giovedì 22 marzo 2018

Post Zang Tumb Tuuum... davvero imperdibile!!!

E per la terza volta mi ritrovo alla Fondazione Prada. Davvero imperdibile la mostra "Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943" che, come sottolinea la presentazione, "esplora il sistema dell'arte e della cultura in Italia tra le due guerre mondiali, partendo dalla ricerca e dallo studio di documenti e fotografie storiche che rivelano il contesto spaziale, temporale, sociale e politico in cui le opere d'arte sono state create, messe in scena, nonché vissute e interpretate dal pubblico dell'epoca". Straordinario il lavoro del curatore Germano Celant, non a caso anche Soprintendente Artistico e Scientifico della Fondazione, impressionante la mole del materiale esposto, 600 lavori tra dipinti, sculture, disegni, fotografie, manifesti, arredi, progetti architettonici più lettere personali, riviste, rassegne stampa per un totale di 800 documenti e le proiezioni originali cinematografiche dell'Istituto Luce iniziate nel 1927, praticamente i telegiornali dell'epoca.  Se fossi un professore di storia dell'arte o di storia, altro che restare in classe con barbosi manuali, porterei i miei ragazzi  per tre giorni consecutivi in Largo Isarco al 2, si offrirebbe loro una panoramica circonstaziata dal vivo di questo tormentato periodo della nostra storia, coglierebbero l'atmosfera dell'epoca, la partecipazione consenziente o accomodante di alcuni, i compromessi di altri, il silenzio responsabile della maggioranza, il coraggio del dissenso di pochi. (Presente poi in ogni sala una scheda storica con i principali avvenimenti dell'anno preso in considerazione) (Adolfo Wildt: "Il Duce" 1924 Marmo)
Quelle della Fondazione Prada non sono mai delle esposizioni tout court che si limitano a mostrare acriticamente una sequela di opere avulse dal loro contesto, dietro è sempre sottesa un'idea, una tesi. Nella mostra "Serial Classic" si proponeva di studiare il rapporto fra l'opera originale e le copie seriali nell'arte greca e romana (http://www.saranathan.it/2015/05/fondazione-prada.html), "L'image volée" faceva riflettere sull'appropriazione artistica indebita o meno dell'opera o delle idee di qualcun altro (http://www.saranathan.it/2016/03/alla-fondazione-prada-again.html), in "Post Zang Tumb Tuuum", titolo di una raccolta di versi in libertà di Marinetti, si vuole contestualizzare l'opera d'arte che non esiste in astratto, ma prende forma in un preciso humus culturale, si sviluppa in una determinata situazione storica. "Scegliendo di non adottare un sistema espositivo che s'impone per la sua assenza di contesto ( quello della esposizione delle opere, su fondo neutro, così che dialoghino solo tra di loro, in nome dell'arte per l'arte), si è voluto ricollocare l'artefatto nel sistema d'uso: dalla mostra ufficiale allo studio, alla collezione e alla galleria...E' rendere visibile, tramite immagini documentarie del tempo, la comunanza della singola opera con altri soggetti, politici e non...Significa in definitiva svolgere un ruolo critico contro la decontestualizzazione espositiva..." scrive Germano Celant nel suo saggio "Verso una storia reale e contestuale". (Giò Ponti-Giorgio Supino per Richard Ginori "Busto di giovane donna" 1922 Terraglia smaltata  Adolfo Wildt: "Carattere fiero-Anima gentile" 1912 Marmo con dorature)
                                                                    Adolfo Wildt: "Pio XI" 1926 Marmo e oro
                         Marinetti nella sua casa romana 1934       
                   
