luogo di lavoro e di meditazione con una finestra che da sul retro della casa, la sua sedia e un vetusto armadio- libreria, scrigno dei preziosi libri, si aggiungono ora cimeli e opere autografe. Il Petrarca appare dovunque in tutti i modi, dipinto sui muri, dipinto su tela, inciso, la testa in bronzo, la scultura intera in pietra e non manca naturalmente anche la vagheggiata Laura. Il processo di trasformazione della dimora in luogo dedicato alle memorie petrarchesce e meta di pellegrinaggio letterario che era subito iniziato, diventa definitivo nel 1875, quando il cardinale Piero Silvestri, ultimo proprietario privato, lascia la casa in eredità al comune di Padova. Il complesso ora fa parte dei Musei Civici. Fa un certo effetto leggere che nella Biblioteca Civica di Padova sono conservati e a turno esposti i "Codici di Arquà", circa 30 grossi volumi che accanto ad anonimi estimatori portano firme e commenti di personaggi illustri come Lord Byron, Niccolò Tommaseo, Giosué Carducci, Mascagni, Fogazzaro, Guglielmo Marconi, tanto per citarne qualcuno, che hanno voluto lasciare una dedica- omaggio al poeta.
E poiché non si vive di sola cultura, cambio registro e dalla poesia più alta, mi si perdonerà, passo alle giuggiole. Come frutto ho avuto occasione di assaggiarlo e non mi è proprio sembrato interessante, sembra un'oliva e ha il sapore anonimo e farinoso di una bacca, alla cui famiglia appartiene, ma ad Arquà da sempre ci fanno la marmellata e in particolare un liquore che invece è davvero buono, l'ho provato. E chi lo sapeva che l'espressione forse ormai obsoleta "andare in brodo di giuggiole"venisse da qui? E non è tutto, anche se non ci sono le stesse temperature che a Pantelleria, la sorpresa di ciuffi di foglie di cappero che spuntavano dalle vecchie pietre.
Arquà, ricordi del 1996. Settembre, passeggiate nelle stradine medievali, fino al sarcofago che dovrebbe contenere le spoglie del Poeta, ma dicono che non sia vero.
RispondiEliminaSecondo tema: le giuggiole. Posso non concordare con l'Autrice, vero? Per me erano state una dolcissima scoperta (ma non per Gigi). Il gusto e anche l'aspetto mi ricordavano i datteri, ma molto più piccoli, sebbene altrettanto zuccherini. Me ne sono comprato un sacchetto e me lo sono gustato fino in fondo. Forse la stagione conta: in estate sono al massimo, poi arriva l'autunno e cominciano a perdere le loro virtù.