martedì 26 novembre 2019

Napoli: arte e cioccolato a Chiaia (1)

Prendiamo una volta ancora la linea 2 della metropolitana e stavolta scendiamo alla stazione di piazza Amedeo, alle spalle la bella collina del Vomero raggiungibile con la funicolare Chiaia a pochi passi. Niente funicolare, è il quartiere di Chiaia che desideriamo visitare incamminandoci per via Vittoria Colonna, non senza una preventiva sosta da Scaturchio  per il primo corroborante caffè della giornata. Già al numero 4 della via ci imbattiamo in un monumentale edificio di fine  '800, Palazzo Scarpetta, così chiamato perché commissionato da quell'Eduardo Scarpetta (1853-1925), attore e commediografo celeberrimo, l'iniziatore del teatro napoletano moderno e il capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo.  Imponente l'atrio con tre statue che l'attore aveva fatto scolpire per celebrare il successo di una sua commedia. E' in questo palazzo che hanno abitato sia gli Scarpetta che i De Filippo, Eduardo,Titina e Peppino e questa è ora la recentissima sede della Fondazione Eduardo de Filippo fortemente voluta dal figlio Luca per la salvaguardia e il recupero del teatro della tradizione napoletana.

Al 22 di via Colonna la chiesa barocca Santa Teresa a Chiaia e a pochi passi, ma siamo già in via dei Mille, il PAN ovvero Il Palazzo delle Arti Napoli,  che dal 2005 ha sede nel settecentesco Palazzo Carafa dei principi di Roccella che ha conosciuto più rifacimenti e destinazioni d'uso fino al 1984, anno in cui è stato acquisito dalla municipalità. E' un museo di arte moderna e contemporanea ma che si propone anche come dinamico centro di cultura attraverso conferenze, incontri, presentazioni di libri e seminari. Attualmente in tabellone "Il linguaggio dei segni" del grande catalano Joan Mirò "il più surrealista di tutti noi" come lo ha definito una volta André Breton, il capo indiscusso della banda del surrealismo; naturalmente ci siamo subito fiondate e ne valeva la pena, una mostra di qualità. ( "Dipinto" - 1953- olio su tela;  "Testa d'uomo"- 1935- olio e vernice a smalto su cartone; "Figura e stelle nella notte" -1965- gouache, pastello, acquerello e collage su carta nera; "Il canto degli uccelli in autunno"- 1937- olio su celotex)
Interessante la scelta delle opere, bello l'allestimento della mostra, chiari e articolati i pannelli esplicativi che tracciano via via il percorso e l'evoluzione creativa dell'artista. Semplificando progressivamente il suo linguaggio formale, a partire dagli anni '20 Mirò attribuisce al segno valore di sostituto di qualcosa che non è più fisicamente presente, il segno grafico come surrogato di una rappresentazione che non c'è più; una semplice linea potrà significare un corpo, un semicerchio una testa o il profilo di un seno. Poi, col procedere degli anni e della maturazione artistica il segno non vorrà sostituire o rappresentare più nulla, un segno che ha forza e significato in sé, divenuto contenuto stesso dell'opera, pura armonia di composizione cromatica. Seguiranno i collage: carta, chincaglieria, chiodi, foto o persino rete metallica, semplici oggetti del quotidiano che nella composizione assurgeranno a dignità artistica combinandosi col segno grafico, quasi a cavallo fra pittura e scultura. Collaborando negli anni '70 con il tessitore Josep Royo, in fitte trame di juta, lana, cotone, canapa preparate da Royo, Mirò incorpora oggetti comuni e vecchi sacchi di zucchero e farina possono diventare lo sfondo degli oggetti. In qualche modo da una parte l'artista cancella il segno, ma dall'altra gli da  nuova vita trasformandolo in elemento materico.  (foto sopra: "Personaggio" - 1967- bronzo dipinto (fusione a cera persa). Ultima foto in basso "Sobreteixim 4" - 1972- lana, filo, acrilico, tubo di cartone e collage su arazzo realizzato da Josep Royo) 

E siccome  Napoli è generosa e noi non ci siamo fatte mancare nulla, eccoci passare dal piacere degli occhi alle sollecitazioni della gola andando a visitare la fabbrica di Gay-Odin che un articolo di giornale romano titola nientepopodimeno come il re del cioccolato doc. Di cioccolaterie Gay-Odin ne ho viste diverse per la città, ma la fabbrica si trova  in vico Vetriera che finisce poi nella strettoia privata Giuseppe Maglietta. Capiamo di essere nel posto giusto alla vista di una commessa che, in pausa, chiacchiera al telefono per strada  e di un vecchio camion d'antan con l'insegna. Non essendo in un gruppo organizzato con la guida non ci è stato permesso vedere i locali di fabbricazione, ma già la grande stanza museo all'ingresso fra le vecchie macchine di produzione, foto, forme, riconoscimenti al marchio, confezioni regalo, leccornie e cioccolatini a forma di tazzina da caffè come non avevo mai visto, è stata una delizia.  Ci è stato gentilmente offerto un opuscolo che racconta la storia dei fondatori che da fine '800 deliziano le papille con la loro produzione artigianale di alta qualità.
L'ultima chicca del post è il palazzo Mannajuolo del 1912 all'incrocio fra via dei Mille, via Filangieri e lo slargo prospiciente che si chiama I gradini di Andrea . Particolare e di grande effetto la sua  architettura ad angolo ideata dall'architetto Giulio Ulisse Arata, il padre del liberty napoletano;  magnifico anche  l'ingresso del palazzo, ma il capolavoro tecnico ed estetico, vero trionfo dell'art nouveau, è rappresentato dalla soluzione ellittica della scala interna che il portinaio, se glielo chiedete, vi condurrà a vedere. Non mancatela, è una bellezza nascosta che va scoperta!!!




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