Ovviamente impensabile un render conto organico  ed esaustivo di un'esposizione così ricca e articolata, possibile solo condividere qualche opera e delle note soggettive. La riflessione per esempio sui soggetti e sui titoli molto eloquenti di certi lavori futuristi che sembrano davvero in sintonia con lo spirito del tempo.  "Marinetti temporale patriottico" olio su tela del 1924 di Fortunato Depero, "Forze di paesaggio estivo" del 1917  o "Le mani del popolo italiano" del 1925 di Giacomo Balla, "Incendio città" del 1926 di Gerardo Dottori, sono opere che, come le sculture di Adolfo Wildt, su un altro versante,  corrispondono  ai desiderata mussoliniani che per l'Italia fascista auspica un'arte "tradizionalista e moderna". Da un lato un linguaggio classicista e monumentale che esalti il passato glorioso, se ne farà carico per esempio il movimento artistico "Novecento" promosso da Margherita Sarfatti, d'altro lato una modernità che l'avanguardia futurista saprà pienamente interpretare con la sua passione per la forza, il dinamismo, la velocità, il rullare dei motori. 
Opere di Enrico Prampolini in mostra a Parigi nel 1925 - Prampolini: "I funerali del romanticismo: trasfigurazione estetica 1934. Olio su masonite

Tramontata definitivamente l'idea di fine '800 di una fruizione gratuita del bello e dell'opera d'arte fine a se stessa, agli albori del nuovo secolo anche l'arte dovrà fare la sua parte. E poi in ogni epoca, a destra come a sinistra, ( come non notare  che "L'agricoltore" di Mario Sironi non è molto dissimile dalla cartellonistica di propaganda sovietica) rivoluzioni e  dittature hanno degli obbiettivi da raggiungere, dei valori da imporre, le masse da controllare attraverso il pensiero unico e ogni aspetto del vivere deve rispondere a queste coordinate. Mario Sironi esplicita chiaramente il ruolo dell'arte quando scrive: "Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione sociale: una funzione educatrice. Essa deve tradurre l'etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così ritornerà ad essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale".  Peccato che anche fra gli artisti, anche fra le cosiddette teste pensanti  si siano accorti in pochi che in nome di quel "governo spirituale" si fa la guerra, si tortura, si manda al confino o si ammazza chi la pensa diversamente. (Mario Sironi: "La commemorazione dell'Onorevole Matteotti" 1925 Matita, carboncino e tempera su carta -  Sironi: "L'agricoltore (l'aratro)" 1935 carboncino e tempera su carta.
Mario Sironi: "Paesaggio urbano con camion" 1920 Olio su tela
Mario Sironi: Cartone preparatorio per il mosaico "La Giustizia fiancheggiata dalla Legge e da una figura giovanile, recante il Fascio con la Verità" Palazzo di Giustizia di Milano 1936. Tempera, carboncino, matita grassa, biacca su carta da spolvero riportata su tela
Fausto Melotti: " Costante Uomo" 1936 Gesso -  Fortunato Depero: "Città meccanizzata dalle ombre" 1920 olio su tela   

