Quelle della Fondazione Prada non sono mai delle esposizioni tout court che si limitano a mostrare acriticamente una sequela di opere avulse dal loro contesto, dietro è sempre sottesa un'idea, una tesi. Nella mostra "Serial Classic" si proponeva di studiare il rapporto fra l'opera originale e le copie seriali nell'arte greca e romana (http://www.saranathan.it/2015/05/fondazione-prada.html), "L'image volée" faceva riflettere sull'appropriazione artistica indebita o meno dell'opera o delle idee di qualcun altro (http://www.saranathan.it/2016/03/alla-fondazione-prada-again.html), in "Post Zang Tumb Tuuum", titolo di una raccolta di versi in libertà di Marinetti, si vuole contestualizzare l'opera d'arte che non esiste in astratto, ma prende forma in un preciso humus culturale, si sviluppa in una determinata situazione storica. "Scegliendo di non adottare un sistema espositivo che s'impone per la sua assenza di contesto ( quello della esposizione delle opere, su fondo neutro, così che dialoghino solo tra di loro, in nome dell'arte per l'arte), si è voluto ricollocare l'artefatto nel sistema d'uso: dalla mostra ufficiale allo studio, alla collezione e alla galleria...E' rendere visibile, tramite immagini documentarie del tempo, la comunanza della singola opera con altri soggetti, politici e non...Significa in definitiva svolgere un ruolo critico contro la decontestualizzazione espositiva..." scrive Germano Celant nel suo saggio "Verso una storia reale e contestuale". (Giò Ponti-Giorgio Supino per Richard Ginori "Busto di giovane donna" 1922 Terraglia smaltata Adolfo Wildt: "Carattere fiero-Anima gentile" 1912 Marmo con dorature)
Adolfo Wildt: "Pio XI" 1926 Marmo e oro
Marinetti nella sua casa romana 1934
Ovviamente impensabile un render conto organico ed esaustivo di un'esposizione così ricca e articolata, possibile solo condividere qualche opera e delle note soggettive. La riflessione per esempio sui soggetti e sui titoli molto eloquenti di certi lavori futuristi che sembrano davvero in sintonia con lo spirito del tempo. "Marinetti temporale patriottico" olio su tela del 1924 di Fortunato Depero, "Forze di paesaggio estivo" del 1917 o "Le mani del popolo italiano" del 1925 di Giacomo Balla, "Incendio città" del 1926 di Gerardo Dottori, sono opere che, come le sculture di Adolfo Wildt, su un altro versante, corrispondono ai desiderata mussoliniani che per l'Italia fascista auspica un'arte "tradizionalista e moderna". Da un lato un linguaggio classicista e monumentale che esalti il passato glorioso, se ne farà carico per esempio il movimento artistico "Novecento" promosso da Margherita Sarfatti, d'altro lato una modernità che l'avanguardia futurista saprà pienamente interpretare con la sua passione per la forza, il dinamismo, la velocità, il rullare dei motori.
Opere di Enrico Prampolini in mostra a Parigi nel 1925 - Prampolini: "I funerali del romanticismo: trasfigurazione estetica 1934. Olio su masonite
Tramontata definitivamente l'idea di fine '800 di una fruizione gratuita del bello e dell'opera d'arte fine a se stessa, agli albori del nuovo secolo anche l'arte dovrà fare la sua parte. E poi in ogni epoca, a destra come a sinistra, ( come non notare che "L'agricoltore" di Mario Sironi non è molto dissimile dalla cartellonistica di propaganda sovietica) rivoluzioni e dittature hanno degli obbiettivi da raggiungere, dei valori da imporre, le masse da controllare attraverso il pensiero unico e ogni aspetto del vivere deve rispondere a queste coordinate. Mario Sironi esplicita chiaramente il ruolo dell'arte quando scrive: "Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione sociale: una funzione educatrice. Essa deve tradurre l'etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così ritornerà ad essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale". Peccato che anche fra gli artisti, anche fra le cosiddette teste pensanti si siano accorti in pochi che in nome di quel "governo spirituale" si fa la guerra, si tortura, si manda al confino o si ammazza chi la pensa diversamente. (Mario Sironi: "La commemorazione dell'Onorevole Matteotti" 1925 Matita, carboncino e tempera su carta - Sironi: "L'agricoltore (l'aratro)" 1935 carboncino e tempera su carta.