Il fascismo chiede anche all'urbanistica e all'architettura di conformarsi ai propri valori dominanti e in questo senso fungono da vetrina celebrativa e propagandistica edifici monumentali e allestimenti altamente scenografici. Come del resto avverrà nella Germania hitleriana specialista in manifestazioni di massa e raduni sacralizzati come riti collettivi,  eventi come "la Mostra della Rivoluzione Fascista del '32 o "L'esposizione dell'Aeronautica Italiana" del '34 o "La Mostra nazionale dello sport" del '35, rappresenteranno un'occasione privilegiata per  esibire davanti a un vasto pubblico conquiste e grandezza del regime. "La Mostra della rivoluzione fascista", in particolare, sarà l'apice della collaborazione tra il regime e la cultura d'avanguardia. Numerosi artisti fra i quali Sironi, Funi, Prampolini, Marino Marino e architetti come Giuseppe Terragni,  studieranno l'allestimento espositivo delle numerose sale per accompagnare il visitatore in un percorso consacrato al culto della nazione, al Duce e al Fascismo. E in questi anni  in architettura, emergeranno soprattutto due tendenze, il classicismo neo-romano, amplificatore della tradizione e il razionalismo,  direzione più moderna in sintonia con le tendenze europee di quei decenni, basti pensare a Le Corbusier. Fuori da ogni schema, meriterebbe un discorso a parte l'architetto futurista Antonio Sant'Elia presente con alcuni suoi lavori a Post Zang Tumb Tuuum e che ho avuto la fortuna di conoscere in una mostra a Villa Olmo qualche anno fa. (http://www.saranathan.it/2013/05/citta-metropoli-megalopoli.html) (- Giuseppe Terragni: Casa del Fascio, Como 1928/1932-36) - Piero Portaluppi: Studio per il Grattacielo S.K.N.E. a New York 1920)
Gio Ponti: Studi per il Palazzo Montecatini di Milano 1933-36 - Maquette del Palazzo della Civiltà Italiana. Progetto del 1937.
Una cosa è certa  e la varietà come la ricchezza espositiva della mostra lo evidenziano ampiamente: gli anni dal 1918 al 1943 rappresentano in Italia una fucina di idee, un periodo artistico di grandissimo fermento e con le dovute precauzioni guardando l'eclettismo e il pluralismo delle opere esposte, sembra di poter dire che, rispetto al nazismo, il fascismo ha malgrado tutto lasciato maggiore libertà e autonomia creativa ai suoi artisti, non si parla di "arte degenerata" né si organizzano esposizioni per bandirla; possibili l'ossequio alla tradizione ma anche l'avanguardia, l'obbedienza ai canoni estetici indicati ma anche la sperimentazione, le opere funzionali alla propaganda ma anche le scelte intimiste. A creazioni così diverse corrispondono scelte comportamentali altrettanto diverse sia fra gli artisti che fra gli intellettuali. Chi aderisce entusiasticamente a certe idee di cui non sa vedere le ombre, chi collabora col regime per opportunismo, per ottenerne profitti e commesse, chi resta presto deluso e prende le distanze, chi si interessa solo al proprio lavoro artistico e poco importa sotto quale bandiera. Negli anni in camicia nera è più redditizia la cautela, molto più comodo un ambiguo silenzio che finisce per sembrare assenso ed è la strada più seguita, rari i rifiuti a voce alta come quelli di un Toscanini, di  un Primo Levi o di un Carlo Levi.  (Gino Rossi: "Testa di pescatore" circa 1910 olio su cartone - Carlo Levi: "Campo di concentramento" o " Le donne Morte" (Il lager presentito) 1942 olio su tela 
Ottone Rosai: " Il vecchio Eliseo" 1934  - Massimo Campigli: "Le spose dei marinai" 1934  -
Carlo Carrà: "Il bersaglio" 1928   -  Carlo Carrà: "Casa abbandonata" 1930
Felice Casorati: " Ritratto di Renato Gualino" 1923-24   "Ritratto di Hena Rigotti" circa 1924  "Doppio ritratto" 1924





sabato 10 marzo 2018

City Life a Milano: come una madeleine di Proust

Non si può certo dire che sono solerte ed è imbarazzante dover ammettere che a CityLife, nuovo ma non nuovissimo polo milanese che oltretutto si trova a due passi da casa mia, non ci avevo ancora messo piede.  Ho rimediato qualche giorno fa e sono comunque ancora in tempo perché nell'area della vecchia cara Fiera di Milano molto è stato fatto, ma molto ancora resta da fare, un cantiere tuttora "in progress" come si usa dire attualmente. Ho scritto cara vecchia Fiera perché per tutta la mia infanzia piazza Giulio Cesare e dintorni ha rappresentato un luogo eccitante e affascinante, mondi interi lontani e non ancora globalizzati che si facevano scoprire con le loro infinite novità in tutti i campi durante la grande manifestazione fieristica di aprile.
A rivedere ora la zona, così cambiata, così diversa, è stato come assaporare una madeleine di proustiana memoria, si è aperto un vaso di Pandora di ricordi e quando il passato si sovrappone al presente credo voglia dire anche che si sta invecchiando, accidenti! Divertente per esempio ripescare dalla memoria la grande incetta di dépliant raccolti girando fra gli stand che si mettevano in una grande busta gialla offerta da Viamal; dalla Coca Cola in omaggio bottigliette mignon mentre su uno schermo proiettavano no stop film di Walt Disney, l'Idrolitina regalava bustine di una magica polvere che faceva diventare l'acqua frizzante, dalla Brill invece si ricevevano minuscole scatolette di latta piene di lucido per scarpe dall'odore inconfondibile. Era una vera pacchia riguardare la sera a casa il bottino del giorno. E poi è lì che, studentessa universitaria, ho guadagnato i miei primi soldi facendo l'interprete nelle varie esposizioni di settore. L'Ente Fiera pagava bene, ma le singole ditte ancora di più, 150.000 lire al giorno, me lo ricordo benissimo ed era una cifra spropositata. Di quella grande area ne conoscevo pressoché ogni padiglione, ogni angolo, peccato che ad aprile pioveva quasi sempre e i miei capelli, con l'umidità imperante, erano sempre maledettamente ricci e io piena di complessi perché andavano di moda lisci lisci come Françoise Hardy che gorgheggiava "tous les garçons et les filles de mon âge je les vois dans la rue deux par deux...". Adesso mocassini rigorosamente raso terra, ma allora stavo senza problema in equilibrio su certi tacchi alti delle scarpe di Prosio, un must dell'epoca che aveva il negozio in Galleria Passerella.
Davvero un altro mondo City Life, ma è logico, in fondo sono passati quasi cinquant'anni dal tempo dei miei ricordi. Adesso la riqualificazione dell'area comprende più vocazioni, un grande parco, edifici residenziali di prestigio a prezzi pare folli, la zona shopping  e due grattacieli direzionali per uffici, banche assicurazioni etc, ovvero la Torre soprannominata "Il Dritto" dell'architetto nipponico Arata Isozaki in collaborazione con Andrea Maffei e "Lo Storto" il grattacielo dalla forma a torsione dell'archistar iraniana-inglese Zaha Hadid. Manca ancora all'appello la terza Torre prevista,  che in via di costruzione sarà probabilmente pronta nel 2020; la firma è di Daniel Libeskind e la costruzione viene chiamata "il Curvo" per via della sua forma visibile nei rendering. Tutto nuovo di pacca, l'unico edificio che ho riconosciuto perché se n'è mantenuta la struttura esterna è il vecchio padiglione 3 della Fiera, ex-palazzetto dello Sport davanti a piazza 6 Febbraio che adesso si chiama Palazzo delle Scintille. Costruito intorno agli anni '20, grazie ai suoi vasti e versatili spazi interni è destinato ad ospitare nel futuro un'ampia varietà di manifestazioni espositive, sportive e spettacoli.
E veniamo agli interni, al cosiddetto "Shopping District" che forse sarebbe più corretto chiamare "Gourmet District" o "Eating District" perché  a parte i soliti negozi con i soliti marchi della moda, dedica un piano intero a sua maestà, il cibo, in tutte le sue declinazioni.Non finirò mai di chiedermi come fanno a campare tutti questi spazi mercantili che si aprono a spron battuto, le città sembrano ormai fatte solo di vestiti e prodotti alimentari e mi viene in mente la nostra trasformazione da uomini a wuerstel in sacco a pelo come risultava in "Arts & Food" quella bellissima mostra del 2015 alla Triennale. (http://www.saranathan.it/2015/05/saremmo-diventati-dei-wuerstel.html). Riconosco però che mi ha fatto piacere trovare fra le innumerevoli proposte l'Antica Focacceria S. Francesco, indirizzo palermitano mitico che propone le umili tradizioni del cibo di strada (sfincione, arancini, croquette, pane-panelle e pane con la milza) e, ça va sans dire, cassatelle e cannoli riempiti di ricotta al momento. Ci siamo subito fiondate lì prima di andare a vedere "Le forme dell'acqua" al cinema Anteo che a City Life ha aperto delle nuove sale.
Questi centri commerciali finiscono per assomigliarsi un po' tutti, a Tel Aviv in via Diesengoff ce n'è uno pressoché uguale, e i lunghi corridoi pieni di vetrine li chiamano Canyon. Belli però tutti i rivestimenti interni in legno e poi mi piacerebbe essere invitata per un caffé su quelle due poltrone design proprio in mezzo alla sala: molto romantico, sei in mezzo a un sacco di gente eppure non vedi nessuno, solo chi ti sta di fronte. Mi rendo conto che a City Life non ci sono stata nelle migliori condizioni: mancava il sole, anzi un tempo di merda con ancora lastre di ghiaccio per terra, il verde appena piantato e gli alberi non ancora cresciuti, cantieri aperti, un luogo in divenire a cui bisogna certo dar tempo di crescere,  comunque trovo urbanisticamente  più riuscita la riqualificazione dell'area intorno a Porta Garibaldi, con corso Como e piazza Gae Aulenti. E' solo un parere personale e non so cosa ne pensino i milanesi.