Il fascismo chiede anche all'urbanistica e all'architettura di conformarsi ai propri valori dominanti e in questo senso fungono da vetrina celebrativa e propagandistica edifici monumentali e allestimenti altamente scenografici. Come del resto avverrà nella Germania hitleriana specialista in manifestazioni di massa e raduni sacralizzati come riti collettivi, eventi come "la Mostra della Rivoluzione Fascista del '32 o "L'esposizione dell'Aeronautica Italiana" del '34 o "La Mostra nazionale dello sport" del '35, rappresenteranno un'occasione privilegiata per esibire davanti a un vasto pubblico conquiste e grandezza del regime. "La Mostra della rivoluzione fascista", in particolare, sarà l'apice della collaborazione tra il regime e la cultura d'avanguardia. Numerosi artisti fra i quali Sironi, Funi, Prampolini, Marino Marino e architetti come Giuseppe Terragni, studieranno l'allestimento espositivo delle numerose sale per accompagnare il visitatore in un percorso consacrato al culto della nazione, al Duce e al Fascismo. E in questi anni in architettura, emergeranno soprattutto due tendenze, il classicismo neo-romano, amplificatore della tradizione e il razionalismo, direzione più moderna in sintonia con le tendenze europee di quei decenni, basti pensare a Le Corbusier. Fuori da ogni schema, meriterebbe un discorso a parte l'architetto futurista Antonio Sant'Elia presente con alcuni suoi lavori a Post Zang Tumb Tuuum e che ho avuto la fortuna di conoscere in una mostra a Villa Olmo qualche anno fa. (http://www.saranathan.it/2013/05/citta-metropoli-megalopoli.html) (- Giuseppe Terragni: Casa del Fascio, Como 1928/1932-36) - Piero Portaluppi: Studio per il Grattacielo S.K.N.E. a New York 1920)
Mario Sironi: "Paesaggio urbano con camion" 1920 Olio su tela
Mario Sironi: Cartone preparatorio per il mosaico "La Giustizia fiancheggiata dalla Legge e da una figura giovanile, recante il Fascio con la Verità" Palazzo di Giustizia di Milano 1936. Tempera, carboncino, matita grassa, biacca su carta da spolvero riportata su tela
Fausto Melotti: " Costante Uomo" 1936 Gesso - Fortunato Depero: "Città meccanizzata dalle ombre" 1920 olio su tela
Il fascismo chiede anche all'urbanistica e all'architettura di conformarsi ai propri valori dominanti e in questo senso fungono da vetrina celebrativa e propagandistica edifici monumentali e allestimenti altamente scenografici. Come del resto avverrà nella Germania hitleriana specialista in manifestazioni di massa e raduni sacralizzati come riti collettivi, eventi come "la Mostra della Rivoluzione Fascista del '32 o "L'esposizione dell'Aeronautica Italiana" del '34 o "La Mostra nazionale dello sport" del '35, rappresenteranno un'occasione privilegiata per esibire davanti a un vasto pubblico conquiste e grandezza del regime. "La Mostra della rivoluzione fascista", in particolare, sarà l'apice della collaborazione tra il regime e la cultura d'avanguardia. Numerosi artisti fra i quali Sironi, Funi, Prampolini, Marino Marino e architetti come Giuseppe Terragni, studieranno l'allestimento espositivo delle numerose sale per accompagnare il visitatore in un percorso consacrato al culto della nazione, al Duce e al Fascismo. E in questi anni in architettura, emergeranno soprattutto due tendenze, il classicismo neo-romano, amplificatore della tradizione e il razionalismo, direzione più moderna in sintonia con le tendenze europee di quei decenni, basti pensare a Le Corbusier. Fuori da ogni schema, meriterebbe un discorso a parte l'architetto futurista Antonio Sant'Elia presente con alcuni suoi lavori a Post Zang Tumb Tuuum e che ho avuto la fortuna di conoscere in una mostra a Villa Olmo qualche anno fa. (http://www.saranathan.it/2013/05/citta-metropoli-megalopoli.html) (- Giuseppe Terragni: Casa del Fascio, Como 1928/1932-36) - Piero Portaluppi: Studio per il Grattacielo S.K.N.E. a New York 1920)
Gio Ponti: Studi per il Palazzo Montecatini di Milano 1933-36 - Maquette del Palazzo della Civiltà Italiana. Progetto del 1937.
Una cosa è certa e la varietà come la ricchezza espositiva della mostra lo evidenziano ampiamente: gli anni dal 1918 al 1943 rappresentano in Italia una fucina di idee, un periodo artistico di grandissimo fermento e con le dovute precauzioni guardando l'eclettismo e il pluralismo delle opere esposte, sembra di poter dire che, rispetto al nazismo, il fascismo ha malgrado tutto lasciato maggiore libertà e autonomia creativa ai suoi artisti, non si parla di "arte degenerata" né si organizzano esposizioni per bandirla; possibili l'ossequio alla tradizione ma anche l'avanguardia, l'obbedienza ai canoni estetici indicati ma anche la sperimentazione, le opere funzionali alla propaganda ma anche le scelte intimiste. A creazioni così diverse corrispondono scelte comportamentali altrettanto diverse sia fra gli artisti che fra gli intellettuali. Chi aderisce entusiasticamente a certe idee di cui non sa vedere le ombre, chi collabora col regime per opportunismo, per ottenerne profitti e commesse, chi resta presto deluso e prende le distanze, chi si interessa solo al proprio lavoro artistico e poco importa sotto quale bandiera. Negli anni in camicia nera è più redditizia la cautela, molto più comodo un ambiguo silenzio che finisce per sembrare assenso ed è la strada più seguita, rari i rifiuti a voce alta come quelli di un Toscanini, di un Primo Levi o di un Carlo Levi. (Gino Rossi: "Testa di pescatore" circa 1910 olio su cartone - Carlo Levi: "Campo di concentramento" o " Le donne Morte" (Il lager presentito) 1942 olio su tela
Ottone Rosai: " Il vecchio Eliseo" 1934 - Massimo Campigli: "Le spose dei marinai" 1934 -
Carlo Carrà: "Il bersaglio" 1928 - Carlo Carrà: "Casa abbandonata" 1930
Felice Casorati: " Ritratto di Renato Gualino" 1923-24 "Ritratto di Hena Rigotti" circa 1924 "Doppio ritratto" 1924